The Lost Cafe sbarca su Netflix

Intervista alla produttrice nigeriana Regina Idu Udalor: “L’ispirazione per questo film l’ho avuta in Italia”.

Dal 31 luglio è disponibile su Netflix il film The Lost Cafe, una storia dei giorni nostri a cavallo tra l’Africa e l’Europa, che racconta di sogni e di sfide. Esplora il tema della migrazione e delle tante scelte davanti ad una giovane con grandi orizzonti: quanto lontano potrà andare per realizzare le sue aspirazioni? Una storia con cui ciascuno di noi può entrare in sintonia. Una storia di seconde possibilità e di amore. Una novità cinematografica che rompe gli schemi di Nollywood e apre un nuovo panorama per le produzioni africane. The Lost Cafe [letteralmente: il Caffè perduto, ndr] è stato girato in Nigeria e in Norvegia. Ha avuto premi e riconoscimenti internazionali.

Il titolo è al momento disponibile solo in inglese, un apparente limite per il pubblico italiano, ma il nostro Paese ha molto a che fare con questo film! Regina Idu Udalor, che ha scritto la storia e curato la produzione, ha vissuto infatti un anno in Italia per un’esperienza che le ha cambiato la vita. Un anno di stacco dallo studio e dagli impegni di lavoro per mettere radici salde nei suoi ideali al servizio di un mondo più fraterno e solidale.

Ci incontriamo online un pomeriggio di questa calda estate. Regina è sposata, vive in Norvegia e ha tre bambini. Il più piccolo, 5 mesi, partecipa all’intervista.

«Sono contenta di poter parlare al pubblico italiano”, esordisce Idu Udalor. “Avrei voluto girare il film in Italia, ma non avevo fondi a sufficienza, e perciò ho dovuto optare per la Norvegia, dove già vivevo. Volevo scrivere una storia che tutto il mondo potesse vedere e capire, ricevendo in modo indiretto i valori in cui credo. La prima scintilla per questo film l’ho avuta entrando in una libreria a Marino, nei Castelli Romani. Da una parte era una libreria, e dall’altra, un caffè! Era il 2009 quando ho cominciato ad accarezzare l’idea, e il primo titolo pensato era proprio in italiano: Il Café Amore!».

 

Quanta autobiografia c’è in questo film?
Direi il 50%, perché parla di viaggiare – e io ho avuto la possibilità di venire in Italia, poi di andare a perfezionarmi in India nel mondo della produzione cinematografica, poi ancora in Norvegia, seguendo colui che sarebbe poi diventato mio marito; parla anche della scuola di cinema, anche questo è un po’ autobiografico, ma poi c’è un mix di esperienze mie, degli amici, dei cugini. In particolare l’esperienza dell’Italia, a confronto con tante culture diverse, mi ha fatto capire quanto sia bello conoscere altri, essere aperti e ricevere da altre persone.

Nel film, con poesia e humor, in modo lieve, tocchi temi importanti: le relazioni Africa/Europa, l’autenticità nelle relazioni umane, la condizione della donna…
Sì, i dialoghi sono molto curati e in particolare, quelli dove si tocca il tema della prostituzione, sono il frutto di un costante dialogo con il regista, Kenneth Gyang, e la protagonista, Tunde Aladese. Abbiamo parlato delle cose che abbiamo visto, dei nostri pensieri, delle conversazioni cui ti capita di partecipare. Quando arriviamo alla scena del confronto tra la protagonista (una giovane africana che sperimenta tutta la difficoltà di integrazione nella società norvegese) e il suo collega (un giovane norvegese che cerca di essere amichevole, ma in realtà mostra tutta l’ignoranza verso una realtà diversa), c’è un’affermazione molto forte e paradossale: che ci sia più dignità nel prostituirsi, almeno guadagni del tuo, che non a tendere la mano tutto il giorno aspettando che qualcuno si prenda cura di te. In realtà è una citazione di un importante regista africano, Ousmane Sembène (1923-2007), senegalese. Era un modo per rendergli omaggio nel film. Ma anche una frase provocatoria. La conversazione precedente, in quella scena, metteva in luce, infatti, l’ignoranza di molti europei circa la nostra cultura. All’aeroporto di Abuja, in partenza per l’Italia per un corso per giovani comunicatori promosso da NetOne, nel 2007, mi hanno chiesto: “Vai a prostituirti?” Sono rimasta scioccata. Nel film, c’è una scena in cui la protagonista insieme a un’amica vengono invitate ad andare via da un locale, perché da sole, per fare i loro affari da un’altra parte. Questo per dire che il grande pregiudizio sulle donne, non è solo all’estero, ma anche in casa.

