Spiritualità di comunione e dialogo interreligioso

Il dialogo del Movimento dei Focolari con le altre religioni. Un’esperienza iniziata, cresciuta e portata avanti dallo Spirito Santo in ogni parte del mondo, verso la piena realizzazione della fraternità universale
 Il dialogo interreligioso rappresenta uno degli scopi specifici del Movimento dei Focolari[1] ed una delle sue espressioni esterne più significative. Esso è, tuttavia, solo un aspetto della complessa e articolata realtà del Movimento e deve essere situato all’interno dell’esperienza di Chiara Lubich e dei Focolari nel periodo di fondazione, fra il 1943 ed il 2008, anno della scomparsa della fondatrice, oltre che nell’ambito di quella che Giovanni Paolo II ha definito una “robusta spiritualità di comunione[2], il carisma che Dio ha dato alla donna trentina.

Alcuni fatti

È stato a partire dagli anni ‘60, che i Focolari hanno sviluppato un rapporto sempre più profondo con seguaci delle religioni tradizionali africane, con buddhisti, mahayana e therawada; musulmani, sia sciiti che sunniti; ebrei, ortodossi e riformati ed indù di diverse correnti. Sono rapporti profondi di amicizia spirituale che hanno portato molti di questi fratelli e sorelle ad essere parte attiva del Movimento, al quale partecipano in tutto quanto possono, diffondendone gli ideali e lo spirito fra amici delle rispettive tradizioni religiose.

Questa esperienza è iniziata e, da principio, si è diffusa in aree tipiche per la presenza di una o dell’altra di queste religioni: il Maghreb, il Giappone e la Thailandia, Israele e Stati Uniti, l’India e l’Africa per le religioni tradizionali. Oggi, con i processi migratori che hanno portato alla formazione di società sempre più multietniche, i membri del Movimento sono chiamati a vivere il dialogo con fedeli di altre religioni dovunque si trovano. È un dialogo, nato spesso dalla vita quotidiana, come con i musulmani dell’Algeria, ma anche grazie agli incontri che, nel corso degli anni, Chiara stessa ha avuto con leaders di altre tradizioni. Ne sono seguiti inviti a parlare a gruppi di persone di diverse fedi in Giappone, Thailandia, Stati Uniti, Argentina e India, momenti che hanno aperto vie di conoscenza reciproca, amicizia e dialogo. Si sono maturate collaborazioni sia con organismi internazionali o locali per contribuire a lavorare per la pace e la giustizia, sia nel settore di realizzazioni sociali e della formazione di giovani generazioni. A partire dal 2002 si è sviluppata anche una riflessione accademica in occasione di vari simposi.

Da dove nasce tutto questo? La risposta è semplice: da un carisma! Porta, quindi, con sé tutte le caratteristiche di un dono di Dio e alla luce di queste cerchiamo di leggere il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari.

Sorpresa e profezia

Quando lo Spirito Santo si mette all’opera è sempre sorprendente. E lo è anche per la persona che si trova ad essere protagonista della recezione e diffusione del dono di Dio. A chi le chiedeva come era nato il Movimento, Chiara Lubich spesso ripeteva un’immagine mutuata da una sua grande amica, Madre Teresa di Calcutta: “La penna non sa quello che dovrà scrivere, il pennello non sa quello che dovrà dipingere e lo scalpello non sa ciò che dovrà scolpire[3]. Immagini semplici per convincere l’interlocutore che nulla immaginava di quanto sarebbe nato. Se questo è vero per lo sviluppo del Movimento dei Focolari, lo è in modo particolare per il dialogo con seguaci di altre fedi come Chiara Lubich stessa ha candidamente affermato: “A più di sessant’anni dagli inizi dell’esperienza dei Focolari si rinnova sempre la sorpresa nel vedere come il sentiero spirituale sul quale Dio ci ha condotto si incrocia con tutte le altre vie spirituali anche di fedeli di altre religioni… Pur mantenendo la nostra identità, ci permette di incontrarci e comprenderci con le grandi tradizioni religiose dell’umanità[4].

