IA, Mario Vento (UNISA): La vera intelligenza è far cooperare una macchina con l’uomo

Nel numero di febbraio della rivista Città Nuova l'inchiesta approfondisce l'Intelligenza artificiale (IA.  In inglese AI, da Artificial Intelligence). Pubblichiamo l'intervista integrale al professor Mario Vento, docente di Intelligenza artificiale e Robotica cognitiva all’Università di Salerno.
Intelligenza artificiale (IA). Image by Freepik
Intelligenza artificiale (IA). Image by Freepik.

Mario Vento è docente di Intelligenza artificiale e Robotica cognitiva all’Università di Salerno. Dal 2017 è nella graduatoria della Stanford University dei più influenti scienziati al mondo (Top 2%) per le ricerche sull’IA (Intelligenza artificiale). Trent’anni fa, ad esempio, già lavorava a progetti per la ricerca di tumori al seno utilizzando questi algoritmi.

Mario Vento, docente di Intelligenza artificiale e Robotica cognitiva all’Università di Salerno.

Professor Vento, lei ha una lunga esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale. Visti i recenti rapidi sviluppi, anche in ambito militare, è preoccupato?
L’IA è una disciplina scientifica che ha cominciato a muovere i primi passi a metà del secolo scorso; la sua maturità applicativa è sensibilmente cresciuta con l’avvento del “deep learning” negli ultimi dieci anni. Come scienziato non sono preoccupato del progresso che la scienza registra nei vari ambiti. Il progresso è opportunità di sfruttare le metodologie emergenti per renderle disponibili ai cittadini nei vari ambiti applicativi. A semplice titolo di esempio si pensi al progresso scientifico nella medicina personalizzata, alla robotica medica e ad altri ambiti dove le tecnologie di IA sono in grado di supportare i medici in diagnosi sempre più precise, a definire protocolli terapeutici personalizzati sullo specifico paziente e sulla messa a punto di farmaci sempre più efficaci. Tali metodologie sono oggi sulla frontiera della ricerca scientifica e con una maturità tale da rendere indispensabile l’attivazione di specifici corsi di laurea finalizzati a creare competenze professionali sulla “digital health”, professionisti in grado di supportare il medico nell’utilizzo di tecnologie dell’IA nella pratica professionale medica. Nell’Ateneo Salernitano è partito da qualche anno, con grande successo, il corso di Laurea in “Ingegneria dell’Informazione per la Salute digitale” che risponde a questa necessità. E se come scienziato sarei più preoccupato se non ci fossero progressi nel campo dell’IA, vorrei tornare alla domanda; la preoccupazione non può riferirsi alle scoperte scientifiche, in questo caso a quelle sottese dall’IA, ma all’uso che l’essere umano può fare di quelle scoperte. Il nucleare ne è un esempio tanto banale quanto efficace: se da un lato il nucleare garantisce la possibilità di produrre energia a basso costo e con grande efficacia, nessuno di noi può certamente dimenticare quale tremendo utilizzo è possibile fare di tale scoperta in un contesto bellico. Sono portato a preoccuparmi molto più dell’uomo che potrebbe fare un uso scorretto dell’IA che dell’IA in sé.

Quali ritiene siano i principali rischi e quali le maggiori opportunità legate all’IA?
Le opportunità sono sconfinate: l’IAha messo a punto metodologie che rendono possibile ad una macchina di apprendere come svolgere un compito, partendo da esempi svolti bene di quel compito; e così oggi la macchina è in grado di riconoscere immagini, video, di comprendere il parlato, di comprendere il senso di una frase e di conversare. È in grado altresì di far muovere un robot in un ambiente in maniera autonoma, di riconoscere persone eventi, solo per citare alcune applicazioni oltre a quella già evidenziata sulla salute digitale. In poche parole, le macchine, opportunamente addestrate, sono in grado di svolgere compiti propri degli esseri umani con una affidabilità confrontabile.
I rischi? A mio avviso si è già consolidata dal 2020 una grande attenzione a livello internazionale e ciò contribuirà nel futuro a trarre un enorme vantaggio dalle potenzialità applicative dell’IA, minimizzando i rischi connessi ad uso improprio. È importante però ribadire che, a mio avviso, nel bilancio opportunità/rischi, non c’è dubbio alcuno che le opportunità siano enormemente maggiori e rilevanti di quanto non lo siano i rischi.

Per un uso sicuro dell’IA bisogna lavorare sulla governance. Di cosa crede ci sia più bisogno?
A livello di governance, è stato mosso un primo passo tanto importante quanto decisivo; mi riferisco all’AI Act (, un Regolamento approvato a fine 2023  dal Parlamento europeo che che regolamenterà, a partire dal 2026, l’impiego dell’Intelligenza artificiale. L’AI Act stabilisce i criteri e le regole per un utilizzo “sicuro” dell’IA:  non è un regolamento astratto, bensì un quadro di norme, atte a disciplinare l’utilizzo dell’IA, nei vari ambiti di applicazione, ognuno caratterizzato da un determinato livello di rischio.

C’è da aspettarsi che l’AI Act non rimarrà congelato nella sua prima formulazione; il progresso dell’IA crea scenari giorno dopo giorno sempre diversi, per cui sarà necessario disciplinare sempre nuovi aspetti. A mio avviso è però importante sottolineare la sensibilità che si sta consolidando sul tema dell’IA sicura, perché è proprio tale sensibilità a dover offrire ai cittadini la tranquillità che dietro ogni sistema di IA ci saranno tutte le attenzioni per rendere sicuro il sistema e consapevole l’uso.

Come immagina il futuro? L’IA, i robot, le nuove tecnologie, potranno davvero sostituire l’uomo, un giorno?
L’evoluzione tecnologica ha già reso disponibili, e sono tantissimi, i sistemi in grado di automatizzare processi, affidando ad una macchina un compito altrimenti svolto da un uomo. Su tale aspetto, l’IA non introduce un problema nuovo, ma certamente rende possibile affidare ad una macchina compiti via via sempre più complessi. Ciò non è prerogativa del futuro, ma del passato e del presente: anche senza IA, l’automazione industriale ha generato un fenomeno di trasferimento di compiti ripetitivi dall’uomo alla macchine, con tutte le implicazioni sociali. Un semplice esempio: oggi saliamo su aeromobile, che già da tempo, ha funzioni di guida automatica, che supportano il pilota nella guida. I piloti esisteranno (ancora) per molto tempo, ma un nuovo paradigma si consolida: quello della cooperazione. Le macchine, quelle veramente intelligenti potranno senz’altro svolgere compiti intelligenti, ma la vera intelligenza è quella che rende una macchina capace di integrarsi con un essere umano.
Diminuiscono i posti di lavoro? Lunga potrebbe essere la mia risposta; mi limito a dire che il mondo delle professioni sta sensibilmente cambiando e se da un lato l’esigenza di operatori in grado di svolgere lavori ripetitivi sta (da anni) sensibilmente diminuendo, non possiamo ignorare che aumenta la richiesta di operatori in grado di rendere usabili tali sistemi in una realtà applicativa, oltre le professioni legate alla progettazione e realizzazione dei sistemi di IA. Il progresso, problema ben noto dall’inizio della rivoluzione industriale, ha innescato la problematica sottesa dalla domanda. L’IA in tal senso è solo l’ultima potente metodologia che si allinea al progresso.

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