Cosa sta accadendo in Turchia

Gli scontri nel Paese imputabili a decisioni impopolari del governo sulla costruzione di un centro commerciale e di una moschea nel parco di Taksim non possono essere definiti Primavera turca. Attenzione alle valutazioni superficiali e poco approfondite
Turchia

Nonostante la copertura data dalla stampa agli avvenimenti sul Bosforo non è facile  capire cosa stia davvero succedendo negli scontri tra manifestanti e polizia. Un amico che vive a Istanbul da anni, a cui avevo mandato un breve mail per assicurarmi che stesse bene, mi ha risposto lunedì mattina con queste parole:

«Qui tutto bene a parte i disagi del traffico per via dei lavori in piazza Taksim e delle manifestazioni che sono molto pacifiche e con tantissimi giovani. Il primo giorno ci sono stati degli interventi della polizia sproporzionati su cui è stata già aperta un'inchiesta. I motivi scatenanti sono stati la costruzione di un centro commerciale e di una moschea nel parco di Taksim. C’è chi aggiunge anche il dissenso per la costruzione del terzo ponte sul Bosforo appena iniziata. Negli ultimi due giorni la piazza era affollatissima e c’era il sostegno anche di manifestanti in altre città turche, ma tutto molto pacifico. Naturalmente l'opposizione sta approfittando dell'occasione per fare la voce grossa. Aggiungiamo anche che il Primo ministro non è abituato a perdere e quindi il quadro è completo. Qualche media occidentale parla di Primavera turca: è' ridicolo! Al dire di opinionisti, attenti, il rinnovamento è già partito negli anni novanta e maturato in questi ultimi con lo scalzamento del regime militare in maniera progressiva, intelligente e senza scontri cruenti».

Queste notizie mi sono arrivate mentre i media di casa nostra mostravano scontri violenti, e davano una lettura, apparentemente chiara ed inequivocabile di uno scontro di potere. La situazione è, senza dubbio, delicata, ma è difficile pretendere di capirla fuori dal Bosforo. Basta prendere in mano uno dei giornali turchi o semplicemente accedere online a qualcuno di essi, per rendersi conto che una è la realtà di piazza ed una è quella che traspare sugli organi ufficiali.

L’autorevole giornale in lingua inglese Today’s Zaman (esiste anche la versione in turco che, con più di un milione di copie, è il primo quotidiano del Paese) in prima pagina mette, senza dubbio, l’intervento del presidente Gül che, dopo aver assicurato i manifestanti che le loro istanze sono state recepite, invita ad usare il buon senso e a ritornare alla calma, ricordando che la democrazia non è solo la libertà di esercitare il diritto di voto, ma anche di svolgere manifestazioni pacifiche. D’altra parte, il quotidiano riporta altre notizie da prima pagina, fra cui la situazione critica della Borsa a causa delle manifestazioni, ma anche l’impegno di ottenere i Giochi Olimpici del 2020. Non manca poi l’attenzione alla politica estera con le questioni che riguardano la Siria e il viaggio di Erdogan nei paesi del Maghreb.

Insomma i problemi ci sono, ma la vita può continuare e si può guardare al futuro. Allo stesso tempo, si intuisce che nelle pieghe delle manifestazioni e della protesta, anche se è assurdo in un Paese come la Turchia parlare di ‘Primavera’, sta succedendo qualcosa che è difficile decifrare, almeno per ora.

Hürriyet Daily News, il più longevo fra i quotidiani anche questo in inglese  (è apparso in edicola nel 1961) propone servizi ed interviste interessanti, che leggono in quanto sta succedendo qualcosa di non secondario o trascurabile. Quello che si sta giocando a Taksim è importante per quanto questa piazza e la zona significhino per Istanbul e la politica.

«Taksim – spiega in un'intervista, riportata dal quotidiano, Korhan Gümüş, un architetto impegnato in progetti nella metropoli turca, oltre che professore universitario e attivista sociale – è un simbolo della città, costruito in epoca repubblicana come spazio culturale e ricreativo, un progetto ambizioso. Dopo aver aperto un grande parco – quello che si trova ora al centro del contenzioso iniziale delle manifestazioni – e istituzioni culturali pubbliche, negli anni cinquanta, si è cominciato a privatizzare parte della zona e a costruire hotel ed altri edifici che nulla avevano a che fare con il progetto originale. Le decisioni sono state sempre unilaterali e senza un’adeguata consultazione o un coinvolgimento della popolazione».

Lo stesso è avvenuto in quest’occasione. Il problema attuale di Istanbul, sottolinea Gümüş è «la mancanza di un programma pubblico che possa essere di supporto alle attività culturali della città. Di fatto, il settore pubblico fa affari con ditte private, si vende a loro a spese della gente e del bene comune. Ormai, anche in Turchia chi detta legge è l’economia di mercato globalizzata. L’amministrazione decide, senza che la gente possa esprimere una sua posizione in merito». Da questo stato di cose sono nate le proteste che si sono poi estese per i contenuti anche ad altre parti del Paese, coinvolgendo ed inglobando altre discusse leggi governati contro gli alcolici e i comportamenti considerati troppo liberi in pubblico.

In Occidente, comunque, è bene restare attenti ad osservare quanto davvero accade, piuttosto che tirare conclusioni affrettate.

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