Il presidente delle Acli chiede un “lavoro buono e giusto”

Gianni Bottalico risponde a Città Nuova sugli 80 euro del governo Renzi, sul piano nazionale contro la povertà e sugli investimenti da sottrarre alla speculazione finanziaria e da usare per fare impresa
Bottalico

Già nelle prime dichiarazioni da neoeletto, nel gennaio del 2013, il presidente delle Acli ha posto l’urgenza della questione lavoro in Italia mettendo in evidenza la necessità di «ritrovare una politica industriale che ci dica dove vogliamo andare» dopo anni nei quali «abbiamo perso il primato in settori come l'informatica, la farmaceutica e la chimica». Il problema disoccupazione non riguarda solo i giovani. Come ha mostrato il Censis, è il «segmento degli adulti di 50-70 anni sembra abbandonato al triste destino di esuberi, prepensionati, "esodat", "staffettati", senza alcun meccanismo utile per conservare almeno una porzione di quell'importante capitale umano».

In questi ultimi mesi, Gianni Bottalico ha partecipato, come interlocutore autorevole e disponibile, al laboratorio parlamentare sulle politiche per il lavoro promosso dal Movimento politico per l’unità. Nel prossimo settembre il 47° incontro nazionale di studi che ha per titolo “ll lavoro non è finito. Un'economia per creare lavoro buono e giusto”, lo vede tra i protagonisti. Gli chiediamo di entrare nel dettaglio sulla questione lavoro e giustizia sociale con alcune domande.

Come valuta, fino ad oggi, l’azione del governo Renzi nei confronti della lotta contro la povertà? Come valutare la mancata corresponsione degli 80 euro alle famiglie numerose e agli incapienti? Quali azioni strutturali andrebbero messe in campo verso coloro che sono “senza voce”?

«Noi confidiamo sul fatto che nella prossima legge di stabilità, – che preferiamo chiamare legge finanziaria, perché la stabilità di bilancio non può essere un fine, anzi andrebbero abrogate le norme che identificano rigidamente il principio di equilibrio dei bilanci pubblici – si individuino delle risorse per avviare sin dal 2015 un Piano nazionale contro la povertà.

Anche sugli 80 Euro siamo portati a pensare che si tratti di un primo passo. Una misura che deve essere resa stabile per i prossimi anni attraverso la riduzione delle aliquote fiscali, ed accompagnata da provvedimenti che tengano conto dei carichi familiari, del numero di percettori di reddito nel nucleo familiare, degli incapienti.

Per i cittadini che si trovano in uno stato di povertà assoluta l'intervento strutturale che proponiamo, è il Piano nazionale contro la povertà. Per sostenerlo le Acli hanno costituito,  insieme ai principali soggetti sociali, sindacali, istituzionali, l'Alleanza contro la povertà in Italia. Proponiamo che si arrivi ad una misura unica e strutturale per la lotta alla povertà, che identifichiamo nel Reddito di inclusione sociale (Reis)».

Che rapporto si può stabilire tra la proposta della fiscalità del “fattore famiglia” da parte del forum associazioni familiari e la misura del Reis che state elaborando?

«La prima riguarda tutte le famiglie a vario titolo in difficoltà, mentre il Reis ha come obiettivo l'intervento per i soggetti e le famiglie che si trovano in una condizione di povertà assoluta. La leva della fiscalità può essere usata anche per prevenire la povertà, per rallentare l'impoverimento, mentre uno strumento stabile di trasferimenti monetari e di erogazione di servizi quale si configura il Reis, è orientato ai nuclei famigliari più disagiati. Entrambi gli interventi contribuiscono a ridurre le disuguaglianze e ad innescare un circolo virtuoso per l'inclusione sociale e per riattivare la domanda interna, presupposto indispensabile per la ripresa economica».

In attesa della presentazione del cosiddetto Jobs act  da parte del governo, che parere date sul decreto Poletti? La previsione del contratto a termine senza causale, che si può reiterare fino a tre anni non è, di fatto, un’alternativa più allettante per l’impresa davanti al contratto a tutele crescenti previsto nel “Piano per il lavoro” di Renzi?

«Abbiamo l'impressione che la semplice discussione su come rendere i contratti più favorevoli per le imprese non costituisca un guadagno né per i lavoratori né per i datori di lavoro. Per rimettere in moto l'economia creando nuovi posti di lavoro in una misura da riassorbire gran parte della disoccupazione dilagante, occorrono, a nostro parere, soprattutto interventi significativi in due direzioni. In primo luogo un grande piano di investimenti per il lavoro e lo sviluppo nell'ordine non di qualche miliardo, ma delle centinaia di miliardi. Perché ciò sia possibile occorre nel contempo approvare decise misure di contrasto alla speculazione finanziaria, cominciando dal livello nazionale. Ad esempio: si deve rimediare con urgenza al fatto che la massa di liquidità creata dalla Bce venga data a costo quasi zero alle banche e che queste usino questi capitali non per sostenere l'economia reale ma per finanziare gli Stati esigendo tassi d'interesse molto superiori. Serve un’inversione di rotta a 180 gradi: basta con una politica monetaria che continua a fare regali a banche e speculatori, anziché conferire direttamente agli stati dell'Eurozona le risorse per creare lavoro e sviluppo».

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