Il dialogo interreligioso non è, dunque, un progetto, ma piuttosto una profezia che si sta realizzando passo passo. Un esempio. Il 16 dicembre del 1981, in occasione del suo primo viaggio in Giappone, nel corso del quale si sarebbe aperto il dialogo con i buddhisti della Rissho Kosei kai, ancora in aereo, la Lubich annotava: “Un amico della Rkk, che studia in Italia la nostra religione… si è detto sicuro che avverrà una certa unità fra i nostri due movimenti. Per questo egli prega Dio e Buddha. Vedremo!”[5]. Proprio in quest’ultima parola sta tutta la stupenda inconsapevolezza di uno strumento di Dio nella mani dello Spirito e la sua carica profetica. Pochi giorni dopo, Chiara parlò a diverse migliaia di buddhisti, e nel corso di questi trent’anni i rapporti sono diventati sempre più profondi. Lo stesso è accaduto con i monaci theravada di Chiang Mai, nel nord della Thailandia, con gli indù prima nel sud India e poi a Mumbai, e con i musulmani afro-americani ad Harlem e con gli ebrei in Argentina.

Dialogo interreligioso e unità

Un carisma offre una sua lettura tipica del messaggio di Cristo e quella del Movimento dei Focolari può essere sintetizzata nella parola unità, la realizzazione, attraverso la pratica dell’amore evangelico, della preghiera di Gesù: “Padre, che tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21). Qui stanno la finalità e la chiave della spiritualità di comunione, che porta tutte le caratteristiche della fisionomia ecclesiale, emersa dal Concilio. È una spiritualità che offre una sua visione dell’umanità che Chiara esprimeva ancora nei primissimi tempi della sua nuova esperienza: “Puntare sempre lo sguardo nell’unico Padre di tanti figli. Poi, guardare le creature tutte, come figli dell’unico Padre. Oltrepassare sempre col pensiero e con l’affetto del cuore ogni limite posto dalla natura umana e tendere costantemente, per abitudine presa, alla fratellanza universale in un solo Padre: Dio[6].

Era una scoperta, ma anche un impegno e un programma di vita: la fratellanza universale e l’unità. Dall’idea dell’unità della famiglia umana nasce e si sviluppa una metodologia dialogica che si fonda soprattutto sull’arte di amare, che si ispira alla regola d’oro, presente in ogni tradizione religiosa e alla vita delle rispettive scritture. Non solo. Questo richiede una scoperta ed una scelta di Dio che è amore ed un immediato impegno a fare la sua volontà. L’amore se vissuto è destinato a diventare reciproco e con questo merita la presenza di Cristo nella comunità con i doni dello Spirito. Proprio il formare quelle che i Padri definivano piccole chiese, perché vere fraternità di amici che si amano e che hanno il Salvatore presente fra loro, ricorda la vocazione di Maria, che ha generato Gesù e lo ha donato al mondo. Infine, l’amore richiede spoliazione, vuoto interiore, capacità di morire a se stessi e questo non è possibile senza una scelta radicale ed un’identificazione costante con Gesù in croce che grida l’abbandono dal Padre.

Questi, insieme all’Eucarestia, sono i dodici capisaldi della spiritualità di comunione[7], che hanno una forte valenza dialogica, come confermava la Lubich stessa in uno dei suoi ultimi interventi pubblici, a Londra nel 2004: “Il segreto di questa capacità di raccogliere in unità persone così diverse sta in uno spirito evangelico, attuale e moderno che anima il nostro Movimento: una spiritualità personale e collettiva insieme… che genera un nuovo stile di vita. Essa non è monopolio del nostro Movimento perché, frutto di un carisma, è un dono destinato di sua natura a tutti coloro che nel mondo lo vogliono accogliere… [Vivendo questa spiritualità i membri del Movimento possono impegnarsi] con la Chiesa affinché il pluralismo religioso dell’umanità possa perdere sempre più quella valenza negativa… fonte di divisioni e di guerre, per acquistare… il sapore di una sfida: ricomporre l’unità fra la famiglia umana, perché in tutte le religioni è, in qualche modo, presente e attivo lo Spirito Santo[8].

