Dieci ragioni per amare Roma e creare anticorpi

Raffaele Cantone accusa la capitale di non avere gli anticorpi atti a combattere la corruzione. Diamoci da fare, romani! Se i nostri capi non si muovono, o si muovono male, almeno noi, nel nostro piccolo possiamo far qualcosa di buono.
Foro romano e Campidoglio © Michele Zanzucchi 2015

Nel caos che pare avvolgere la città di Roma, vittima di corruzioni e di malaffari vari, attraversata da nastri d’asfalto che paiono colapasta, abitata da una popolazione sempre più esasperata per i disservizi, serve un sussulto. Difficile che si riesca a rimettere in piedi una città prostrata, ma almeno ci si può provare. Immaginiamo se…

 

Primo. Se i cassonetti fossero trattati per quel che devono fare, cioè contenere le immondizie non lasciate nei loro dintorni perché è faticoso aprirli. E se gli addetti dell’Ama fossero puntuali nel raccogliere l’immondizia e dessero una pulita ai cassonetti dopo averli svuotati…

Secondo. Se i gestori dei bar del centro non mettessero i tavolini sui marciapiedi senza autorizzazione. E se i vigili urbani non esigessero sottobanco qualche mancia per chiudere un occhio.

Terzo. Se i funzionari del comune considerassero il loro lavoro come una missione per il bene comune e quindi rispettassero gli orari e si impegnassero con creatività nel loro lavoro. E se gli utenti degli uffici comunali salutassero gli impiegati con gentilezza e non con la rabbia dell’esasperato.

Quarto. Se i preti e le suore e i religiosi fossero al servizio della città e non solo del proprio ordine e della propria congregazione. E se gli affaristi stessero lontano dalle suore anziane o dai religiosi imbambolati per spillare loro soldi.

Quinto. Se gli autisti dell’Atac trattassero i loro mezzi con attenzione e rispetto, se i meccanici li tenessero in ordine e se gli utenti pagassero tutti il biglietto.

Sesto. Se i lavoratori e i responsabili dei vari cantieri aperti nella città non cercassero in tutti i modi di prolungarli per aumentare la fattura da presentare al comune e se i funzionari del comune non chiedessero mai “compensazioni supplementari” per il loro lavoro di facilitatori.

Settimo. Se i sindaci del Campidoglio e delle circoscrizioni considerassero la loro missione solo come un servizio alla cittadinanza e non cercassero visibilità pronti a togliere il disturbo non appena arrivata la data della sana alternanza.

Ottavo. Se gli studenti liceali e quelli delle tante università studiassero come se quello fosse il loro lavoro, magari con piccole borse di studio legate al merito e all’impegno, e se i professori avessero la bontà di dedicare il tempo necessario alle loro classi.

Nono. Se i giovani bevessero solo moderatamente e non passassero intere notti a vagare da un bar all’altro, e se i gestori dei bar del centro non trovassero tutti i modi per vendere più alcol possibile agli adolescenti.

Decimo. Se le sale da gioco venissero chiuse, se i dealer venissero emarginati, se i campi rom fossero chiusi e i loro abitanti fossero integrati nei quartieri col concorso della società civile…

 

Undicesimo… Dodicesimo… Lo so, sto sognando ad occhi aperti. Ma il mondo è anche di chi sa sognarlo. Se ognuno di noi s’impegnasse un po’ di più, Roma sarebbe la più bella città del mondo. Anzi, lo è già. Basterebbe rendersene conto e rispettarla.

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