I muri distrutti di Michele

Mi racconta di sé quando ci rechiamo di buon mattino al cantiere o prendiamo una pausa per recuperare le energie di una mattinata trascorsa tra intonaci, calcinacci, polvere e vernici. La cornice del quadro è irrilevante perché ciò che mi racconta Michele sono perle di saggezza che fanno meditare, impongono desideri di conversione, commuovono. Grammichele il paese dove vive Michele, immerso nell’entroterra siciliano. Dopo la guerra – racconta con la coscienza di essere un privilegiato – c’era lavoro per tutti. Per quelli come me che fin da bambini fanno i muratori, non c’è mai stato il problema della disoccupazione . In effetti l’abilità di Michele è conosciuta fuori e dentro il paese. Le sue mani, ruvide e provate dagli anni di lavoro, sembrano danzare quando incontrano gli strumenti del mestiere. Don Michè – così come lo chiamano in paese – ha un’estrema confidenza con badile, cazzuola, cemento e mattoni forati. Il lavoro non mi ha mai fatto paura – mi confida -, anzi non ho nessuna intenzione di andare in pensione. Muratore sì ma non figlio d’arte. Ho iniziato a fare questo lavoro perché non amavo il mestiere di agricoltore di mio padre. Così le carriere iniziano. Per caso, per tradizione o per necessità. La voglia di avventura e di scoperta continua a sollecitare quell’adolescente finché, appena diciottenne, la sua nuova patria diventa la Svizzera. Pioggia, neve e freddo non lo spaventano, ma decide comunque di dare una pausa a quell’esperienza pur bella ed emozionante, che ricorda così: Ho imparato a parlare il bergamasco perché con me c’erano tanti emigrati italiani ed in particolare lombardi e veneti con cui siamo andati sempre d’accordo. Ma al ritorno al paese d’origine, l’incontro con Angela cambia la sua vita. Per lei abbandona l’idea di un ritorno in Svizzera e decide di mettere radici proprio lì, a Grammichele. Il matrimonio e i primi figli. Un lavoro certo ed abbondante; ma nell’anima qualcosa manca all’appello. Accompagnavo i miei figli a messa solo per non dare il cattivo esempio, ma non conoscevo Dio. Man mano che il tempo passa quella mancanza si fa insopportabile e gli inviti di Angela ad avvicinarsi al Signore suonano come una voce sempre più prepotente in lui, così genuino e vero. Poi una notte, quando la ricerca si fa irresistibile,Michele chiede ad Angela: Insegnami a pregare. Come una vecchia auto ferma da decenni che a poco a poco prende a carburare di nuovo. Qualcosa cambia in lui e il suo modo di relazionarsi con gli altri assume nuovi contorni. Finché un giorno l’invito di don Luigi a partecipare ad un incontro del Movimento dei focolari. Michele non manca, desideroso come mai di conoscere sempre di più Dio. La nascita dell’ultima figlia, Maria Chiara, sigilla quel momento favorevole; la nave sembra navigare in acque sicure, ma neppure due mesi dopo improvvisamente Angela, che era stato lo strumento per riavvicinare Michele a Dio, muore. Lui reagisce a quel destino che di primo impatto potrebbe apparire assurdo ed inspiegabile. Il Vangelo vissuto in modo radicale diventa il suo sostegno. Sono stati momenti duri – mi racconta con gli occhi gonfi di lacrime ripensando a quegli anni -, ma per la certezza che l’amore vince tutto e per la vicinanza degli amici dei Focolari li abbiamo superati. Di quei giorni racconta che un pomeriggio sente delle grida. Accorre in strada: una lite è esplosa tra due vicini di casa dopo che uno dei due, svolgendo un lavoro, ha imbrattato l’ingresso nell’appartamento dell’altro.Michele non esita a ripulire il tratto di strada, lasciando senza parole i due che cessano immediatamente il litigio. In un’altra occasione, trovandosi all’ospedale, si offre di assistere un anziano che non desiderava nessun infermiere e non riusciva a dormire. Quella notte Michele si ferma accanto al suo letto tenendogli la mano. L’uomo dorme serenamente con grande meraviglia degli infermieri del reparto. E come non ricordare la volta in cui, invece di vendicarsi di un torto subìto, offre ospitalità e accoglienza alla persona che gli ha procurato il danno? O quell’altra in cui la sua genuina tes t i m o n i a n z a convince un uomo a non commettere un furto da tempo meditato? Una vita spesa per valori che non passano ha fatto di Michele un naturale punto di riferimento per tanti del paese, e non solo. Semplicità e coerenza sono ben salde nell’anima di quell’ometto di un metro e sessanta con le mani screpolate dalla calce, ma col cuore rigoglioso di vita. L’ho visto una prima volta attorniato da un vivace gruppo di giovani. I suoi ragazzi, ho saputo più tardi. Quelli che segue con pazienza ed impegno formando in loro delle coscienze aperte alla fraternità universale. Dopo avermi invitato ad osservare quella scena commovente, la persona che era con me ha aggiunto: Quel signore è Michele. Fa il muratore.

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