Urs Kerber, detto Salus, e il suo viaggio verso Dio

Un pezzo di storia del Movimento dei Focolari e dei Gen in Svizzera attraverso brani di vita di Urs Kerber, un pioniere svizzero che ha raggiunto “la meta” due anni fa.

Urs proveniva da una famiglia molto povera: il padre imbianchino, la madre casalinga e i tre fratelli. Avevano poco da mangiare: colazione e cena, ma niente per pranzo. In forte ribellione per l’ambiente culturale in cui viveva, soffriva vedendo che gli altri avevano e loro non possedevano abbastanza. Certo, non facevano vedere che erano poveri: «Possedevamo una tv, la macchina… non funzionavano ma c’erano», racconta.

Era faticoso mantenere l’armonia in famiglia; con il fratello maggiore non c’era un grande rapporto, e con il fratello minore erano in continua guerra per ogni motivo. Crescendo, organizzavano delle bande rivali fra i ragazzi del quartiere. Urs ritornava periodicamente con i pantaloni rotti a casa e anche lì c’erano botte: facevano parte della loro vita.

Non sopportava le ingiustizie e, quando nel ’68 ci fu la ribellione dei giovani, ne fu coinvolto appieno. Per avere altri contatti, iniziò a frequentare la parrocchia. Anche lì era difficile, ma incontrò un giovane che gli fece conoscere il Movimento dei Focolari. Per la prima volta vide un modo di rapportarsi che non conosceva. Ognuno viveva per l’altro, malgrado i propri limiti. Colpito, prese a frequentare i giovani Gen.

In quel tempo, conobbe una ragazza. Molto bello era il rapporto con lei e coltivavano segretamente il desiderio di sposarsi. Erano poveri entrambi, non avevano soldi per andare in discoteca; così, in parrocchia, iniziarono ad organizzare serate di danza con i giovani. Queste le parole di Urs: «Una volta c’era una danza in grande con 600 persone e mentre stavo danzando con la mia compagna, è venuto da me un Gen che mi disse: “Vieni con me, andiamo a salutare un amico”. Io ho pensato: “Come posso allontanarmi ora?”. Ma gli ho detto di sì. A circa 300 metri dalla sala c’era una chiesa. Siamo entrati, mentre io pensavo: “In che strano posto mi porta per fare una visita ad amici”. Ci avviciniamo al tabernacolo e ci sediamo. Gli chiedo: “Quando arriva questo amico? Io devo andare”… E lui: “È già qui!”. E m’indica il tabernacolo. È stato un momento fortissimo. Non so cosa mi stesse succedendo. Dentro di me dissi: “Gesù, se tu ci sei, mostrati e io lascerò tutto per seguirti”. Sono rimasto un po’ seduto e ho intuito in me come una risposta: “Non preoccuparti, vai avanti e io ti farò capire…”. Intanto il mio amico era andato via e io sono tornato dalla mia compagna. Lei ha subito intuito che c’era qualcosa: “Cosa ti è successo?”, insisteva. Allora le ho detto cosa era avvenuto e lei: “Pensavo che tu non credessi in Dio e neanche io. Se Dio vuole qualcosa da te, devi farlo. Sei libero. Io non voglio fare un matrimonio a tre: tu, io e un Dio che forse esiste!”.

In me stava succedendo qualcosa. I giovani Gen che frequentavo mi parlavano dell’unità, ma io non capivo cosa intendessero. Mi dicevano: “Devi solo amare concretamente e poi vedrai come funziona”. Ero titubante, però ricordo che volevo provarci. Ero superbo e mi dicevo: “Io devo far vedere loro che ci riesco”. Per la prima volta, ricordo benissimo, sono tornato a casa, era un sabato e ho pensato di lavare i piatti dopo pranzo. Non sapevo come muovermi. Non l’avevo mai fatto. Ci pensava sempre mia madre a queste faccende. Quando mi ha visto in cucina che cercavo di lavare i piatti e tutto era pieno di schiuma per quel bel po’ di detersivo messo, mi ha detto: “Vai via!”. Invece di aiutare stavo facendo ancor più pasticci… Mi ritrovai sulla strada e pensavo che dovevo scusarmi con lei. Sono andato a comprare una rosa con i pochi mezzi che avevo e gliel’ho portata chiedendole scusa. Mia madre ha smesso di lavare i piatti e piangendo è andata nella stanza. Questa è stata un’esperienza molto importante per me. Ho capito che amare da soli è difficile, ma se lo si fa insieme allora ci si riesce; lì ho colto il valore e la forza che nasce dall’unità.

