Il totem della riduzione delle tasse

Ridurre le tasse per ottenere un maggior gettito fiscale grazie allo stimolo dell'attività economica e al disincentivo all'evasione può essere una ricetta semplice. Ma, come tutte le ricette semplici, non necessariamente è efficace.
(Steve Buissinne da Pixabay )

“Meno tasse per tutti”, recitava un famoso slogan di Berlusconi del 2001. “Meno tasse per tutti?”, rispondeva un più interrogativo libro dell’economista americano Paul Krugman. Da almeno trent’anni, il totem della riduzione delle tasse viene brandito nelle campagne elettorali nostrane come terra promessa del contribuente.

In origine fu Ronald Reagan, alla prima candidatura alla presidenza degli Stati Uniti nel 1980, a proporre una sostanziosa riduzione delle imposte dirette. Suo consigliere era Arthur Laffer, economista dell’University of Southern California (Usa). Presupposto di questa ricetta è un principio che Laffer ha recuperato da Ibn Khaldun, un storico del Maghreb che ne parla nel suo al-Muqaddima (Introduzione alla storia universale) del 1377, un testo fondamentale della cultura islamica.

Khaldun scriveva: «È opportuno sapere che all’inizio della dinastia la tassazione fruttava grandi entrate a partire da piccoli accertamenti. Alla fine della dinastia, la tassazione produce una piccola entrata da grandi accertamenti». Riletto da Laffer, il principio statuisce che esiste una relazione fra prelievo fiscale, quanto si chiede ai cittadini, e gettito fiscale, quanto i cittadini effettivamente versano all’Erario. L’ipotesi dell’economista dell’Ohio è che questa relazione sia esprimibile da una curva che ha una forma a campana.

La curva di Khaldun-Laffer ci dice che lo Stato devo scegliere accuratamente le aliquote fiscali per non deprimere le attività economiche, che con un eccesso di tassazione perdono profittabilità e competitività, riducendo alla fine il gettito stesso. Inoltre, ed è un argomento usato spesso nel dibattito pubblico italiano, aliquote troppo elevate – la pressione fiscale – sarebbero alla base dei fenomeni di elusione ed evasione. E infatti la curva di Khaldun-Laffer rappresenta la base teorica per la cd “flat tax”.

Per corroborare la sua teoria, Laffer si aggancia al successo economico di tre periodi di tagli delle aliquote fiscali negli Stati Uniti, ovvero i tagli Harding-Coolidge negli anni ’20, i tagli Kennedy negli anni ’60, e i tagli di Reagan dei primi anni ’80.

La prova sul campo si è dimostrata piuttosto controversa, tanto che sia il repubblicano Bush che il democratico Clinton negli anni ’90 del secolo scorso fecero marcia indietro rispetto ai tagli fiscali di Reagan. Infatti nel frattempo il debito pubblico americano era aumentato considerevolmente, e andavano cercate risorse fresche per le casse federali.

George Bush padre definì la Reaganomics – la politica economica di Reagan basata sulle idee di Laffer – “Voodoo Ecomonics”. Una politica così semplice che si può spiegare scarabocchiando un tovagliolo di carta come fece Laffer con Reagan.

Ma non sempre semplicità fa rima con efficacia: un sistema fiscale è fatto di tante forme di tassazione – consumo, lavoro e capitale. Ad ognuna di queste forme si dovrebbe applicare una specifica curva di Laffer, ed il suo utilizzo dovrebbe tenere conto della situazione dei singoli Paesi, nonchè degli effetti desiderati in termini di equità distributiva. Ma questo è un processo articolato e complesso, meno efficace di un semplice slogan. Forse troppo spesso i politici, specie in campagna elettorale, sono inclini ad utilizzare la leva fiscale per “comprare consenso” agitando un totem fin troppo attrattivo.

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