Cosa resta dei martiri di Tibhirine

Continua il racconto del viaggio in Algeria per il ventesimo anniversario del sequestro e dell'uccisione dei monaci di Tibhirine. Il pasto condiviso, la messa e il pellegrinaggio sono segni di un dialogo tra Islam e cristianesimo che non deve fermarsi
Il funerale dei sette monaci di Tibhirine il 2 giugno 1996

Dopo la pubblicazione di Un segno sulla montagna di Massimo Toschi, pubblichiamo di seguito la seconda parte del suo articolo.

È evidente a tutti che la memoria dei monaci non possa essere cancellata da una scelta pastorale spostata in avanti, né da una visione che vuole mettere tra parentesi tutto quello che è accaduto. Anche le nuova generazioni di vescovi non possono perdere il legame con la memoria spirituale di Tibhirine, che è come una fonte di acqua zampillante. Una fonte inesauribile e sempre fresca. Il martirio non può essere dimenticato né cancellato.

 

Oggi che il terrorismo, dopo aver devastato l’Algeria, è arrivato in Europa, a Bruxelles e a Parigi, passando da Mosca, da Londra, da Madrid, è necessario ripensare il dialogo interreligioso tra musulmani e cristiani. Tibirhine e frère Christian appaiono una costante e insostituibile fonte di ispirazione.

 

Dobbiamo anche dire con franchezza che a livello di Chiesa universale si sono cercate altre strade e si sono nominati vescovi che seguivano altri percorsi. Si è puntato alla dottrina e non all’incontro.

 

Roma non ha capito e ha compiuto scelte che hanno umiliato questa piccola e povera Chiesa, ma al tempo stesso lo spirito di Tibhirine non si è perduto, anzi il sacramento dell’incontro è divenuto patrimonio di tutta la Chiesa con l’elezione di papa Francesco a vescovo di Roma.

 

Nell’incontro che è stato fatto il pomeriggio con i parenti sul futuro del monastero, tutto questo è emerso con grande forza, la forza inerme e a mani vuote della comunità di questo monastero. Il suo futuro sta nelle mani di Dio, non nelle astuzie di qualcuno. È Dio che lo conduce, non le nostre risorse umane. Dio davvero ha voluto che questo monastero non subisse la cancellazione secondo il desiderio dei terroristi e dei politici.

 

Oggi appare chiaro il disegno di Dio. Si tratta semplicemente di riconoscerlo. Il papa lo ha fatto in modo semplice, affermandolo nella prefazione del libro "Tibhirine, l’héritage", pubblicato in Francia a cura di Christophe Henning, per le edizioni Bayard. Ha parlato di "segno sulla montagna", ha parlato del martirio, ha parlato di semplicità e di misericordia come dei contenuti della vita qui vissuta e qui donata.

 

In questo incontro, molto drammatico e al tempo stesso vissuto in fraternità, Teissier ha detto di essere l’ultimo rimasto, un sopravvissuto. In realtà il suo ministero di vescovo ha dato continuità al mistero di Tibhirine. Ora può riposare (termine per lui quasi impossibile) e Jean Marie può continuare in questa sua assimilazione al cuore di Tibhirine.

 

Oltre al Wali (prefetto ndr) di Medea, il sabato mattina è venuto anche l’ambasciatore francese e alcuni intellettuali musulmani. Era evidente che ciascuno portava via qualcosa, al tempo stesso di piccolo e di infinitamente grande. La messa e poi la discussione sul futuro sono stati i due momenti spiritualmente più forti a indicare una visita e una presenza di Dio assolutamente speciale, che doveva essere semplicemente colta e non usata.

 

Il cuscus con i contadini del villaggio voleva confermare nel pasto condiviso una unità che ha avuto il suo centro nel cuore della testimonianza dei monaci. Poteva sorprendere che non ci fosse nessuna donna (se non coloro che erano parenti dei monaci) alla condivisione del cuscus. Era il prendere atto di una cultura, ma senza che questo diventasse inimicizia e scontro.

 

Alla fine della giornata colui che ha scritto la “positio” per il riconoscimento canonico del martirio, padre Thomas Georgeon, ha dato conto del percorso e anche delle difficoltà del lavoro svolto fino ad oggi, e che oggi si sono fortemente attenuate con la prefazione di papa Francesco.

 

Per altro nel momento in cui papa Francesco parla di martirio, non si può tornare indietro. Di fronte alla parola solenne e impegnativa del vescovo di Roma e della Chiesa non si tratta di rimanere prigionieri di procedure. Chi avrebbe potuto pensare questo venti anni fa, quando tutto indicava la fine di tutto, che il segno sul monte potesse assumere per tutti una visibilità speciale?

 

Sabato mattina è arrivato il pellegrinaggio dalla diocesi di Algeri. Oltre duecento persone (quattro pullman e molte vetture), donne, uomini, musulmane e musulmani, cristiane e cristiani, ciascuno legato a gruppi, associazioni. Una messa solenne con tre vescovi, una ventina di preti.

 

Un pranzo condiviso, con la presenza dell’ambasciatore francese in Algeria.Tanta gente e tanti amici. Dunque un monastero nella Chiesa e della Chiesa, e al tempo stesso una comunità monastica che porta con il suo spirito la vita e il futuro di questa Chiesa.

 

Poi ancora il dialogo culturale tra Islam e cristianesimo, rappresentato da mons. Teissier e da Bentunes, un intellettuale musulmano, che è legato all'esperienza dei sufi e al filone spirituale dell’Islam.

 

Infine il ritorno ad Algeri. Lì incontro il Movimento dei Focolari, che ha un ruolo importante in questo dialogo che mette accanto i figli dell’Islam e i discepoli di Gesù.

 

La prima parte del viaggio in Un segno sulla montagna di Massimo Toschi.

(Nella foto i funerali dei monaci assassinati nel 1996)

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