Un cantiere in cui operare insieme

In continuità con il convegno di Firenze, quaranta sacerdoti provenienti da varie diocesi italiane si interrogano sulle sfide in campo ecclesiale, e non solo, a partire dall’Evangelii gaudium di papa Francesco. Da un’esperienza di sinodalità alcune proposte
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Quale Chiesa per quale mondo? Che apporto possono dare i laici alla vita ecclesiale in una dimensione che si allarga alla società? Il povero è veramente sentito come ‘carne di Cristo’, così come ne parla papa Francesco? Come viene vissuta la sinodalità? E quali prassi di discernimento vengono messe in atto?  Quali sfide si trovano ad affrontare i sacerdoti oggi?

Domande che si sono poste una quarantina di sacerdoti provenienti da diverse diocesi italiane in una due giorni organizzata a Sassone, vicino Roma. Li lega una comune appartenenza al Movimento dei Focolari e una forte motivazione li spinge a porsi domande per mettersi in ascolto dello Spirito Santo. Un esercizio di discernimento comunitario e di sinodalità così da cercare insieme soluzioni praticabili, anche se impegnative. Li anima la “passione per la Chiesa”, un atteggiamento che, tipico della fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich, è divenuto patrimonio comune di quanti fanno parte del suo Movimento. Un impegno che già 50 anni fa Paolo VI aveva rivolto nel suo saluto ai sacerdoti e religiosi aderenti al Movimento dei Focolari. «Abbiate per la Chiesa quello che si chiama la passione, l’amore ardente, la fedeltà senza limiti (…). Applicate questo spirito [dell’unità] rispetto ai quadri che la Chiesa vi offre: le vostre diocesi, le vostre famiglie religiose», aveva affermato durante l’udienza del 13 luglio 1966.

 

La diversa provenienza geografica e la varietà di impegni ecclesiali dei convenuti offre uno spaccato di Chiesa davvero multiforme. Ci sono responsabili della pastorale sociale o giovanile, di uffici liturgici o della catechesi, rettori di seminari o di istituti scolastici, tanti parroci. Gente che ha le mani in pasta e che dunque parla con cognizione di causa. Tutti consapevoli che il carisma dell’unità è un dono da condividere con tutti gli altri di cui lo Spirito Santo ha arricchito la Chiesa. E un dono che si può annunciare nella misura in cui lo si vive. Per questo sono stati giorni in cui si è vissuto avvertendo la presenza di Gesù sia nelle riunioni, che nelle pause o nei momenti di preghiera comune o personale.

 

Si condivide la necessità che in Italia i fedeli laici siano più visibili e capaci di assumersi le loro responsabilità, soprattutto negli ambiti più secolari; si avverte una certa fatica nei ministri ordinati a vivere quella sinodalità che si esprime, ad esempio, nel convocare e far funzionare gli organismi di partecipazione, pur vivendo in una donazione talvolta eroica nelle parrocchie. La pastorale assorbe moltissimo le loro energie, specie in questo momento in cui nascono in diverse diocesi nuovi soggetti come le unità pastorali.

 

Le analisi, pur presenti, non hanno avuto lo spazio maggiore, invece, si è condivisa la gioia di “uscire” fuori delle mura per contribuire in modo visibile alla vita delle diocesi e dei nostri presbiteri così da rendere più concreta la corresponsabilità, la condivisione e l’impegno missionario a cui ci richiama la “Evangelii gaudium” di Papa Francesco.

 

Non è mancata l’attenzione ai poveri, “carne di Cristo”.  Oltre a valorizzare quanto fanno le Caritas, ci si è incoraggiati a vincere la tentazione della delega e a darsi più da fare e per rispondere alle tante forme di povertà presenti in ogni ambiente, come anche di individuare strumenti per cercare di intervenire, per quanto possibile, sulle cause e rimuoverle.

 

Tanti i temi affrontati, dunque, in un clima di fraternità. A conclusione il sentimento più diffuso è quello di un nuovo entusiasmo a “sporcarsi le mani” nel cantiere della Chiesa in Italia senza dimenticare chi non vi si riconosce. Si parte con in cuore tante suggestioni. Una fra tutte l’invito di papa Francesco durante un’udienza del 2013: «Noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza».

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