Il Vangelo, solo il Vangelo

In occasione del 15° anniversario della morte di Chiara Lubich, condividiamo eccezionalmente aperti alcuni suoi scritti mai pubblicati prima. Ne seguiranno altri nei prossimi numeri del mensile. Articolo tratto dalla rivista Città Nuova di marzo.

A 15 anni dalla morte cosa rimane di Chiara Lubich? Tantissimo, a cominciare dalla sua “Opera”, il Movimento dei Focolari. Ma anche tutte le opere a cui ha dato vita, dai dialoghi avviati tra le Chiese, con membri di altre religioni, con persone di convinzioni diverse, alle iniziative sociali, nel campo della politica, dell’economia, dell’editoria…

Il suo desiderio andava all’essenziale: ciò che avrebbe voluto lasciare era il Vangelo, nient’altro che il Vangelo. Lo espresse con chiarezza l’8 dicembre 1972 in un testo noto che vale la pena rileggere: «Avverto nell’anima un pensiero che ritorna: “Lascia a chi ti segue solo il Vangelo”. (…) Ciò che resta e resterà sempre è il Vangelo, che non subisce l’usura del tempo: “Passeranno i cieli e la terra, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35). (…) Avverto che dobbiamo senz’altro adeguarci con tutte le forze al tempo in cui viviamo, seguendo le particolari ispirazioni che Dio ci dà per portare e coltivare in noi e in coloro che sono stati affidati a noi il regno di Dio. Ma dobbiamo fare tutto ciò sapendo della transitorietà della vita, sapendo che c’è la Vita eterna annunziata da Gesù con il suo Vangelo. Dobbiamo nel nostro cuore mettere in sottordine tutte le idee, i modi di fare utili, ma non puramente evangelici e rinnovare costantemente la nostra fede nel Vangelo, che non passa».

Proponiamo una pagina di diario, in data 7 marzo 1967, dove la centralità della Parola di Dio era già fortemente presente. Qualche giorno prima, il 2 marzo, aveva letto un discorso di Paolo VI rivolto alla parrocchia di sant’Eusebio, dove il papa commentava la frase evangelica: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono». Nel diario Chiara riporta gran parte di quel discorso. La colpiscono soprattutto queste parole, che successivamente riporterà anche in una sua conversazione: «Come si fa presente Gesù nelle anime? Attraverso il veicolo, la comunicazione della parola passa il pensiero divino, passa il Verbo, il Figlio di Dio fatto Uomo. Si potrebbe asserire che il Signore si incarna dentro di noi, quando noi accettiamo che la sua Parola venga a circolare nel nostro spirito… a vivere dentro di noi… (…). Ebbene quando noi riceviamo la Parola del Signore e ad essa aderiamo con umiltà, schiettezza e sincerità, (…) entra e si adagia e si effonde come una germinazione spirituale la fede, misteriosa e luminosa insieme (…). La Parola deve tramutarsi in azione, e guidare la vita. In tal modo la vita cristiana si rivela oltremodo attraente» (le sottolineature sono sue). Queste parole di Paolo VI non rimangono inerti. Chiara le fa proprie, diventano una sua esperienza, che annota nel diario:

Diario di Chiara Lubich, 7 marzo 1967

Ho un’immensa gioia nel cuore non per una scoperta fatta (la scoperta si fa con la mente) ma per una esperienza provata (e questa si fa con l’anima ed è vita). Ho sperimentato che è vero che la Parola di Dio – come ha detto il Papa – è una presenza di Cristo e coincide col Verbo stesso. Infatti oggi in due occasioni (una preoccupazione d’anima che minacciava di farmi ripiegare su me stessa ed un dolore per una focolarina ammalata) ho pensato alla Parola di questo mese: “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gaudio e pace”. Mi sono nutrita di questa Parola e l’anima s’è sentita saziata, nel senso che il “Dio della speranza”, introducendomi nell’anima la speranza, nell’uno e nell’altro caso, mi ha dato gaudio pieno e pace. Allora ho pensato che questa comunione con Gesù, nella sua Parola, la posso fare ogni attimo ed ogni attimo posso nutrirmi di Lui e farLo crescere in me come una comunione continua.

Questa esperienza (che è più di ciò che comunemente chiamiamo “esperienza”) m’ha dato – ripeto – un’immensa felicità: è come avessi trovato un modo d’aver da sola grazie (simili seppur diverse) come quelle che si hanno con Gesù in mezzo, dove due o più sono uniti nel Suo nome. Io non saprò mai ridire quello che è oggi per me: ho visto il Vangelo non certo come un libro di consolazione, ove ci si rifugia nei momenti dolorosi per averne una risposta (e così è considerata da certi miscredenti la nostra religione), ma come il codice che contiene le leggi della vita, di ogni momento della vita; leggi che non vanno solo lette ed osservate, ma “mangiate” con l’anima e ti fanno Cristo in ogni istante. Ed ho sperimentato la cosa in modo così vitale da farmi cadere nel minimo o nel nulla tutti gli aspetti che ogni attimo della vita comporta (dolorosi, gioiosi, comuni, straordinari) e da rendermeli l’uno al confronto dell’altro indifferenti, per vedere importante solo il Cristo che con la sua Parola li riempie e li vive.

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