Si tratta, quindi, di una vita che dà testimonianza: “Una convinzione, infatti, che ci siamo fatti in questi decenni di dialogo, è che ciò che si aspettano da noi le persone di altre religioni, è soprattutto una testimonianza concreta di questo amore attinto direttamente al Vangelo, che tutti accolgono quasi fosse la risposta alla connaturale vocazione all’amore di ogni essere umano[9].

Risposte alle istanze del mondo contemporaneo

Un carisma propone anche risposte alle istanze del mondo in cui nasce. Nel Medio Oriente per esempio. In Algeria fin dalla fine degli anni ‘60 è maturata un’amicizia profonda fra cristiani e musulmani, nata dal rapporto fra un insegnante cristiano e i suoi studenti musulmani e diffusasi ad una comunità nella città di Tlemcen, prima, e in altre parti del Paese, poi. È un rapporto che ha attraversato non solo le barriere fra Islam e Cristianesimo, ma anche gli anni tremendi della guerra civile. Nel Libano dilaniato dalla guerra, nel 2006 i membri dei Focolari, cristiani, hanno aperto uno dei loro centri a rifugiati dal sud, musulmani sciiti, con i quali hanno convissuto per molte settimane. Si è creato un rapporto di vera fratellanza che ha abbattuto i muri di sospetto e sfiducia reciproca con effetti positivi nei luoghi dove coloro che hanno vissuto questa esperienza sono tornati a vivere.

In Terra Santa, il Movimento è presente dal 1977 e si è diffuso prima fra i cristiani e, più tardi, fra ebrei e musulmani. Durante il conflitto di Gaza a cavallo del 2008 e 2009, accanto a terribili ferite riaperte, un rabbino, un imam ed un prete cattolico hanno invitato le loro rispettive comunità a pregare e a credere alla pace. L’esperienza si è approfondita durante le vacanze estive, quando un gruppo composto di rappresentanti delle tre religioni trascorre, da due anni, vari giorni insieme, costruendo ponti di comprensione e fraternità: un microcosmo, ma una cellula viva che permette la speranza.

In Italia, il rapporto fra l’Islam e la cultura locale viene percepito come un potenziale detonatore di violenza. In varie città si sono stabiliti rapporti di amicizia, che si arricchiscono della diversità, favorendo la stima reciproca. Si sono organizzate iniziative mettendo alla base di ogni evento la fraternità universale e la “Regola d’oro”. Importante – raccontano – l’esperienza tra noi, musulmani e cristiani: le difficoltà superate insieme sono state un’occasione per conoscerci ed apprezzarci nella nostra identità.” Un imam ha dichiarato: “Con Chiara Lubich e il suo Movimento, anch’io ho imparato a scommettere sull’unità della famiglia umana, a non arrendermi alla logica amico-nemico, a guardare all’altro con la certezza che vi troverò qualcosa di buono e di importante”. Recentemente, nella cittadella di Loppiano 600 cristiani e musulmani, residenti nel nostro Paese, hanno trascorso una giornata per una valutazione di queste esperienze, coscienti del contributo che possono portare per favorire l’integrazione.

Il problema etnico è venuto in particolare evidenza negli Stati Uniti, quando Chiara Lubich, donna, cristiana e bianca, fu invitata dall’imam W.D. Mohammad, leader carismatico dei musulmani afro-americani, a rivolgere il suo messaggio ai fedeli riuniti nella Moschea Malcolm X ad Harlem. “Oggi qui ad Harlem, New York – affermava alla conclusione di quella giornata – si è scritta una pagina di storia”. Aveva ragione l’imam, scomparso qualche mese dopo la Lubich. Da allora negli USA si svolgono con regolarità incontri di comunità cristiane e musulmane, bianchi e neri, che mirano a costruire la “fratellanza universale”.

La globalizzazione ha ormai avvicinato Oriente ed Occidente e la sensibilità della cultura greco-giudaico-cristiana, di cui l’Europa è figlia, a quella nata dalle radici plurimillenarie delle culture dell’Asia. In questo ambito il dialogo aperto da Chiara Lubich ha una sua valenza. Durante un soggiorno nella cittadella di Loppiano, vicino Firenze, due monaci del buddhismo therawada della Thailandia hanno avuto un contatto vitale con il cristianesimo, cogliendo nella categoria dell’amore il suo vero specifico. Al ritorno nel Sud Est Asiatico hanno comunicato le loro scoperte. Sono caduti pregiudizi e timori e la Lubich è stata invitata a Chiang Mai nel nord della Tailandia a raccontare a monaci, monache e laici la sua esperienza spirituale. Un grande maestro vipassana, presentandola diceva: “Il saggio non è né uomo né donna. Quando s’accende una luce nell’oscurità, non si chiede se sia stato un uomo o una donna ad accenderla. Chiara è venuta a donarci la sua luce”. Lo scorso anno, nel suo tempio, si è svolto un simposio, dove circa duecento persone di venti nazioni, cristiani e buddhisti, hanno accettato un confronto sulle risposte delle religioni alle sfide della globalizzazione. È emersa la coscienza che i problemi possono essere affrontati insieme, pur nella varietà delle tradizioni, grazie ai valori universali che ogni cultura porta e che accomunano l’uomo all’uomo, comunità a comunità, salvaguardando l’identità di ciascuno.

I frutti del dialogo interreligioso

Fra i risultati dell’esperienza interreligiosa di questi anni due costituiscono una costante: l’approfondirsi del rapporto con Dio o l’Assoluto e quello che, in termini cristiani, potremmo definire lo sperimentare i frutti dello Spirito.

Un rabbino di New York, al termine di un convegno, affermava di aver imparato che “l’incontro con Dio consiste nella nostra capacità di amare l’altro, e non tanto in quello che crediamo sul piano intellettuale o teologico”. Un eco che troviamo in una giovane buddhista giapponese che confessava di aver avuto la conferma che nel cuore c’è Dio-Buddha: “Ho sentito per la prima volta la sua presenza dentro di me”.

Ovviamente la presenza di Dio porta gioia, entusiasmo, pace e luce per una nuova comprensione delle proprie Scritture: sono i doni dello Spirito. Si tratta di un dialogo non superficiale, come notava un monaco, vicerettore dell’università buddista di Bangkok: “Qui si dialoga con la parte più essenziale della propria fede”. Quanto un rabbino ha comunicato al simposio ebraico-cristiano di Gerusalemme, può essere una chiave riassuntiva di lettura dei frutti fin qui descritti. Non è “una forma di simbiosi, e nemmeno un superamento o la negazione della sua identità. Si tratta, piuttosto, di riconoscere e di ancorarsi nella propria spiritualità più profonda per incontrare l’altro anche lui nella sua spiritualità più profonda”.

Conoscere la propria fede più profondamente

 

Rispetto per le differenze e attenzione ad evitare la tentazione di pericolose confusioni per costruire una pseudo-religione universale, sono aspetti del dialogo che portano ad approfondire la propria tradizione. Ognuno si trova impegnato ad andare alla radice della propria fede.

È l’esperienza di una dottoressa omeopata ed insegnate di yoga, che non esita a dichiarare che l’esperienza del dialogo l’ha aiutata a diventare una indù migliore e a scoprire più profondamente la [sua] religione”. Una coppia ebrea di Tel Aviv, ammette: “L’interesse nella nostra tradizione giudaica e nella sua storia ha cominciato a risvegliarsi con il nostro incontro con il Focolare”. Una giovane buddhista racconta che, dopo aver incontrato giovani cristiani che gli hanno proposto di vivere la “Regola d’oro”, attraverso l’arte di amare, ed aver cercato di viverla per anni, ha progressivamente sentito di aver ricevuto una luce che mi aiuta a capire ancora più profondamente la mia religione”.

