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Morti sul lavoro a Casteldaccia: mettiamo fine alla drammatica “routine”

Non si ferma la conta dei morti sul lavoro. La tragedia di Casteldaccia, vicino Palermo, in cui hanno perso la vita cinque operai, continua a interpellare istituzioni, imprenditori, società civile a più livelli.
Manifestazione organizzata dai sindacati davanti alla Prefettura di Palermo dopo la tragedia di Casteldaccia, 7 maggio 2024. ANSA (NPK)
Manifestazione organizzata dai sindacati davanti alla Prefettura di Palermo dopo la tragedia di Casteldaccia, 7 maggio 2024. ANSA (NPK)

Epifanio, Giuseppe, Roberto, Ignazio e Giuseppe. Cinque uomini, mariti, padri, figli, fratelli, ieri hanno perso la vita in pochi secondi, uno dietro l’altro, uno per l’altro.

L’ennesimo, assurdo, evitabile incidente sul lavoro se li è portati via lasciando nello strazio le loro famiglie, gli amici, la comunità cittadina di Casteldaccia, luogo dell’incidente, la vicina Palermo, e le altre città d’origine degli operai coinvolti.

Li piange l’intera Sicilia e l’Italia tutta, ammutolita dal ripetersi senza sosta di morti sul lavoro, vere e proprie stragi che vanno ad aggiungersi alle tante verificatesi anche solo in questi anni.

Come non pensare, infatti, ai cinque operai morti nel luglio 2023 a Brandizzo, nel torinese, mentre svolgevano lavori di manutenzione lungo la ferrovia; o ai cinque uomini che hanno perso la vita a Firenze nel crollo di un cantiere per la costruzione di un edificio Esselunga; e ai sette operai deceduti per lo scoppio della centrale idroelettrica di Bargi, nell’appennino bolognese.

E come dimenticare i tanti lavoratori che da soli o insieme a qualche collega perdono la vita alimentando una sorta di contatore che non si ferma mai? Stando ai dati Inail, nel primo trimestre di quest’anno sono state già 191 le denunce di incidenti sul lavoro che hanno avuto esito mortale, e poco importa se qualcuno fa notare che lo scorso anno il dato era di cinque persone in più.

Un’Italia, dunque, che dal nord al sud, è attraversata da una cultura del profitto e della negligenza che genera morte. Perché quasi sempre, queste stragi avvengono per qualcosa che non è stato fatto.

Anche a Casteldaccia sembra si sia ripetuto lo stesso scenario. In mezzo agli accertamenti del caso che dovranno chiarire le esatte dinamiche e le responsabilità (altro grande punto interrogativo a cui non sempre viene data risposta), due cose sembrano certe: a uccidere i cinque operai sono state le esalazioni velenose, con una concentrazione 10 volte più alta del limite di pericolosità.

Gli operai non indossavano dispositivi di protezione, e questo è stato letale, tanto da far dire al comandante dei Vigili del fuoco di Palermo che «se fossero state prese tutte le precauzioni del caso, se gli operai avessero avuto le maschere e i presìdi necessari, tutto questo non sarebbe successo». Rimane da accertare, invece, il fatto che alcuni di loro non avessero le competenze richieste per svolgere simili lavori, e che, stando alle dichiarazioni del segretario regionale degli edili della Cgil, Giovanni Pistorio, non avessero svolto i corsi di formazione previsti in materia di sicurezza. Ulteriori elementi, che, in caso di riscontro positivo, non farebbero che peggiorare il quadro.

Il più anziano, e il primo a morire, si chiamava Epifanio Alsazia. Avrebbe compiuto 71 anni il prossimo 15 maggio. Contitolare della Quadrifoglio group srl, che aveva vinto l’appalto per la manutenzione della rete fognaria bandito dell’Amap (la municipalizzata che gestisce la rete idrica e fognaria di Palermo e provincia), si era reso conto che qualcosa non funzionava laggiù, in quella vasca fognaria di Casteldaccia, e si era calato a vedere di cosa si trattava.

Sarebbero state le sue grida a spingere uno dietro l’altro, nel tentativo disperato di aiutarsi, Giuseppe Miraglia di 47 anni, Ignazio Giordano di 59 anni, Roberto Ranieri di 51 anni e Giuseppe La Barbera, che di anni ne aveva appena 28 e lascia moglie e due figli piccoli. Un sesto operaio, Domenico Viola, di 62 anni, al momento in cui scriviamo, lotta fra la vita e la morte al Policlinico di Palermo.

Come succede ogni qualvolta avviene un incidente di questo tipo, arrivano i messaggi di cordoglio delle istituzioni, le minacce dei sindacati, gli scioperi dei lavoratori in segno di solidarietà e di protesta, le promesse di chi governa ai vari livelli, le dichiarazioni degli imprenditori di turno. Poi tutto continua come prima nella nostra Italia in grado normalmente di gestire le emergenze, ma abbastanza incapace a investire in prevenzione, oggi come ieri. E con un sistema di controllo assolutamente inefficiente e non proporzionato alle necessità. Troppo pochi 4 ispettori del lavoro della provincia di Palermo che conta 1,2 milioni di abitanti. E lo stesso discorso vale su scala nazionale dove si stima che manchino oltre 2600 ispettori per poter assicurare un controllo adeguato sulle aziende.

C’è veramente tanto da fare e ci si domanda se, prima o poi, speriamo al più presto, si riuscirà a mettere la parola fine alla retorica, alle false promesse, all’illegalità, al profitto facile. Al momento, fine è stato scritto sulla vita di questi cinque operai. E sulle loro famiglie, che da questa tragedia saranno sconvolte e segnate per sempre.

“Queste morti sono una sconfitta sociale, una ferita che riguarda tutti, non possiamo rassegnarci agli incidenti sul lavoro, non possiamo restare indifferenti”, ha detto, tra il resto, mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. In allegato il comunicato stampa diramato dall’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali della diocesi, con il suo intervento.

 

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