Contador campione sull’Etna

Dopo la vittoria del ciclista spagnolo, la competizione si concede un giorno di riposo. La carovana rosa ripartirà domani da Termoli con una tappa dedicata ai velocisti
contador

Tutti lo aspettavano e lui non ha tradito. Lo scenario, lungo i pendii scoscesi dell’Etna, era diviso a metà tra l’arsura dei migliori western di Sergio Leone e lo stellare paesaggio lunare. Nel mezzo si incuneava una strada, divorata da un corridore inarrestabile, agile, puntuale, quasi venuto da un altro pianeta, così abile a festeggiare ogni suo successo con il gesto della pistola, tanto da assomigliare al miglior Clint Eastwood.

 

Domenica Vincenzo Nibali, Michele Scarponi e José Rujano hanno provato a tenergli testa, ma Alberto Contador da Pinto, un piccolo paese vicino Madrid, sembra proprio essere il nuovo “bandito” del ciclismo moderno: un uomo dal grilletto facile e dalla mira infallibile che impone la propria legge, quella della vittoria. Cinque successi in altrettante partecipazioni alle grandi corse a tappe. Peccato non sapere che fine farà “il bandito-pistolero”, visto che a giugno verrà condotto sulla pubblica piazza davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport (Tas), dove Unione Ciclistica Internazionale e Agenzia Mondiale Antidoping (WADA), si giocheranno il suo scalpo, emettendo la sentenza per la positività al clenbuterolo al Tour de France 2010.

 

È surreale poi vedere esultare un corridore al Giro, sulla cima di un vulcano, mentre alle sue spalle sventola il tricolore della bandiera belga, alone dell’anima di Wouter Weylandt, fiammingo ciclista della Leopard-Trek: una vita misteriosamente rubata dal destino lungo la discesa del passo del Bocco durante la terza tappa. Se è vero che la gara sportiva unisce i partigiani di una stessa bandiera, allora forse Wouter non è morto invano, perché ci ha mostrato, come dice Vittorio Peri – «il grado eminente dello sport, uno spettacolo per il quale gli uomini si sentono simili». E nelle lacrime versate dai corridori della Leopard e dall’amico Tyler Farrar sul lungomare di Livorno, tutti ci siamo riconosciuti e sentiti per un attimo meno soli di fronte alla sofferenza.

 

Difficile raccontare altro. Ma se proprio si deve, allora meglio scrivere delle borracce di Pinotti, caricate sulla schiena e dentro le tasche della maglia rosa, che per un attimo da simbolo del primato è diventata esempio di umiltà, sacrificio, ringraziamento. Per finire con Alessandro Petacchi, il “nonno vincente” del ciclismo. Mai nessuno ha alzato le braccia sul traguardo nella storia del ciclismo alla veneranda età di 37 anni e 4 mesi. Una dimostrazione sportiva del fatto che l’età non è uno ostacolo lungo il cammino che porta alla conquista di grandi mete. 

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