Anche una dei leaders dei Focolari a Chicago, impegnata nel dialogo con vari gruppi di musulmani afro-americani, sottolinea come, vedendo pregare, la mattina presto, tutti i figli di un imam – persino un piccolo di quattro anni – abbia avvertito il desiderio di migliorare la sua vita di preghiera come cristiana: “Questo rapporto di dialogo tende a fare dei cristiani dei veri cristiani e dei musulmani dei veri musulmani”. Le fa eco una studentessa universitaria, che, al termine di una esperienza di dialogo con un gruppo di coetanei buddhisti, affermava: “Mi ha colpito il loro bellissimo rapporto con Buddha e ho capito che anch’io come cristiana devo dare la priorità a mantenere il rapporto personale con Dio”. Ma ci sono anche altri frutti.

La fratellanza universale è possibile

Un risultato che viene in evidenza sia a livello individuale che di rapporti fra gruppi è la certezza che la fratellanza universale è davvero possibile, come affermava un giovane cristiano al termine di uno scambio con coetanei buddhisti: “Quanto costruito fra noi è una testimonianza che se noi siamo fedeli ad essere veri cristiani e loro veri buddisti, saremmo una grande forza per contribuire a realizzare la fratellanza universale”. L’incidenza è ovviamente importante e la sua visibilità maggiore quando quest’esperienza matura tra gruppi. Nel nord Italia, musulmani e cristiani, affermano: “Insieme si scopre la bellezza di ciascuno come dono reciproco, per contribuire a realizzare un mondo unito nella fraternità. Non è un’utopia, ma un sogno che potrà realizzarsi, perché sentiamo che tra noi è già una realtà”.

L’apertura al “diverso”

Un secondo elemento è l’apertura verso l’altro che, spesso dopo aver superato ostacoli e difficoltà, diventa un atteggiamento di vita, come sottolineava un rabbino: “Non si tratta di convincere l’altro o di essere d’accordo su tutto quanto egli dice. È piuttosto accettare che può pensare diversamente da come penso io. Il punto è credere nella possibilità dell’altro[10].

In questo spirito e prospettiva, inizialmente si comunicano esperienze personali, difficoltà familiari e, successivamente, sempre più si comincia ad aprirsi su problemi di grande respiro e su questioni scottanti e delicate, che coinvolgono le religioni, le culture, i leaders religiosi, i luoghi comuni o gli stereotipi che si hanno gli uni degli altri. Tutto questo porta una crescente fiducia nell’altro e nella sua fede e tradizione religiosa.

A conferma, un episodio personale, legato alla questione, in Asia assai delicata, delle conversioni. Nel maggio del 2006 alcune frasi di Benedetto XVI, in occasione della presentazione delle credenziali dell’Ambasciatore indiano presso la Santa Sede, suscitarono in India numerose reazioni, fino ad interpellanze parlamentari e ad accuse di interferenze da parte del Papa in questioni interne del Paese. Una delle leaders gandhiane, con la quale da anni viviamo un profondo dialogo, fu contattata da una prestigiosa testata locale, per rilasciare un’intervista sul contenzioso. Lei stessa mi chiese il punto di vista cristiano sulla questione. Pur riconoscendo errori fatti da missionari cristiani in passato, esposi con chiarezza, seppure con rispetto e delicatezza, quanto spesso, negli ultimi anni, la comunità cristiana si sia sentita, come piccola minoranza, minacciata in un Paese che da millenni crede nella prospettiva del mondo come un’unica grande famiglia. Dopo due ore di appassionato e profondo dialogo, l’interessata decise di non accettare l’intervista, temendo che potesse danneggiare il lavoro d’integrazione sociale in cui eravamo impegnati da anni.