Hai citato NetOne. Quel corso di formazione per i giovani, Intermediando, era stato fortemente voluto da Nedo Pozzi, che ci ha lasciato proprio questo 12 agosto. Tu hai continuato a coltivare questa passione dei “media per un mondo unito”, e di recente avevi presentato un “assaggio” di The Lost Cafe ad un seminario internazionale. Quale messaggio volevi trasmettere?
Dicevo prima che il titolo originario in italiano era Il Café Amore, poi lo abbiamo cambiato in The Lost Cafe. Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura nel 2011, doveva essere inizialmente un cortometraggio. Volevo trasmettere l’amore, l’accoglienza che sperimenti quando sei dentro questo caffé. Il caffè (bar) del film è un posto in cui la protagonista si sente in pace, riesce ad aprire il cuore per parlare dei suoi segreti con l’anziano proprietario, vuol dire che in questo spazio sei al sicuro. Inoltre volevo raccontare una vera storia africana senza Nollywood, fuori dagli schemi. Vedendo questo film si può conoscere il mio pensiero. Era la mia esperienza: bella, dolorosa, ma che mostra che possiamo vivere con una maggiore compassione e comprensione reciproca. Possiamo vedere come aiutare, come far sentire gli altri a casa. Ho fatto esperienze diverse di accoglienza in Italia, in Norvegia, in India. Possiamo essere migliori, cambiare il negativo in positivo, da entrambe le parti, anche dalla parte tua come immigrato.

In una recente intervista al The Guardian hai affermato che i film africani raramente raggiungono il circuito internazionale perché non toccano temi che interessano oltre i confini continentali. Come si può superare questa difficoltà?
Il discorso è molto lungo. Ci sono alcuni aspetti tecnici: noi abbiamo usato il grandangolo, si vedono attori e ambiente, mentre nel nostro cinema si usa il campo stretto, ambienti chiusi. Sentivamo che abbiamo un problema, altri registi non pensano così. Alcuni pensano che l’ambiente da filmare non è bello, ma così non si aiuta il film. Noi siamo usciti da Lagos, da Abuja, abbiamo girato a Calaba, nella bellissima Chiesa dei Portoghesi, la scena del matrimonio. Era un modo per celebrare il posto: la Nigeria, l’Africa. La fotografia celebra i posti. Ma si tratta anche di contenuti: per ora vanno alla grande storie di matrimoni. Di giovani che si devono per forza sposare prima dei 30 anni. Ma in Europa nessuno ha questo problema! La gente pensa ad altro. Così i film non usciranno mai fuori dall’Africa.

Cosa sogni per il futuro della tua professione?
Nel film citiamo Umberto D., un film di Vittorio De Sica, capolavoro del neorealismo. E’ stato un film che ha cambiato un’era. Anche noi vogliamo che ci sia un cambio di era e che cambi il modo in cui il mondo ci guarda. Penso a questo film, e ai prossimi, come un modo di rappresentare la mia generazione. Nella nostra cultura, basata sulla tradizione orale, non abbiamo molti archivi. Ecco, considero il cinema come una sorta di archivio.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando a un soggetto sul periodo della Nigeria dell’800. Un periodo di cui non abbiamo traccia, ho cominciato a lavorare sulla sceneggiatura da un po’ di tempo. Non si trovano foto, documentazione. Forse dovrò andare a cercarle a Londra! Ci sono alcuni manufatti, ma la ricostruzione della vita, dei costumi, è molto difficile. Non posso ancora anticiparvi il titolo! 

L’obiettivo principale sono i giovani. Non ci sono film per i giovani nigeriani, per questo ho cominciato a fare i film pensando a loro. E’ molto difficile trovare chi voglia investire su questo. La mia speranza è che nella mia casa di produzione continuiamo a fare film per loro.

I giovani, e soprattutto le ragazze, in Africa, hanno bisogno di essere incoraggiate. Di essere più forti, di credere in se stesse. Molte pensano solo: mi devo sposare. Non ci sono altre mete. Ma devono poter sognare una meta più alta!

Non posso fare troppi spoiler sul film, quindi, non ci resta che guardarlo. Ma, un’ultima domanda: avremo i sottotitoli o il doppiaggio in italiano?
Sì, presto saranno disponibili i sottotitoli in italiano, anche col vostro aiuto! E ho il sogno un giorno di poter tornare a girare in Italia, questo Paese mi ha ispirato tantissime idee.

E grazie in anticipo a chi vedrà il film e mi manderà i suoi commenti: credo che l’unico modo di crescere, anche nel campo del cinema, è di ricevere un feedback per migliorare.

I più letti della settimana

Osare di essere uno

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons