Accolto l’appello per salvare Holostem

L'azienda nata nel 2008 dall'Università di Modena e Reggio Emilia avrebbe chiuso definitivamente i battenti il 30 novembre, mettendo rischio il ricco patrimonio di attività di ricerca e terapie avanzate per i pazienti. Il ministro Urso ha annunciato l'ok all'acquisizione da parte di Enea

Era la notizia che molti aspettavano, data nel pomeriggio del 29 novembre durante il question time alla Camera dal ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso: il ministero ha dato il via libera all’acquisizione da parte della Fondazione Enea Biotech di Holostem, spin-off universitario nato nel 2008 e ospitato dal Centro di Medicina Rigenerativa (CMR) dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che avrebbe dovuto avviarsi alla liquidazione definitiva il 30 novembre. Una cessazione delle attività di ricerca e di produzione che avrebbe colpito in particolare i pazienti che utilizzano Holoclar – la prima terapia a base di staminali approvata in Europa nel 2015 – e quelli colpiti da epidermolisi bollosa (i cosiddetti “bambini farfalla”, circa 800 in Italia), ma che potenzialmente avrebbe iinteressato una platea molto più vasta, dato che parliamo di una realtà considerata all’avanguardia nel panorama della ricerca italiana in campo biomedico.

Ma come si è arrivati a questo punto? Holostem è sorta come detto nel 2008 come “spin off” (ossia azienda nata dalla ricerca universitaria) in collaborazione con Chiesi Farmaceutici per la parte inerente l’attività industriale. La ricerca si è concentrata soprattutto nel campo delle cellule staminali epiteliali, portando a risultati che hanno ottenuto diversi riconoscimenti a livello internazionale (e che potrebbero trovare applicazione anche in campi più larghi delle malattie rare). La terapia di maggior rilievo uscita da Holostem è appunto Holoclar, un farmaco attualmente rimborsato dal sistema sanitario nazionale, in grado di restituire la vista a chi ha un deficit di cellule staminali limbari causato da ustioni oculari da agenti fisici o chimici, come ad esempio le lesioni dovuti a uno schizzo di calce; insieme alla terapia genica per l’epidermolisi bollosa, malattia genetica che colpisce la pelle creando bolle e lesioni tali da determinare finanche il decesso nei primi anni di vita (tuttora a livello sperimentale, ma che ha guadagnato la copertina della prestigiosa rivista Nature nel 2017 in occasione del primo paziente curato con successo).

L’azienda si è però poi trovata in difficoltà economiche, alle quali si è cercato di dare risposta a giugno 2022 con la trasformazione di Holostem da società in fondazione, ente quindi senza scopo di lucro e finalizzato unicamente alla ricerca e alla sua concretizzazione in terapie; tuttavia senza successo dato che a fine 2022 il socio di maggioranza Valline, società della famiglia Chiesi, ha aperto la procedura di messa in liquidazione. Per salvare la ricerca e i posti di lavoro (all’epoca un’ottantina, oggi la metà) c’è stata una manifestazione in interesse da parte di Enea Tech e Biomedical – fondazione di diritto privato vigilata dal ministero per le Imprese e il Made in Italy -, senza però che si sia conclusa l’acquisizione. Di qui l’appello al ministero affinché sbloccasse la procedura prima della”tagliola” del 30 novembre, che avrebbe a rischio tutto questo patrimonio di ricerca e di terapie – dato che non c’era alcuna certezza sul se e chi avrebbe eventualmente acquisirlo in seguito. E appunto nel pomeriggio del 29 novembre è arrivato l’annuncio

«È notizia di venerdì scorso che il tavolo tecnico per il salvataggio di Holostem Terapie Avanzate, istituito presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy,  sta valutando la proposta di acquisizione della biotech da parte di Fondazione Enea Tech e Biomedical – aveva affermato in un comunicato Francesca Ceradini, direttrice scientifica dell’Osservatorio Terapie Avanzate –. Siamo lieti di sapere che il MIMIT abbia le sorti di Holostem tra le proprie priorità, perché teniamo a ricordare che senza una soluzione rapida ed efficace a farne le spese saranno prima di tutto i pazienti che, da anni, traggono enormi vantaggi da Holoclar, la prima terapia a base di cellule staminali ad essere stata approvata in Europa (2015) e che consente in molti di casi di recuperare la vista a chi ha subito danni oculari gravi a causa di ustioni. Inoltre, i cosiddetti “bambini farfalla”, affetti da epidermolisi bollosa, vedrebbero svanire nel nulla lo sviluppo clinico di una terapia genica attualmente in fase avanzata di sperimentazione proprio in Holostem.

Lasciare che questo centro di eccellenza, punto di riferimento nel panorama europeo, chiuda, sarebbe un passo indietro enorme nel campo delle terapie avanzate in Italia, una resa di fronte ad un problema economico e organizzativo, che esiste senza dubbio, ma che può e deve trovare almeno una soluzione temporanea e “salvavita”. Nel frattempo, occorre muoversi in fretta, trovare nuove modalità per facilitare il trasferimento della ricerca dall’università all’industria e trovare un modello di sostenibilità per le terapie avanzate che, pur mantenendo margini di profitto etici, sia sostenibile e attrattiva anche per il privato. Un Paese che fa morire la ricerca scientifica e non investe in ricerca traslazionale è un Paese senza futuro, che non dà alcuna priorità alla vita e alla salute».

Dalla direttrice di Osservatorio Malattie Rare, Ilaria Ciancaleoni Bartoli, era arrivata poi una sorta di provocazione: «Il governo scelga cosa è e cosa vuole che sia l’Italia – afferma -: il Paese del Made in Italy in campo enogastronomico e turistico, ma dove i  giovani medici e ricercatori vanno all’estero, o anche la culla della ricerca avanzata e della scienza? Crediamo che su Holostem sia necessario un intervento non solo del ministro Urso ma anche del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. D’altro canto non sarebbe la prima volta che si interviene per salvare aziende ritenute strategiche per il Paese, la ricerca e la salute non possono non essere considerate tali».

E appunto nel pomeriggio del 29 novembre è arrivato l’annuncio dello sblocco della procedura di acquisizione, che scongiura, almeno per ora, la chiusura: il ministro ha infatti subordinato la continuità operativa all’ingresso di un management adeguato, all’elaborazione entro sei mesi di un nuovo piano industriale volto a contenere i costi ed incrementare il fatturato, e all’impegno della società a cercare nuovi partner privati ed investitori. Il problema finanziario quindi rimane, ma quantomeno è possibile avere un lasso di tempo più ampio e maggiori risorse per risolverlo (è previsto anche il supporto di Invitalia).

Soddisfazione è naturalmente stata espressa da tutte le associazioni dei pazienti, dai sindacati dei lavoratori coinvolti, e dall’amministrazione regionale del’Emilia Romagna.

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