Crollo di idee preconcette

L’approccio fondato sulla “Regola d’oro” ha, inoltre, progressivamente contribuito al crollo d’idee erronee e preconcette sulle religioni ed i rispettivi seguaci. Momenti di dialogo e di comunione, infatti, favoriscono la possibilità di comprensione di certi atteggiamenti dell’altro, delle sue idee, delle tradizioni e anche dei suoi modi di esprimere la sua fede, lontano dagli stereotipi e delle generalizzazioni che circolano. Durante un programma di formazione per teen-agers, al termine della visita ai rispettivi luoghi sacri (moschea, chiesa, gurudwara sikh e tempio indù), un ragazzo indù commentava: “Mi hanno sempre detto che i musulmani sono terroristi, ma oggi visitando la moschea e vedendo come pregavano, mi sono detto che nella vita non potrò mai più pensare qualcosa del genere”.

Lo stesso cristianesimo è spesso visto in Asia come una religione protagonista di proselitismo. Una figura gandhiana di spicco non nasconde che l’esperienza di dialogo ha contribuito “ad eliminare gli errori commessi dal Cristianesimo in India. È un’esperienza che porta a pieno compimento la potenzialità del nucleo centrale della predicazione di Gesù[11].

Riconoscimento delle differenze

Quando fondato su esperienza di vita, sul rispetto reciproco e sulla fiducia dell’altro, il dialogo, sebbene capace di mettere in evidenza comunanze, non porta alla confusione delle credenze, ma fa emergere diversità con fratelli e sorelle di altre tradizioni. Esse, in questo spirito, non costituiscono un ostacolo, piuttosto un arricchimento ed un invito al rispetto della fede e della tradizione dell’altro per quello che è.

Lo esprime bene la responsabile della sezione femminile della comunità islamica di Verona, che, alla luce dell’esperienza di collaborazione con donne cristiane, riconosce di scoprire sempre più di appartenere ad “una fede diversa”, cosa che, tuttavia “non ostacola il rapporto, ma semmai è un incentivo per farlo crescere e anche per vivere meglio la propria religione”. Altrettanto stimolante la riflessione dell’ebreo di Chicago, che, a fronte della proposta di dialogo nello spirito della comunione, si è posto delle domande fondamentali: “C’è un precetto nella Torah che dice che un ebreo dovrebbe impegnarsi nel dialogo interreligioso?”. La risposta a queste domande ha cominciato a trovarla lui stesso: “Il dialogo interreligioso è stato un processo di riscoperta della mia voce come voce ebraica”.

Il dialogo contribuisce, poi, ad un risanamento del tessuto sociale, guarendo tensioni, lenendo ferite ed integrando comunità tradizionalmente in conflitto o in costante stato di tensione reciproca. È quanto si sta notando, soprattutto, in Europa dove, con i recenti flussi migratori le tensioni sociali continuano a crescere.

La mano dello Spirito

Rileggendo l’esperienza di dialogo che i Focolari hanno vissuto in questi decenni si nota una consonanza con documenti ufficiali della Chiesa, da Ecclesiam suam a Nostra aetate, da Evangelii nuntiandi, a Redemptoris missio ad altri interventi dei Papi, che confermano quella co-essenzialità di cui parlava Giovanni Paolo II fra il profilo petrino e quello mariano, fra gerarchia e carisma. Ma c’è un fatto, in un certo senso, ancor più sorprendente.

Il dialogo che si è stabilito fra i Focolari e seguaci di altre religioni è, spesso, avvenuto attraverso la mediazione di movimenti di rinnovamento spirituale, nati e cresciuti in seno alle rispettive religioni. È stato così con il movimento giapponese della Rissho Kosei-kai (Rkk), per quanto riguarda il buddhismo mahayana, e con i seguaci dell’imam W.D. Mohammad in seno all’Islam afro-americano e con varie realtà del movimento gandhiano, che costituisce un fenomeno, non solo socio-politico che ha portato all’indipendenza dell’India, ma anche una rilettura dell’induismo stesso.

