Tesori senza pace

Alle lacrime per gli eccidi provocati da un conflitto come quello appena combattuto in Iraq si sono aggiunte quelle per un altro genere di “vittime” quanto mai prevedibili, per evitare le quali i soldati Usa – troppo intenti a “difendere”, come pare, il ministero del Petrolio – non hanno mosso un dito. L’abbiamo vista in tv, tra sale depredate e abbandonate alla furia dei vandali, la disperazione dei responsabili del Museo di Baghdad, il più importante del Medio Oriente ed uno dei più prestigiosi del mondo per ciò che contiene (o conteneva): si pensi soltanto ai preziosissimi bassorilievi assiri del palazzo di Nimrod e di Khorsabad. Secondo una prima approssimata stima, su oltre 200 mila reperti che vanno dalla preistoria alla civiltà dei sumeri, degli accadi, dei babilonesi, degli assiri e degli arabi della dinastia hatra, sarebbero 170 mila quelli rubati o danneggiati, senza contare i preziosi archivi andati in malora. Ma per valutare con esattezza l’entità dei danni subìti occorrerà molto tempo. Il sospetto è che si tratti di un saccheggio “mirato” e organizzato. E inoltre dove saranno finiti i reperti portati via frettolosamente su camion prima dell’accendersi delle ostilità? “Misura precauzionale” o “svendita” al miglior offerente? Se si pensa poi alle ruberie già sofferte da questo stesso museo nel ’91, all’epoca della prima guerra del Golfo, verrebbe da intonare quelle “lamentazioni” che proprio qui, nell’antica Mesopotamia, ebbero origine come genere letterario. La speranza è che almeno i pezzi più celebri – come certe sculture in calcare e lapislazzuli del III millennio, i raffinati avori del periodo neoassiro, la straordinaria arpa d’argento di 4000 anni fa o i monili aurei dalle tombe reali di Ur – siano stati portati in salvo. Certo è che una gravissima ferita è stata arrecata a un bene che è patrimonio di ogni popolo, riguardando culture che hanno dato un apporto fondamentale al progresso dell’intera umanità. Basti pensare che qui, tra l’VIII e il VII millennio prima di Cristo, è ini- ziata la rivoluzione agricola. Che Uruk è stata la prima città di cui si abbiano testimonianze, dove è nato lo stato moderno con la differenziazione dei poteri. Che ad Ur, dove sarebbe nato Abramo, è stata ritrovata la più antica ruota (4500 a.C.). Che la Ninive di Assurbanipal ha restituito oltre ventimila tavolette d’argilla: i primi libri, i primi archivi della storia. Sì, per chi non lo sapesse, sono stati i mesopotamici a inventare la scrittura. E con essa, la prime leggi scritte. E che dire di Babilonia, la città più splendida, ricca e potente del suo tempo, celebrata per una delle “sette meraviglie” del mondo allora conosciuto? L’uomo ha bisogno di sentirsi solidale con i propri simili che sono stati, sono e saranno. Se è vero che vive nel presente, proteso verso un futuro, è altrettanto vero che proviene da un passato costruito da altri, verso i quali ha dunque un debito di riconoscenza. Ogni testimonianza di chi ci ha preceduto, si tratti di un umile oggetto d’uso quotidiano o di un’opera d’arte, è un lettera a noi indirizzata. Essa ci parla di ciò che altri ha conquistato alla materia bruta, spiritualizzato; di ciò per cui è vissuto, verso cui tendeva. Non possiamo ignorarla o disprezzarla, senza perdere qualcosa di noi stessi. È terribile vivere senza radici. Ne sanno qualcosa i superstiti di qualche catastrofe: cosa cercano tra le rovine delle loro case? Certo, quei beni recuperabili per tornare ad un minimo di normalità, ma anche ciò che vitale non è: foto di famiglia, qualche semplice oggetto che ricordi a loro ciò che sono stati. Per tornare all’Iraq, è ancora troppo presto per valutare i danni inferti al patrimonio culturale di questa nazione definita “culla della nostra civiltà”: cosa sia andato perduto irrimediabilmente dei grandi e piccoli musei e biblioteche sparsi nel paese, e cosa invece, trafugato e avviato verso i grandi mercati antiquari europei e americani, potrebbe essere – magari tra anni – recuperato. Come pure la situazione degli antichi siti, facilmente esposti ad ogni genere di devastazione. Per far fronte al disastro, l’Unesco ha avviato un coordinamento internazionale, stabilendo misure d’emergenza per bloccare, con il contributo dell’Interpol, il già iniziato traffico clandestino di oggetti d’arte. Immediato pure l’intervento finanziario e scientifico dell’Italia, da tempo impegnata, attraverso missioni archeologiche e istituzioni culturali di alto livello, alla valorizzazione e al restauro del patrimonio storico e monumentale iracheno. Parola d’ordine è: salvare la memoria storica di questo popolo. La rinascita dell’Iraq passa anche da qui. TRA IL TIGRI E L’EUFRATE Ne ha viste di saccheggi e di distruzioni, nei suoi 10 mila anni di storia, la Mesopotamia, l’antico nome dell’Iraq che sta ad indicare la “terra fra due fiumi”: il Tigri e l’Eufrate. Il suo territorio piatto e aperto – e per di più fertilissimo, la qual cosa suscitava l’ingordigia dei popoli – si prestava infatti alle invasioni. Qui, città come Ninive, Babilonia, Ur, Uruk vennero distrutte, ricostruite, ancora distrutte… come testimoniano, nel paesaggio desertico, i tell: collinette artificiali nate appunto dai cumuli di rovine di centri abitati sorti su quelli precedenti. Qui si avvicendarono sumeri, accadi, amorriti, ittiti; fiorirono gli imperi assiro e babilonese. Poi la Mesopotamia fu preda dei persiani, macedoni, romani, parti e sasanidi. Dopo di che venne l’ora dell’Islam. Fondata nel 762 d.C. dal califfo Al Mansur, Baghdad fu nel Medioevo la città più grande, bella e colta del mondo conosciuto. Finché nel 1258 i mongoli la misero a ferro e fuoco, massacrandone gli abitanti. Non meno spietatamente agì Tamerlano nel 1401. Nel 1535 l’Iraq passò sotto il dominio dell’impero turco, durato fino al termine della Prima guerra mondiale.

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