Bal Thackeray e lo Shiv Sena

È morto il leader di uno dei partiti etnici che nel giro di pochi anni ha visto i suoi seguaci moltiplicarsi, infiltrandosi nelle fabbriche tessili e meccaniche della metropoli e nelle varie istituzioni: a lui si deve il cambiamento del nome di Bombay in Mumbai. Chiamato imperatore dei cuori indù con una discriminazione a volte crudele ed irriverente, mirava a ridare una identità chiara a lavoratori, impiegati, famiglie, ricchi e poveri degli slums
Funerali di Bal Thackeray

Bal Thackeray, un nome che dice poco a chi non conosce l’India; un uomo, tuttavia, che ha segnato la vita politica e sociale di una metropoli come Mumbai e che, con la sua morte avvenuta ieri all’età di 86 anni, lascia una traccia indelebile nella storia del Paese asiatico. Dalla fine degli anni Sessanta con la fondazione dello Shiv Sena – l’armata di Shiva – un gruppo politico, inizialmente non ben definito, e sempre più integralista, ha di fatto gestito le sorti del grande stato del Maharashtra, ma soprattutto di Bombay, diventata anche grazie alla sua politica, Mumbai.

«Il primo fautore in India di una politica di carattere etnico», lo ha definito un quotidiano indiano prestigioso ed equilibrato come The Hindu. Figlio di uno dei gruppi sociali tipici dello stato del Maharashtra, Thackeray si è impegnato per quarant’anni a dare un’identità ai maharastrians, abitanti di Bombay e del vasto Stato che la circonda,e al marathi, la loro lingua. Lo Stato di Bombay, infatti, dopo l’indipendenza era stato ritagliato da quella che era la Bombay Presidency di retaggio britannico-coloniale. Al suo interno, negli anni Sessanta, la popolazione locale aveva ancora un ruolo da comprimario, rispetto ai Gujarati, provenienti dallo Stato a nord, e di coloro che provenivano dal Sud India. Il business era controllato dai primi e la vita socio-culturale dai secondi.

Dopo aver lavorato per qualche tempo in un giornale locale, Thackeray ne uscì per dar vita a un gruppo di impegno socio-politico che arrivasse alle radici della popolazione del Maharashtra, capace di parlare la loro lingua e di colpire il loro immaginario. Gli inizi furono di basso profilo. Nessuno si rese conto di questo giornalista di Pune che, insieme a un gruppetto di persone, aveva dato vita a una nuova realtà associativa, rompendo, come vuole la tradizione indiana, una noce di cocco per ricevere le benedizioni di rito.

Fu l’inizio di una ascesa irresistibile che ha portato Thackeray ad essere, nel bene e nel male, il simbolo di milioni di persone, soffocate da processi migratori provenienti da altri Stati e dalla mancanza di lavori per quella del posto. Presto soprannominato hriday samrat – imperatore dei cuori indù – nel giro di pochi anni ha visto i seguaci del suo gruppo moltiplicarsi, infiltrandosi nelle fabbriche tessili e meccaniche della metropoli, nelle varie istituzioni amministrative locali fino a controllare una città che continuava a crescere a vista d’occhio: oggi tocca i 21 milioni di abitanti. Dagli anni Settanta in poi la politica locale non ha più potuto ignorare il fenomeno Shiv Sena, un partito chiaramente etnico che, spesso con la violenza e con una discriminazione a volte crudele e irriverente, mirava a ridare una identità chiara a lavoratori, impiegati, famiglie, ricchi e poveri degli slums.

Di fronte al leader dello Shiv Sena, altri grandi figli del Maharashtra, come il Dr. Babasaheb Ambedkar, uno dei padri della Costituzione dell’India e fondatore del Movimento neo-buddhista per la dignità dei fuori casta, Mahatma Phule e Savitri Phule e Shahu Maharaj, grandi riformatori e personalità della stessa area geografica, sono passati in secondo piano, quasi dimenticati.

La sua intenzione non era stata, probabilmente, quella di creare un partito politico, ma un semplice movimento sociale. Lo Shiv Sena diventò entrambi con metodologie da vero esercito e prospettive di fondamentalismo integralista. Accanto alla violenza, nel corso degli anni, è stata spesso usata anche intimidazione sistematica favorita da una crescente presenza capillare sul territorio. Ogni quartiere, ogni piccolo isolato ha il suo shaka, centro locale dello Shiv Sena che controlla il vicinato. Una situazione, questa, che ha dato la possibilità al partito di gestire la metropoli fino a decidere di chiudere i battenti, nel giro di poche ore, in momenti di protesta. Il comune di Mumbai, ribattezzata in questo modo proprio per volere dei seguaci dello Shiv Sena, è stato per anni controllato da questo partito ed il governo locale dello Stato guidato a lungo da una coalizione con il BJP, il partito del fondamentalismo indù. Non si trattava di favorire solo la causa degli abitanti del Maharastra, ma anche quella dell’Hindutva, che voleva l’India per gli indù.

Bal Thackeray in quegli anni (a cavallo fra l’ultimo decennio del secolo scorso ed i primi anni Duemila), pur avendo sempre rifiutato un posto di governo sia locale che centrale, era talmente potente da essere definito il vero cervello del governo del Maharashtra, capace di controllare gli avvenimenti politici ed i vari ministri.

Gli ultimi anni hanno visto un lento declino, sia legato alla morte della moglie, una donna amata da tutti i seguaci dello Shiv Sena, che da faide interne alla famiglia, che hanno spaccato il partito. Ma anche la scena politica a Mumbai, nello Stato del Maharashtra e a livello nazionale, è cambiata, con il crollo della destra fondamentalista indù. Lo stesso Shiv Sena, sia pure con una presenza capillare intatta, non ha più lo stesso controllo sulla popolazione di Mumbai, dove la crescita esponenziale della classe media e medio-alta ha cambiato anche la sensibilità politica della gente.

Con la morte di Thackeray si chiude un momento importante della storia della metropoli indiana, i cui effetti si vedranno ancora a lungo. In quanto al partito si tratta di vedere come potrà sopravvivere al suo fondatore e alla sua anima, figura senza dubbio controversa, ma anche a suo modo carismatica, con la quale tutti a Mumbai e molti in India han dovuto fare i conti.

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