Andare oltre la paura

Paura di perdere un figlio, paura di morire, paura del terrorismo..., paura! Un sentimento diffuso e comune, che si può superare con la fede, in tutte le religioni
festival biblico

Domenica scorsa, con una serie di eventi in diverse città e centri del Veneto, ha preso il via l’VIII edizione del Festival Biblico di Vicenza. La città, capitale dell’iniziativa, ha ospitato un evento interreligioso, che da anni si svolge in collaborazione con la rivista Città Nuova.
 
Protagonisti della mattinata nel salone del Palazzo delle Opere sociali sono stati cristiani, ebrei e musulmani di diverse provenienze: Gerusalemme, New York e Washington con una registrazione video di un imam di Indianapolis. Il tema della paura e della speranza è stato l’oggetto di un susseguirsi di testimonianze vitali, raccontate in un clima di profondo ascolto e silenzio da parte di tutti i presenti. Viviamo, infatti, in un momento fatto di paure di tutti i tipi. Si tratta di paure con tonalità e caratteristiche diverse, ma che scandiscono e impastano la nostra vita quotidiana: paura della crisi, paura del precariato per il futuro del mondo giovanile, paura di chi incontriamo, paura dell’altro…  Paura!
 
Sembra quasi una contraddizione, come recita assai efficacemente il testo di presentazione di questa edizione del Festival, che «nell’epoca in cui l’uomo è più attrezzato che in ogni altra quanto a conoscenze e a mezzi, egli vive, più che in altre, in un clima di paura diffusa, indistinta, fluttuante. Questa “paura” è il nome che diamo alla no­stra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia o di ciò che c’è da fare»[1].
 
Questa paura, spesso, nasce proprio da una delle caratteristiche fondamentali della nostra epoca, coi suoi processi migratori senza precedenti. Questo significa incontrare, sul nostro cammino quotidiano, etnie, culture, religioni diverse. Ma ci sono paure e paure. Quelle che sono state raccontate domenica sono ben diverse da quanto si vive nella pur complessa situazione del nostro Paese.
 
«La paura fa parte della mia vita quotidiana, la minaccia di attacchi terroristici mi accompagna ogni giorno. Non siamo mai andati, io e mio marito, in centro a Gerusalemme, insieme a nostra figlia, perché non volevamo rischiare che diventasse orfana per colpa di un attentato», ha raccontato Helen Gottstein, ebrea di Gerusalemme. Non ha nascosto il suo sentimento di paura anche pensando al figlio, che presta il servizio militare e che potrebbe essere ucciso, ma anche uccidere.
 
Seren Ghattas, siriana di religione cristiano-ortodossa, non ha dato una testimonianza meno accorata: «La mia paura principale è che la presenza cristiana in Terra Santa si sta riducendo in maniera drammatica. I cristiani palestinesi vogliono mantenere le loro terre, ma la Chiesa vuole aiutare i cristiani a restare in Terra Santa».
 
Helen e Seren, con Hanan, musulmana, fanno parte dell’Interreligious Coordinating Council in Israel (Icci), una delle oltre 200 istituzioni promosse da israeliani e palestinesi per dialogare con gli strumenti più diversi, dalla musica alla religione, dal teatro al football americano. Le tre rappresentanti di Gerusalemme hanno testimoniato come «le donne possono essere catalizzatrici di pace in Medio Oriente». «Proprio il fatto di essere qui insieme a dare la nostra testimonianza diventa un esempio e una prova di speranza», è stato sottolineato.
 
D’altra parte, è stato altrettanto coinvolgente sondare le paure che si provano Oltreoceano, in quegli Stati Uniti colpiti dalla furia del terrorismo dell’11 settembre. Infatti, se la situazione della Terra Santa potrebbe essere sintetizzata con il binomio rabbia e paura, sentimenti che a Gerusalemme e nei Territori si toccano con mano e si respirano quotidianamente, negli Usa la paura non la si vede, non la si sente, eppure c’è, spesso impercettibile ma reale.
 
Molto toccante è stata la testimonianza videoregistrata di Mikal Saahir, imam presso il Nur-Allah Islamic Center di Indianapolis: «Dopo l’11 settembre abbiamo ricevuto tante minacce telefoniche. Ma anche una valanga di solidarietà da parte di tanti cristiani che ci hanno chiamato. Addirittura una chiesa di Indianapolis ci ha detto: “Se avete paura ad andare in moschea, potete venire nella nostra chiesa per la preghiera del venerdì”. Ecco, penso che chi ha fede non ha mai paura, semmai un po’ di timore. Ma anche nella tragedia di un fatto come l’11 settembre si è manifestata la misericordia di Dio». 
 
Il dialogo, dunque, offre una via di incontro che supera timori, pregiudizi e retaggi, aprendo alla speranza. «Continuo a sperare in Gerusalemme – ha affermato Hanan, musulmana, al termine del suo intervento –; Gerusalemme, una città che abbraccia tutti con un tocco che può guarire invece che insegnare a odiare, che può testimoniare la giustizia e la tolleranza piuttosto che la violenza, che può costruire ponti piuttosto che muri». Le ha fatto eco Helen, ebrea: «Nonostante la paura sia nella mia vita, come israeliana, la speranza fa parte della mia esperienza quotidiana».
 



[1] Cfr. Z. Bauman, Paura liquida, Roma-Bari 2008.
http://www.festivalbiblico.it/singola.asp?gruppo=45

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Perché i focolarini non votano

Diario di un viaggio in Congo

Il voto cattolico interessa

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons