Gli africani, la prima risorsa del continente

Jean-Baptiste Sourou, affrontando il tema dell'immigrazione nel suo libro Affondo, apre uno sguardo più vasto sulla realtà dell'Africa. In dialogo con l'autore.
Sourou

«Noi africani emigrati abbiamo la grazia di poter essere qui: per questo dobbiamo farci portavoce, indipendentemente dal Paese da cui proveniamo, dei nostri fratelli che stanno soffrendo». Jean-Baptiste Sourou, docente universitario a Roma originario del Benin, è stato animato anche da questa intenzione – oltre che dal suo lavoro come giornalista – nello scrivere il libro Affondo (Ed. San Paolo). Uscito lo scorso 1 marzo, è il frutto del suo vissuto a fianco degli immigrati e delle sue corrispondenze da Lampedusa per vari media sin dall’estate del 2003: i fatti di questi giorni, tuttavia, lo rendono di estrema attualità. Ne parliamo con l’autore.

 

 

Lei ha iniziato a scrivere il libro nel 2005: che cosa è cambiato in questi anni, anche alla luce degli ultimi avvenimenti?

 

«Ho scritto la prima parte nel 2005, e la seconda nel gennaio del 2010. Dopo le mie corrispondenze sull’immigrazione, mi sono sentito molto scoraggiato di fronte ad un’ipocrisia troppo grande in vari ambiti: com’è possibile che i media ne parlino soltanto quando ci sono dei morti? Che cosa fanno i decisori politici, sia in Europa che in Africa, perché questo non accada? L’Unione Europea ha attivato il servizio Frontex per difendere i propri confini, e chiesto agli Stati africani di cooperare per fermare i flussi: l’Italia stessa, oltre al noto accordo con la Libia, ne ha stipulato uno con il Ghana (ed il Niger). Ma si è fatto ben poco per trovare meccanismi che aiutino la gente sul posto, ad esempio sostenendo l’agricoltura e l’artigianato, e il commercio dei prodotti locali a prezzi equi».

 

 

Nel suo libro, oltre che delle “colpe dell’Europa”, parla dei “silenzi dell’Africa”: sono dei silenzi subìti o dei silenzi “colpevoli”?

 

«L’Africa avrebbe dovuto parlare e non l’ha fatto. È vero che l’Europa non accoglie: ma chi è che costringe gli africani ad andarsene se non i dirigenti africani stessi, che troppo spesso attuano politiche non rivolte al bene di chi li ha eletti ? A mio avviso, enti come l’Unione Africana o altre organizzazioni regionali non hanno mai affrontato seriamente questo problema. L’assenza politica non c’è solo da parte dell’Europa, ma anche dell’Africa stessa. Lo trovo scandaloso».

 

 

Molto spesso sui nostri media sono degli europei a parlare di Africa: che cosa avrebbero da dire, invece, gli africani?

 

«Purtroppo i media europei si fanno passare per amici dell’Africa in maniera del tutto stereotipica, interpellando questo o quell’esperto che ha fatto qualche ricerca sul continente. Pochi invece cercano gli africani, che sono capaci di raccontare meglio la propria realtà: se si vuole davvero conoscere l’Africa, bisogna chiedere a loro. Che, se potessero parlare, direbbero: lasciateci realizzare i nostri sogni come crediamo sia meglio per noi, senza imporci i vostri modelli o i vostri interessi. La solidarietà è importante, perché nessuno fa niente da solo: ma gli africani, soprattutto i giovani, devono continuare a credere di essere capaci di molto, e puntare i piedi contro ciò che non aiuta la loro gente. In questo senso il mio libro non è solo una denuncia, ma anche un invito a riscoprire che la prima risorsa dell’Africa sono gli africani stessi».

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