Giù le mani dal Medio Oriente

Dalla sofferenza dei popoli mediorientali una nuovissima spinta verso la riconciliazione. La voce di due testimoni, mons. Armando Bortolaso e mons. Simon Atallah, nella prima parte di questa intervista
siria guerra

Parole inequivocabili e forti. «La primavera araba è una menzogna storica», è l'affermazione netta di mons. Armando Bortolaso (22 anni in Siria e per 10 vicario apostolico dei latini per la Siria, con sede ad Aleppo). Parole ripetute dal vescovo maronita Simon Atallah della diocesi di Baalbek-Deir El-Ahmar, a nord del Libano, al confine con la Siria.

Parole simili, nel tono e nel contenuto, a quelle pronunciate dal patriarca maronita Béchara Raï aBkerke, a nord di Beyrouth, il 29 gennaio all’agenzia Fides per denunciare gli Stati che forniscono denaro, armi e mezzi sia al regime che all’opposizione in Siria: dovranno rispondere di «crimini davanti al tribunale della storia».

Incontro mons. Bortolaso e mons. Atallah in una pausa durante l’incontro dei vescovi amici del Movimento dei Focolari a Roma. Sono disponibili al colloquio, che ritengono quasi una missione.

«La primavera araba è una menzogna. Si tratta piuttosto di una primavera islamica del terrore, mentre "l’inverno arabo" dilaga. Quando arriverà la nuova stagione della pace e del dialogo?», si domanda mons. Bortolaso. Si può azzardare un’analisi?

Per mons. Atallah: «È incontestabile che in Siria non c’è una vera democrazia. Questa è desiderata da tutti, certamente. Non però quella di taglio occidentale». La questione della democrazia non sarebbe piuttosto un pretesto per l’intervento di forze straniere e per lo scatenarsi dell’attuale rivoluzione dal futuro incerto e pericoloso? «Occorre senz’altro una crescita di democrazia, ma si usano mezzi illeciti: armi, denaro, violenza. O lo scopo non è piuttosto quello di mettere le mani sull’economia del Paese?».

Riprende mons. Bortolaso: «La maggioranza della popolazione siriana appoggia il presidente Assad. Si preferisce un governo laico, come è quello attuale in Siria, piuttosto che uno confessionale come in Egitto, dove ciò che accade è sotto gli occhi di tutti. L’attuale regime è in genere sostenuto dalle minoranze (circa il 30 per cento): alawuiti e sciiti, cristiani, curdi, drusi, ismaeliti…, e da circa il 30 per cento dei musulmani sunniti. Questi sono musulmani in genere istruiti, moderati, che non hanno niente da spartire con gli estremisti islamici di Al Qaida oppure con i jihadisti sostenitori della guerra santa la cui stragrande maggioranza proviene dall’estero. Questi cercano potere anziché democrazia; distruggono e creano il caos».

Annuisce mons. Atallah: «Si tratta di un disegno che ha del diabolico, di una strategia perversa che viene dall’esterno e che fa leva sulla lotta atavica di sunniti contro sciiti e alawiti. Un disegno che mira alla frantumazione, al frazionamento del Medio Oriente e alla creazione di tanti piccoli stati confessionali quante sono le appartenenze religiose, una sorta di stati ghetto». Di più. Questa precisa politica internazionale di destabilizzazione spinge tra l’altro i cristiani a «lasciare il Medio Oriente e ad abbandonare per sempre le loro terre e quindi le loro antiche e venerande Chiese che furono la culla del Cristianesimo, costringendoli ad un esodo lento, ma inesorabile». Lo confermano i dati: all'inizio del secolo scorso i cristiani rappresentavano il 20 per cento della popolazione, oggi, nei diversi Paesi dell'area asiatica sud-occidentale, al massimo arrivano al 10 per cento. A eccezione del Libano, con circa il 35 per cento, un numero però in continua diminuzione.

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