Grandi mostre a Roma

Giovanni Boldini e Georg Baselitz, rispettivamente al Vittoriano e al Palazzo delle Esposizioni

La primavera romana si presenta ricca di appuntamenti. Ed è un bene perché le rassegne “rendono” oggi più di quanto si pensi, come ha recentemente affermato Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, più attivo rispetto al passato. Anche se il pericolo del turismo museale, del mordi-e-fuggi, molte foto e scarso pensiero, esiste pure da noi.

Al Vittoriano, fino al 16 luglio è in onda la megarassegna su Giovanni Boldini, il cantore della Belle Époque, ottimista e senza problemi. 160 tra oli e pastelli di un virtuoso del pennello. Scioltezza, rapidità fulminea, scatto del tocco, colori guizzanti tra sete, tube, gioielli, poltrone e divani, interni lussuosi: uomini e soprattutto donne del gran mondo, disincantate, libere, seducenti. Una grazia mondana, apparizioni fotografiche nervose e accattivanti. È la civiltà dell’immagine e dell’apparire, come la nostra, è il regno della borghesia. Le classi povere non esistono né in Italia né a Parigi, dove il maestro ferrarese (nato nel 1841) si trasferisce e riscuote un successo indescrivibile. Riesce persino a ritrarre un orso come Verdi, intabarrato e dagli occhi grigi da gatto e poi seduto, le grosse mani sulle ginocchia, meno teso del solito.

La galleria femminile è vasta. Una primeggia su tutte, la favolosa Francesca Florio di Palermo, espressione massima di anni felici della nobiltà siciliana, dalla lunghissima collana di perle che le scivola sul’abito di seta come una cascata. Boldini lo pennella facendoci sentire il fruscio della veste, ma poi la sua attenzione si sposta sul volto della bruna bellezza mediterranea. Dice un mondo, una civiltà, una apparizione di splendore. Affascinante, ma esteriore. Boldini, che muore nel 1931, è un virtuoso straordinario, ma non entra nell’animo dei personaggi. D’altronde, non lo vuole lui né lo vogliono loro. In questi decenni di fin de siècle ciò che importa è l’apparire, l’essere splendidi come una visione. Che però poi subito scompare tra fruscii di seta e lampi di colore. Come oggi, a quanto pare. È la civiltà dell’attimo che Boldini – e questo è il suo merito – riesce a fermare e a ripresentarlo a noi come un fiore di lusso (catalogo Arthemisia/Skira).

Di tutt’altro segno la rassegna al Palazzo delle Esposizioni, dedicata agli Eroi di Georg Baselitz (fino al 18 giugno, catalogo Hirmer). Il titolo della rassegna è ironico, perché gli eroi del pittore tedesco non sono figure da prendere a modello, non sono esemplari, anzi, hanno perduto dignità e pudore. Sono dei sopravvissuti, senza ideologia. Eppure posseggono la forza della speranza. Sono, le opere esposte, realizzate dall’artista tra il 1965 ed il 1966 quando egli aveva ventisei anni, si era in piena Guerra fredda, e l’eco de conflitto mondiale era ancora vivo.

Sono figure con i vestiti logori, corpi enormi e snelli, teste piccole e sfuggenti, animati da una grande vitalità. Non sono belli, perché l’artista è un tedesco legato a quell’espressionismo di lontana radice medievale e rinascimentale (Bosch e Grunewald insegnano) che perdura in terra germanica come un fiume carsico sempre riemergente. Ma sono veri, presenze forti e parlanti. Il Pastore in viaggio (1965) avanza tra nuvole azzurre e cieli rosa, il volto trasognato, serpenti di fuoco ai lati. Forse canta la melodia di una canzone di guerra, quella del 1918, ma il passo è lento, difficile: come è difficile vivere oggi, nel secolo ventunesimo. Il Ribelle (1965) si erge con occhio di sfida dal fondo nero, il corpo largo, le mani sanguinose: è un eroe disumanizzato, simile ad un robot, non ha nulla di ideale, solo voglia di vivere e di lottare.

A ben vedere, la galleria di uomini-vittime di un mondo che si va consumando assume un aspetto robottizzante. È come se Baselitz volesse dire dove stiamo andando, verso quale società priva di sentimento ci stiamo dirigendo. I suoi antieroi, brutti ma determinati, sofferenti ma mai vinti, dicono ancora una smisurata volontà di vivere e di essere persone umane.

Mario Dal Bello

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