Gli Stati africani dell’Ovest: Gbagbo lasci il governo

Condannati i metodi repressivi del presidente uscente e le stragi dei civili. Per gli altri leaders africani il potere deve passare al rivale Ouattara
Proteste in costa d'avorio

Più di 450 morti, centinaia di feriti, migliaia di rifugiati, una guerriglia senza quartiere che si sta trasformando in guerra civile e due presidenti che si disputano la guida del Paese: il capo di Stato uscente, Laurent Gbagbo, riconosciuto vincitore dalla Corte Costituzionale, e lo sfidante Alassane Ouattara, dichiarato eletto dalla Commissione elettorale e ritenuto tale dalla comunità internazionale. Il conflitto che sta dilaniando la Costa d’Avorio dal 28 novembre 2010, sta diventando sempre più feroce e adesso è la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (l’Ecowas) a tentare la mediazione. Dopo l’assemblea ordinaria del 23 e 24 marzo in Nigeria, in cui su sollecitazione di Gbagbo è stata affrontata la questione ivoriana, è stata presentata una risoluzione che condanna proprio i metodi del presidente uscente e chiede formalmente il passaggio dei poteri a Ouattara. Cosa succederà adesso? E come vive la popolazione questo stato di incertezza e violenze? Ne parliamo con padre Toninho Lunes, missionario del Pime (Pontificio istituto per le missioni estere), che in Costa d’Avorio è vissuto per 19 anni.

 

Com’è la situazione attuale?

«Venerdì scorso su ordine del presidente uscente Gbagbo c’è stato un bombardamento nel mercato del centro della città di Abidjan, nella zona di Abobo, dove sono concentrati i “ribelli”, cioè i sostenitori di Ouattara. Quest’azione, che ha ucciso una quarantina di persone e altrettanti feriti, è stata condannata dalla popolazione e dalla comunità internazionale, anche perché in precedenza, nel corso di una manifestazione di donne, hanno sparato sulla folla, provocando altri morti. Messo alle strette, per la prima volta Gbagbo si è detto disponibile al dialogo».

 

Un passo avanti. La sua disponibilità si è concretizzata?

«Prima, ha chiesto un parere alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, spiegando che tra africani è possibile risolvere il problema, senza l’ingerenza dell’Onu e delle altre potenze straniere. Dopo il passo in avanti, però, ne ha compiuto uno all’indietro. Ha infatti proposto a Ouattara di diventare suo vice».

 

Una proposta che non sarà stata accettata…

«Infatti è stata formalmente rigettata, tanto più che Ouattara è riconosciuto da tutti come il vero presidente, anche se naturalmente Gbagbo ha i suoi sostenitori. Il fatto è che dal 2002 la Costa d’Avorio era divisa in due zone: una al Sud, guidata da Gbagbo, l’altra al Nord con Ouattara».

 

Qual è stato, invece, il parere della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale?

«Nel tentativo di non scatenare la guerra, l’Ecowas ha presentato una risoluzione in più punti con la quale condanna, innanzi tutto, l’uccisione di civili provocata da Gbagbo. Poi, sanziona l’appello del presidente uscente alla popolazione affinché si ribelli all’Onuci (l’Operazione dell’Onu in Costa d’Avorio), che ha già portato alla distruzione di alcuni automezzi della stessa organizzazione. L’Ecowas chiede inoltre di garantire la sicurezza dei civili e dei beni materiali. Al momento, nel paese ci sono 10mila caschi blu. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale chiede che ne vengano inviati molti altri per garantire un pacifico passaggio di poteri da Gbagbo a Ouattara, con la speranza di evitare un intervento militare esterno».

 

La popolazione come vive questo stato di crisi?

«Si è consapevoli che questa mediazione dell’Ecowas è l’ultima chance per evitare la guerra. Purtroppo, la situazione sociale è terribile. A causa dell’embargo internazionale nel Paese non arrivano medicine né le materie prime necessarie alle aziende per lavorare. Di conseguenza, molte sono state costrette a chiudere, senza poter pagare i dipendenti. La stessa città di Abidjan, nella quale vivevano cinque milioni di abitanti, si è quasi svuotata a causa degli attacchi, con la gente che scappa verso i villaggi. La situazione è molto difficile anche a livello del commercio e dei trasporti. Ci sono continui controlli da entrambe le parti, con militari e guardie che fermano i civili, per verificare la presenza di armi, e poi chiedono soldi. Anche le banche sono state chiuse e due istituti di credito sono stati nazionalizzati per consentire a Gbagbo di pagare i militari. Non so fino a quando si potrà andare avanti in queste condizioni. Se pensiamo alla Libia, dove per tutelare le riserve petrolifere c’è stato un intervento immediato della comunità internazionale, e la paragoniamo alla Costa d’Avorio, ci accorgiamo che per quest’ultimo Paese c’è solo un blando interesse. Eppure, ci sono molte vite umane da salvare. La comunità internazionale deve intervenire subito, per scongiurare il rischio di una guerra civile, che sta diventando sempre più reale».

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