A Roma un osservatorio internazionale

Iniziativa interessante del comune di Roma: ma guai a farlo diventare un osservatorio sulla cristianofobia, sulla islamofobia o sull’antisemitismo solo degli altri
campidoglio

Il sito di Roma capitale riportava l’11 gennaio scorso una notizia senza dubbio interessante sotto il titolo “Libertà religiosa, il sindaco alla Farnesina per l’istituzione di un osservatorio internazionale”.
 
Si tratta di un protocollo d’intesa firmato dal sindaco Gianni Alemanno e dal ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, per la costituzione nella capitale italiana di un osservatorio per la libertà religiosa, con il compito di monitorare e studiare la libertà di culto nel mondo. L’iniziativa vorrebbe fornire uno strumento a qualsiasi confessione per difendere il diritto di professare la propria religione. Giulio Terzi di Santagata, ministro degli Esteri, notava in quell’occasione: «La promozione della libertà di culto e della pacifica convivenza tra le fedi continuerà a costituire un tratto qualificante della dimensione etica della politica estera italiana». Infatti, non sono poche le violazioni di questo diritto che si registrano ancora oggi in molti Paesi del mondo.
 
Il coordinamento dell’osservatorio di Roma sarà affidato a una personalità laica esperta in questioni religiose, il sociologo Massimo Introvigne, fondatore del Centro Studi sulle nuove religioni, che nel 2011 è stato rappresentante dell’Osce per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni. Oltre a Introvigne, i quattro membri dell’osservatorio sono due diplomatici, Diego Brasioli e Roberto Vellano, con esperienza nel settore diritti umani, ai quali si aggiungono due persone provenienti dal mondo cattolico, Attilio Tamburrini, autore principale del rapporto annuale sulla libertà religiosa dell’“Aiuto alla Chiesa che soffre”, e Roberto Fontolan, giornalista e responsabile del Centro internazionale di Comunione e Liberazione a Roma.
 
Il diritto alla libertà religiosa, tutt’altro che definito nella vita quotidiana anche se affermato da documenti ufficiali sia delle Nazioni Unite che della Chiese cattolica e delle Chiese protestanti, ha una lunga storia alle sue spalle. Non è il risultato di una filosofia o teologia, ma una risposta concreta a una storia collettiva che ha fatto vittime fra appartenenti a tutte le fedi e tradizioni religiose, provocando immense sofferenze[1]. Oggi, anche in questi giorni, si parla di cristianofobia, ma anche di islamofobia, e per secoli la piaga dell’antisemitismo ha costellato la storia fino alla tragedia della Shoah. Una piaga che spesso riemerge. È, quindi, un cammino che vede tutti coinvolti, a qualsiasi cultura, etnia e religione si appartenga.
 
Nel 1948 le Nazioni Unite proclamarono la famosa Dichiarazione dei diritti umani che, all’art. 18, afferma: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». Questo articolo deve essere letto insieme all’articolo 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
 
I due articoli, insieme, rappresentano la parte sacrale dell’intera Dichiarazione universale. I soggetti di riferimento sono, ovviamente, tutte le persone umane, e queste comprendono credenti, non credenti, atei, agnostici. Pensiero, coscienza, religione vengono a formare un triangolo di valori con un grande spessore etico, che qualifica la soggettività giuridica originaria della persona umana, la cui retta coscienza (foro interno) è vero tribunale di ultima istanza dei diritti[2].
 
In tale contesto, mi pare che un aspetto fondamentale dell’iniziativa, senza dubbio coraggiosa e di grande interesse, dovrebbe essere la reciprocità, una dimensione che diventa un aspetto decisivo. L’osservatorio che si apre nella nostra capitale non dovrebbe essere la scusa per guardare cosa non va a casa degli altri. Ci si dovrebbe anche domandare come gli altri ci vedono, sia come cristiani che come italiani, a casa nostra e all’estero, in un momento storico in cui i flussi migratori portano seguaci delle varie religioni su territori diversi da quelli dove sono nati e, spesso, dove si professano da millenni. Non possiamo nascondere che moschee, luoghi di culto di altre fedi hanno spesso innescato intemperanze anche nei nostri quartieri.



[1] Cfr. J.Müller, «Guerra di civiltà fra cristianesimo e islam? La libertà religiosa tra il diritto e la realtà», Civiltà Cattolica, 3638 (I, 2002), 19 gennaio 2002, 119.

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