Piano piano ho iniziato ad avere un rapporto con Dio e mi sentivo attirato ad andare a messa ogni giorno. L’unica alla quale potevo partecipare era alle 6 del mattino. L’assemblea era composta da due vecchiette. Partecipare a messa non era un dovere, era una bella esperienza. Un giorno il responsabile del Focolare mi propose di andare a fare una passeggiata. Lungo la strada gli dissi: “Sai, vorrei entrare in focolare. Che cosa devo fare?”. E lui, alquanto sorpreso: “Allora, andiamo nella chiesa di S. Antonio e affidiamo questo tuo desiderio a Lui”. La chiesa era chiusa. Fu per me un segno forte. Pensai: “Ecco, il Cielo bisogna conquistarselo! Non sempre le porte sono aperte. Qualche volta bisogna lottare…”.

Questo fu l’inizio di una strada in salita. A un certo punto dovevo dirlo anche a mia madre. Papà era già morto. “Cosa? Entri in una setta?”. “No, non è una setta, ma io sento che Dio mi chiama”. “Beh, se è così puoi scegliere: o lasci questa setta e resti qui o parti, ma tu non sei più mio figlio”. Fu durissimo per me, ma le risposi: “Mamma, sento che io devo scegliere Dio. Voglio seguirlo”. Lei è andata a prendere una valigia, ha messo dentro le mie cose e poi l’ha messa fuori dalla porta dicendomi: “Ecco, puoi andare…”. Era la fine del 1967.

Sono rimasto a Loppiano due anni. Non era facile per me all’inizio essere lì, senza conoscere l’italiano, vivendo con giovani provenienti da ogni angolo del mondo, ma alla fine si riparte con il desiderio di conquistare il mondo intero. Quando fui invitato a ritornare a Zurigo, ci sono rimasto male, era la mia città, niente di nuovo! Lì ho cercato di riprendere contatto con mia madre, ma lei attaccava il telefono. Chiudeva la porta. Non voleva più avere a che fare con me.

Per me era dura: volevo vivere per l’unità e a casa c’era la guerra… però a un certo punto ha fatto un passo. Mi disse: “Vorrei farti un regalo a Natale. Cosa desideri?”. E io: “La cosa che desidero di più è che tu venga con me a una festa con i genitori dei focolarini”. Mi rispose: “No, non vengo. Non voglio avere nulla a che fare con questo movimento”. “Non costa nulla, solo un po’ di pazienza da parte tua”.

Non è stato subito facile per lei: non capiva. C’era anche la madre di un focolarino che non accettava la vocazione del figlio e mia madre si è occupata di lei e le ha spiegato che il focolare era una cosa buona. Le due uscirono luminose dalla celebrazione, io non avevo mai visto mia madre così serena, libera. È tornata a casa cambiata: la riconciliazione era avvenuta.

Un giorno doveva andare a Parigi con i miei fratelli e sono andato a salutarla e le ho detto spontaneamente: “Mamma, grazie d’avermi dato la vita”. E lei: “E io ti ringrazio perché sei rimasto fedele, anche se io ti ho buttato fuori, altrimenti non avrei capito”. Due giorni dopo è morta. Sì, Dio non solo chiede, ma dà anche il centuplo.

Con il fratello maggiore è stata un po’ la stessa cosa. Eravamo vicini a Natale e gli ho chiesto se potevo andare a trovarlo. Infatti, la situazione non poteva andare avanti così… Il nuovo rapporto con la sua famiglia continua e ogni tanto fanno il bilancio di ciò che hanno e quello che non serve lo mettono in comunione con il focolare. Questo è il loro modo di amare».

Ma la storia di Urs non termina qui, continua ricca di esperienze fino al termine della sua vita terrena. In Argentina, dove ha vissuto per quasi 20 anni, con il suo amore concreto ha intessuto una rete di giovani, portandoli a creare rapporti nuovi nei loro ambienti. Fatti e storie di vita riportate in un suo libro edito in spagnolo, La vida se hace camino (Ed. Ciudad Nueva, 2016).

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