Specchio di Lui per gli altri

Nelle sue lettere ad Agnese di Praga, Chiara d’Assisi la invita a guardare Gesù come ad uno specchio: uno specchio che, nella sua umanità, riflette 1a divinità. E non solo sollecita Agnese a guardare allo Sposo, ma anche ad imitarlo rifacendo le stesse scelte, gli stessi atti, gli stessi gesti. “Se con lui soffrirai – scrive -, con lui regnerai; se con lui piangerai, con lui godrai; se in compagnia di lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai (…) per tutta l’eternità e per tutti i secoli, la gloria del regno celeste (…); parteciperai dei beni eterni, e vivrai per tutti i secoli”. Agnese, imitandolo, diventa il Gesù dello specchio. Ma ecco che allora, divenuta tale, può a sua volta essere specchio per le sorelle. Si crea così – come dice lei stessa – una catena ininterrotta di specchi da Gesù al mondo. E cosi, riflettendo perfettamente Cristo, Francesco e Chiara, i primi frati e le prime sorelle hanno dato origine al movimento francescano: una di quelle realtà ecclesiali che, di tempo in tempo, riportano il vangelo nella sua radicalità nella chiesa, per farla rinascere, per rinnovarla, per riformarla. Ma anche a noi è toccato in sorte un compito, simile: far nascere, sviluppare, diffondere nel mondo una realtà carismatica, e anche a noi è toccato e tocca l’obbligo di vivere e far vivere integralmente, radicalmente il vangelo, guardando a Gesù come in uno specchio. I primissimi appunti che conserviamo, riguardanti il nostro Ideale, al suo primo apparire, riportano questa affermazione: “Noi dobbiamo essere un altro Gesù”. Ci chiedono quindi di rispecchiarci in lui. Allo scopo, come a san Francesco ed a santa Chiara è stato dato dallo Spirito Santo un carisma, quello della povertà, a noi è stato donato il carisma dell’unità. Ed è proprio attraverso l’unità che noi possiamo essere un altro Gesù, essere Gesù. Ricordiamo la definizione dell’unità data in una lettera del lontano ’47: “Oh l’unità! Che divina bellezza! Non abbiamo parole per dire cosa sia: è Gesù!”. Sì, è Gesù. Si cominciava a capire che, amandoci a vicenda, avremmo realizzato l’unità e Gesù sarebbe stato in mezzo a noi… e in ciascuno di noi. Vivere l’unità, quindi, era ed è sinonimo di vivere Gesù. E in tal modo tutto il vangelo. Un giorno una piccola, ma significativa luce nel nostro cammino ci ha chiarito questa novità. Le Parole del vangelo ci sono apparse come neonate pianticelle, disposte in un vasto terreno, e si è compreso che la radichetta d’ognuna affondava nel Testamento di Gesù, nell’unità, che sottostava a tutto il terreno, ed era vivificata da esso. È stata una visione plastica di come vada considerato il Testamento di Gesù e il suo rapporto con le altre Parole del vangelo; e di come vivere l’una – l’unità – e le altre. Si era capito meglio che l’unità non è una virtù particolare (non si elenca infatti fra le virtù); non è solo la più alta parola di Gesù; non è nemmeno soltanto il tema fondamentale del suo Testamento. L’unità è l’anima di tutto il vangelo, di tutta la Scrittura. Ed è la meta a cui tutto il vangelo tende. E, perché effetto della carità, si poteva anche dire che è il sunto, il concentrato del vangelo. Si era capito che occorreva vivere le parole in vista dell’unità. Sì, perché non è evangelicamente esatto vivere la povertà per la povertà, ma per la carità che porta all’unità, né l’obbedienza per l’obbedienza, ecc., ma tutto in vista dell’unità. E in modo simile ogni beatitudine, come pure i dieci comandamenti e quanto chiede il primo Testamento, che Gesù è venuto a completare e non a distruggere. Ed ora si comprende perché lo Spirito ci ha spinto a mettere in pratica, ogni mese, una diversa Parola, sì da poterle, col tempo, vivere tutte. Esse spiegano l’unità come in un ventaglio. E in esse possiamo specchiarci per essere Gesù, un altro Gesù. E diventare così specchio

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