Il G20 è legittimato a risolvere il conflitto siriano?

I 20 paesi a San Pietroburgo hanno affrontato un problema di sicurezza internazionale che esula dai temi economici. Qual è allora il ruolo dell’Onu? Come gestire gli interessi che si giocano in Siria? Come il Medio Oriente può garantire la pace della regione? Lo abbiamo chiesto a Pasquale Ferrara, esperto di questioni internazionali
Il logo del G20

La situazione di queste ore sul dramma siriano è concitata e confusa. Il conflitto ha preso posto anche nell’agenda del G20, impegnato di solito su temi economici e che ora si trova ad affrontare un attacco armato imminente da parte di uno dei principali paesi membri, gli Stati Uniti. Abbiamo chiesto a Pasquale Ferrara, esperto di relazioni internazionali, un’analisi sui compiti di quest’organismo e sulla vicenda mediorientale.

Il G20 come si sta ponendo nei confronti della questione siriana?

Il G20 si svolge in una situazione internazionale molto critica, dovuta proprio alla crisi siriana e mostra un elemento importante nella definizione dei compiti di questo organismo. Il teorema per cui il G20 dovrebbe occuparsi di questioni economiche, mentre compito del G8 sarebbe quello di trattare di quelle politiche e di quelle relative alla sicurezza, non funziona più. E’ interessante che il G20, essendo in questo momento un organismo molto rappresentativo, sia in termini di economia che di popolazione, rispetto ad altri, si debba occupare della questione mediorientale e della sicurezza. Questi temi impegnano ad una trasformazione del G20.

Ma non è questo l’unico tema ad emergere…

«L’incontro si svolge in un clima di accresciuta indifferenza, con poca attenzione ai contrasti tra Russia e Stati Uniti. Le agende di queste due superpotenze nucleari sono destinate a divergere, soprattutto dopo l’arrivo di Putin al governo, molto assertivo nei confronti della Siria e questo è un dato che fa da sfondo alla situazione. Nel G20, poi, ci sono Paesi come la Cina che non vogliono essere trascinati in discussioni sulla sicurezza internazionale, perché vedono come compito deputato di quest’organo la stabilizzazione economica mondiale e quindi non deve funzionare come organo politico. L’altra particolarità è la scarsa rappresentanza dell’area mediorientale, fatta eccezione per l’Arabia Saudita».

Come funziona e come dovrebbe funzionare, allora, quest’organismo?

«Il G20 si è auto investito della rappresentanza di vaste aree del pianeta ma non è pienamente legittimato a farlo perché è una rappresentanza, in realtà, molto parziale. E’ nato per cooptazione perché sono stati gli Stati Uniti ad aver deciso chi vi fa parte e chi no: è stata in fondo una formula per evitare di affrontare questioni complesse come la riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu, per esempio, e quindi non ha alcuna diretta investitura democratica a livello internazionale. Qui il problema non è la rappresentatività, ma la legittimità. Non si tratta di un’organizzazione internazionale, infatti, ma di un gruppo di stati che si riunisce informalmente e decide un’agenda mondiale senza una reale consultazione dei Paesi membri dell’assemblea delle Nazioni Unite, unico organo realmente rappresentativo della comunità internazionale».

Quali saranno allora i veri temi in agenda?

Sicuramente il problema della crescita economica resta fondamentale e c’è il problema delle valute, già sul tappeto da diversi anni. I paesi occidentali ritengono che la Cina mantenga molto basso il valore della sua valuta e ciò falserebbe il regime degli scambi internazionali. C’è poi il grande tema degli investimenti: come si ripartiranno? Che tipo di protezione si garantisce agli investimenti stranieri? Sono argomenti che non si esauriscono a breve perché questi vertici sono preparati con molta pazienza e per molti mesi dai funzionari dei diversi governi e faticosamente discutono i vari punti, quindi non penso ci dovremo attendere particolari sorprese.

C’è d’aspettarsi una presa di posizione decisiva nei confronti della Siria?

Viste le posizioni molto distanti tra i membri, il comunicato stampa finale di questo vertice sarà abbastanza superficiale e diventerà un appello per far cessare le ostilità, rileverà il rispetto della legittimità interna e internazionale, non farà o dirà niente di sostanziale sullo specifico della crisi siriana.

Il risultato quindi sarà l’immobilismo e lascerà campo libero all’intervento armato…

Quello che sta accadendo in Siria non è un problema esclusivamente siriano e ha poco a vedere con la Siria in quanto tale. In realtà dietro c’è una lotta per l’egemonia della regione tra Iran e Arabia Saudita e Turchia, il cui ruolo sta crescendo e si inquadra in uno scontro a tutto campo tra sciti e sunniti e la Siria purtroppo diventa terreno di battaglia di interessi che si decidono altrove.

Il problema della Siria quindi non è un problema solo interno…

La situazione è estremamente frammentata. I ribelli sono una galassia. Ci sono gli alawiti che sono la formazione cripto-sunnita. Ci sono sunniti radicali e moderati, alcuni sono vicini ad Alqaeda, ci sono i salafiti: ognuno di questi gruppi ha sponsor esterni e la situazione resta critica. Lo stesso Assad può contare sull’appoggio dell’Iran, sugli hezbollah libanesi. nessuno Quindi degli attori gioca una partita per proprio conto. Quello che finora ha reso intrattabile il conflitto siriano sono proprio questi interessi esterni che poco hanno a che fare con il futuro del Paese, mentre riguarda uno scontro abbastanza serio tra queste diverse anime del medi oriente.

Non si prospettano soluzioni…

Non è sufficiente un cessate il fuoco in Siria, ci vuole nell’emergenza, ma in realtà ci vorrebbe una volontà internazionale che spinga per un accordo regionale per tutto il Medio oriente, perché in questi territori non c’è nessuna istituzione che lavori per la prevenzione dei conflitti e tutto è risolto o con l’uso della forza o attraverso interventi di altri attori esterni. Manca questo meccanismo ed è questo che rende sempre così fragile la situazione in quest’area.

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