Vedersi dalla fine

Nell’Apocalisse cristiana non si deve cercare la predizione di fenomeni straordinari che prima o poi dovrebbero accadere, ma l’annuncio che Dio è signore della storia, e che è necessario schierarsi e perseverare nella scelta. Ne parliamo col biblista Gérard Rossé. Prof. Rossé, chi ha scritto l’Apocalisse? “È uno scritto nato nell’ambiente cristiano dell’Asia Minore, forse proprio a Patmos, come il testo ci riferisce. Il suo autore, Giovanni, non è né il Giovanni autore del Vangelo né quello autore delle Lettere che vanno sotto lo stesso nome, ma appartiene alla scuola giovannea: lo si deduce da una certa parentela, sia teologica che letteraria, con questi testi”. In che epoca è stato scritto? “In base a testimonianze patristiche e da quanto ci dice il testo stesso, lo possiamo collocare all’epoca di Domiziano, nel 95-96. Il genere letterario apocalittico è molto antico, possiamo farlo iniziare col libro di Ezechiele, più di 500 anni a. C. È un genere difficilmente definibile, perché molto vario, al quale si ricorre nei periodi di difficoltà. Ezechiele è scritto durante l’esilio degli ebrei; nel periodo drammatico dei Maccabei sorgono Daniele, l’Apocalisse di Enoch, e così via. E anche l’Apocalisse cristiana fu ispirata in un momento di persecuzione. Sono scritti, dunque, di incoraggiamento e di consolazione, che trasmettono la convinzione che un giorno il male sarà vinto da Dio e che i perseguitati, se rimarranno fedeli, saranno salvati”. Il lettore dell’Apocalisse si sentiva dunque direttamente coinvolto nei conflitti cosmici che vi vengono narrati? “Certamente. Quello che si nota è un grande pessimismo storico: non ci si aspetta nulla dalla storia e si punta tutto su Dio che interverrà. Questo è, in un certo senso, il limite dell’Apocalisse, che non prende molto in considerazione il fatto che Dio introduce già nella storia la salvezza, e una salvezza che vuole evolversi nella sto- ria stessa e nella cultura. È vero che l’Apocalisse poggia anche sulla speranza cristiana, sulla parusìa, ma sottolinea soprattutto che la storia è dominata dal male, da Satana “. Anche noi, oggi, viviamo fenomeni storici terribili; forse non se ne ha una percezione immediata il Italia e in Europa, ma nel mondo si consumano grandi tragedie. D’altra parte siamo anche impegnati nella storia: come leggere allora, oggi, questo testo? “La prima cosa è non fraintenderlo. La parola “apocalisse”, che significa “rivelazione”, non deve indurre a pensare che il testo contenga dei segreti, nel senso di avvenimenti straordinari del futuro: l’Apocalisse non contiene predizioni. Né si possono identificare i fenomeni raccontati nell’Apocalisse – come qualcuno ha fatto – con le attuali potenze terrene, o con guerre atomiche, ecc. Il nome, “apocalisse”, può trarre in inganno; ma non si tratta altro che della parola con la quale inizia il libro, e con la quale si è preso l’abitudine di indicarlo. “Non è dunque una “rivelazione” di qualche fatto che accadrà nella storia, ma la Rivelazione, fatta da Gesù, della salvezza già operata da Dio. Il significato cristiano dell’Apocalisse è appunto la certezza che questa salvezza è già avvenuta per opera di Gesù, e su questa certezza si fonda anche la speranza. Non è solo attesa di un intervento di Dio, ma certezza che quell’intervento è già avvenuto, e che Dio, con Gesù, ha già in mano la storia”. Ma questa certezza non ha allora anche la conseguenza di dare la convinzione che, nonostante tutte le difficoltà, si può attraversare questa storia e modificarla? “Sì. C’è l’affermazione che Dio, in Cristo, è il sovrano della storia: nonostante il pessimismo che le catastrofi possono suggerire, la storia è in mano a Cristo e sarà lui, alla fine, a trionfare e a portare a compimento la storia. Questa convinzione segna la specificità dell’Apocalisse cristiana rispetto a quelle giudaiche: nel giudaismo non c’è Cristo, non c’è già “uno” in cui Dio ha compiuto la salvezza. Nell’Apocalisse cristiana l’attesa del futuro si basa sulla certezza di un fatto già accaduto: l’Agnello sgozzato – Gesù crocifisso – è ormai maestro e dominatore di questa storia, nonostante le apparenze”. Non c’è anche l’appello a schierarsi, a scegliere da che parte stare nella battaglia? “Sì. Gli avvenimenti esteriori, raccontati attraverso immagini stereotipe quali pestilenze, guerre, terremoti, diventano appelli alla conversione per chi ancora non crede, e incoraggiamenti ed esortazioni alla perseveranza per chi già crede. “È un invito a non perdere il treno. Il tempo della chiesa è sì un tempo di prove e di persecuzione, ma è anche un tempo “finale”, indipendentemen- te dalla durata cronologica: è il tempo che precede la fine della storia, il tempo nel quale Dio si è già manifestato e, dunque, bisogna decidersi”. L’Apocalisse, dunque, vede la storia dal punto di vista finale: non le sembra un invito, per ciascuno, a guardare la propria vita come uno che sa già come fa a finire, e dunque può correggerla in base al risultato futuro? “L’Apocalisse vede sempre dalla fine. E ci dice che Dio ha l’ultima parola, anche nei confronti del male che in certi momenti può sembrare sovrastante, o di certi regimi – quale poteva essere l’impero romano al tempo in cui l’Apocalisse fu scritta – che in un dato momento della storia appaiono insuperabili: nonostante l’apparenza, niente di tutto questo sopravviverà. Sotto questo aspetto, è un libro molto positivo, anche se, come ho detto, è nella sua caratteristica di aspettarsi tutto dalla fine: forse perché, quando fu scritta, si credeva che questa fine fosse vicina anche cronologicamente. “Per questo, è bene vedere l’Apocalisse all’interno dell’intera Rivelazione cristiana, che sottolinea anche la presenza del Regno di Dio nella storia, e spinge all’impegno con Cristo: la sua presenza nella comunità, del resto, è fortemente marcata: l’Apocalisse spiega che il Signore è con suoi e partecipa a tutte le vicissitudini delle chiese”. OCCHI DI PASQUA di Klaus Hemmerle, già vescovo di Aquisgrana. Io auguro a noi occhi di Pasqua capaci di guardare nella morte fino alla vita, nella colpa fino al perdono, nella divisione fino all’unità, nella piaga fino allo splendore, nell’uomo fino a Dio, in Dio fino all’uomo, nell’io fino al tu. Da “La luce dentro le cose, meditazioni per ogni giorno”, Città Nuova.

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