Sono fenomeni, che ricordano una nuova fase di quelli che Jasper ha definito “periodi assiali” nella storia dell’umanità, ed offrono un terreno fertile per lo sviluppo del dialogo interreligioso anche grazie ad alcune caratteristiche comuni. Nati, infatti, nel XX secolo hanno elementi che tendono a rispondere alle problematiche del mondo d’oggi. Sono fondati e diretti da laici che non si pongono in contrapposizione con le diverse autorità religiose delle proprie tradizioni, ma che, tuttavia, contribuiscono a popolarizzare la rispettiva fede fra la gente comune. Mettono una particolare attenzione all’aspetto comunitario. I rispettivi fondatori hanno avuto e continuano ad avere un’autorità carismatica, riconosciuta dai seguaci e ne costituiscono il punto di riferimento, oltre che un modello di vita. Si tratta di filoni di spiritualità che hanno una notevole incidenza su politica, vita sociale, mass-media, pedagogia, economia ed arte.

Il rapporto fra questi movimenti è stato, spesso fin da subito, di stima e fiducia. Nel 1981, in occasione della prima visita della Lubich a Tokyo, i Focolari vengano presentati dai leaders della Rkk come “un nuovo movimento cristiano che, come parte della grande famiglia di Dio, mira a realizzare il suo Regno, una comunità basata sull’amore[12].

È un fenomeno che fa pensare ad una mano dall’alto che guida la storia, ad un’azione dello Spirito. Proprio lo Spirito è il protagonista della nostra esperienza di dialogo. È lo stesso Spirito, infatti, che, come accennato, lega l’aspetto carismatico e quello istituzionale della Chiesa e, forse, non è azzardato riconoscere nello stesso Spirito colui che ha suscitato movimenti di spiritualità in altre religioni per un incontro che aiuti a camminare davvero verso la fratellanza universale. D’altra parte, come affermava Chiara Lubich, nel dialogo nato dall’esperienza del Movimento “l’elemento decisivo e caratteristico è l’amore, l’amore diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Amore che trova un’eco spontanea ed immediata nelle altre religioni e culture[13].

 



[1] Cf. Statuti generali dell’Opera di Maria, art. 6.

[2] Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi Amici del Movimento dei Focolari, 16 febbraio 1994.

[3] M. Zanzucchi – O. Paliotti, Chiara Lubich, il cielo e l’umanità, Città Nuova, Roma 2009, p. 5.

[4] C. Lubich, Possono le religioni essere partners sul cammino della pace?, intervento all’assemblea del Movimento Iniziativa e rinnovamento, Caux (Svizzera), 29.07.2003 (da manoscritto non pubblicato)

[5] Id., Incontri con l’Oriente, op. cit., p. 37.

[6] Id., L’arte di amare, op. cit., p. 29

[7] Cf. Statuti generali dell’Opera di Maria, art. 8.

[8] C. Lubich, Quale futuro per una società multiculturale, multietnica e multireligiosa?, in Nuova Umanità 37 (2005/6) n. 162, pp. ???.

[9] Id., La mia esperienza nel campo interreligioso: punti della spiritualità aperti alle religioni, discorso alla celebrazione dei Vespri in Duomo, Aachen (Germania), 13 novembre 1998.

[10] Cf. Editorial, in Gen’s Magazine, XV (2007) 3, pp. 1-4.

[11] Cf. AA.VV., Twenty five Years of the Focolare Movement in India, Focolare Movement – St. Paul’s Publications, Mumbai 2005.

[12] C. Lubich, Incontri con l’Oriente, op. cit., p. 192.

[13] Id., La mia esperienza nel campo interreligioso: punti della spiritualità aperti alle religioni, cit.

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