Tanti Pessoa in scena con Robert Wilson

Omaggio dell’artista americano allo scrittore portoghese e ai suoi eteronimi. Prima mondiale al Teatro della Pergola di Firenze
Pessoa - Since I've been me di Robert Wilson (ph. Lucie Jansch)

«Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di sé stesso», diceva Bernardo Soares, alias Fernando Pessoa. Una moltitudine di personaggi hanno abitato il grande scrittore portoghese (1888-1935), come dimostrano i suoi numerosi eteronimi coi quali ha costruito la sua narrazione, dando vita a veri e propri alter ego. A evocare le diverse personalità, e darle consistenza immaginifica, è quel maestro dalla fervida fantasia teatrale tout court che è Robert Wilson nello spettacolo Pessoa – Since I’ve been me (commissione del Teatro della Pergola di Firenze, dal direttore Marco Giorgetti, assieme al Théàtre de la Ville di Parigi), che ha debuttato in prima mondiale nel Teatro fiorentino.

Volto di biacca, occhialini e baffetti, Pessoa sta lì seduto in proscenio, ci guarda col volto sorridente, un po’ stralunato, mentre il pubblico entra in sala. Sembra il personaggio di un cartoon, o di un film muto. Lo ritroveremo subito in palcoscenico moltiplicato in altre figure che, vestite come lui, poi cambiando costumi, entrano saltellando illuminati da grandi occhi di bue, bloccandosi in pose mimiche, e presentandosi come in un cabaret metafisico. La mano di Wilson fonde mirabilmente poesia, musica, canto, mimo, architettura, pittura, design, componendo quadri di un unico affresco visivo in movimento com’è nel suo riconoscibile stile.

ph. Lucie Jansch

Il titolo dello spettacolo si ispira a un frammento de Il libro dell’inquietudine di Pessoa, traducibile in «Da quando sono io», romanzo senza trama e linearità, diviso in frammenti di pensieri. Vi sono speculazioni filosofiche, convinzioni estetiche ed esistenziali, osservazioni di natura sociologica, gusti letterari, massime e aforismi. I versi poetici, a mo’ di monologhi, scorrono da un personaggio all’altro, rimbalzano sulla bocca dei 7 performer che scomponendosi recitano nelle diverse lingue praticate da Pessoa: il portoghese, il francese, l’inglese e l’italiano. Sono passaggi staccati che raccontano, anche col suono dei diversi idiomi, la sua esistenza. La evoca, insieme ai suoi stati d’animo, creando un mondo onirico, il regista Wilson del quale ritroviamo il raffinato formalismo da tutti conosciuto, con le sue luci dai colori accesi (folgorante l’improvviso accendersi del rosso in una delle sequenze dello spettacolo), il nitore del segno grafico delle sue scenografie col trascolorare lucente dei fondali davanti ai quali si stagliano figure illuminate per intero o sui volti, o che procedono in controluce, in abiti neri sul fondale bianco.

Oggetti simbolici riempiono la scena – una serie di tavoli e di sedie in fila che prenderanno il volo insieme alle tovaglie, una grande barca a vela stilizzata e una in miniatura che vaga sospesa, una macchina da scrivere dal continuo ticchettio, alcuni cipressi, torce elettriche che scandagliano il buio –, mentre un grande uccello e un riccio la attraversano. Il tutto tra folate di musica, blues e sonorità cupe, rumori di vetri infranti che scandiscono il ripetersi delle frasi, stridii, esplosioni improvvise, pioggia scrosciante.

Wilson rende quello stato psichico di Pessoa come a mezz’aria, distillando con ironia e drammaticità, leggerezza, comicità, rigore formale, i gesti, le posture, gli accenni di danza degli eccellenti performer, che sono: la portoghese Maria de Medeiros, l’afro-francese Aline Belibi, il brasiliano Rodrigo Ferreira, l’italo-albanese Klaus Martini, la franco-brasiliana Jnaina Suaudea, e gli italiani Sofia Menci e Gianfranco Poddighe. In chiusura vestiti da marinai intonano un blues ballando e cantando.

«In una grande dispersione unificata, mi rendo ubiquo», affermava di sé stesso Pessoa, ammettendo di comprendere all’interno della sua anima «una moltitudine di esseri, coscienti e incoscienti, analizzati e analitici, che si riuniscono in un ventaglio aperto». E un ventaglio prismatico d’impeccabile magia visiva ci regala Robert Wilson col suo Pessoa – Since I’ve been me per ricordarci, come diceva lo scrittore, che «esistere è un mistero», e che «Pessoa, come tutti noi, è pieno di molti personaggi».

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