I Ghirlandaio

La celebre famiglia di pittori del ‘400 in mostra a Scandicci, Firenze, fino al 1 maggio
mostra i ghirlandaio

È dallo scorso novembre che Scandicci ospita, nel restaurato Castello dell’Acciaiolo, una rassegna del tutto speciale sui Ghirlandaio, la celebre famiglia di pittori-decoratori le cui imprese più belle si vedono nel coro della chiesa di santa Maria Novella a Firenze, nelle storie di santa Fina a san Gimignano, per non parlare della Cappella Sistina in Vaticano.

 

La mostra di Scandicci non presenta opere grandiose né è folta di lavori di questi nostri maestri del ‘400 che hanno insegnato la pittura a tanti, fra cui Michelangelo. Ha operato, con intelligenza lucida, una scelta. Nella sala a piano terra del castello ci appare subito la tavola con i santi Jacopo, Stefano e Pietro del capostipite Domenico, eseguita sul 1494, in pieno rinascimento toscano. C’è una eleganza nelle posture, nei panneggi, una armonia nelle nicchie architettoniche da cui si rilevano le figure che dà un senso di grande pace. Questo è il rinascimento fiorentino senza ombre né tormenti. Ma non è accademico né superficiale. In particolare, la figura di Stefano è monumentale senza esser pesante, elegante senza affettazione, ed i colori sono quelli della tempera, stesi a larghe falde eppure decisi in ogni dettaglio decorativo.

 

Perché i Ghirlandaio sono anche degli “orafi” del pennello, che amano sottolineare i bordi delle vesti, i puntini delle aureole, gli oggetti, chiavi o libri, come prodotti di squisita raffinatezza. La dinastia continua con David, che muore nel 1525, di cui si ammira l’affresco della Crocifissione: meno prezioso rispetto all’arte di Domenico, si direbbe più “umano”, con un accenno ai sentimenti meno raffinato ma più vicino a noi. Ridolfo, che scompare nel 1561, dipinge da giovane una Madonna e santi. Si direbbe che la preziosità tipica della famiglia qui ceda il posto ad una certa maniera: la tipologia del volto di Maria sa di un Raffaello acerbo, mentre è il san Francesco, dal bel volto chiaroscurato, il brano migliore. Forse nel santo è da individuare il ritratto del committente, perciò appare più vivo, mentre il gruppo sacro è fin troppo tradizionale. Che l’ispirazione a Ridolfo venisse soprattutto nei ritratti lo si può vedere nel Ritratto di uomo col berretto degli Uffizi, del 1517. Un volto simpatico sul fondo verde marcio, un sorriso accennato ma sincero, a riprova che per questo pittore il genere sacro costituiva un ripiego.

 

Ma i Ghirlandaio gestivano una bottega fiorente che sfornava opere, sacre, di continuo. Nella stupenda abbazia di san Salvatore e Lorenzo a Settimo, nella sagrestia, ecco la tavola di una Adorazione dei magi che rappresenta un compendio dello stile degli allievi. Figure legnosette, colori striduli, pose di scuola e poi il brano più autentico: una bella veduta di un lago tra monti azzurrini e un porto. Accanto, una Deposizione, che alla lontana ricorda quella dell’Angelico. C’è un sentimento di preghiera sincera nei due santi inginocchiati che attira. Chi sarà stato l’allievo a inventare questo brano? Vale la pena fare un viaggio in questa abbazia – bisognosa del restauro promesso a suo tempo dal ministro Bondi che qui ha recitato le sue poesie –, ricca di gioielli unici di storia e di arte, per ammirare di cosa fossero capaci gli allievi, oggi per noi anonimi, del clan dei Ghirlandaio.

 

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