Da Silicon Valley Bank a Credit Suisse, un sistema da cambiare

Chiudere il gigantesco casinò finanziario non è una questione di difficoltà tecnica, ma di volontà politica. E questa volontà fino a oggi è del tutto mancata. Intervista all’economista Andrea Baranes, presidente di Fondazione finanza etica
Agenti presso Silicon Valley Bank (AP Photo/Steven Senne)

Il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) negli Stati Uniti rappresenta l’avvisaglia di una tempesta destinata a scatenarsi a livello mondiale? Come riporta l’agenzia Agi si tratta di una banca niente affatto piccola e marginale.

È la sedicesima per dimensione di asset negli Usa. La crisi epocale del del 2007/2008 con il fallimento della Lehman Brothers non è servita a niente? Sono le domande che si pongono tutti anche se non sanno come rispondere. Le persone, di solito, sanno poco o nulla di economia, mentre la finanza è paragonabile, per la stragrande maggioranza dei cittadini, ad una scienza esoterica.

Cerchiamo di capirci qualcosa intervistando Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica della rete di Banca Etica, autore di saggi e libri di alta specializzazione di più ampia divulgazione.

Possibile che ci ritroviamo, di nuovo, come nel celebre film di Frank Capra del 1946 (La vita è meravigliosa) con i correntisti che prendono d’assalto la banca per ritirare i propri soldi? In quel caso si trattava di un piccolo istituto di provincia. Il sistema è così fragile?
Occorre dire che se, da un lato sembra dominare il mondo, dall’alto dei grattacieli della City o di Wall Street, dall’altro il sistema bancario e finanziario è fragile, da diversi punti di vista. Alcune fragilità sono dovute agli eccessi a cui ci ha purtroppo abituato: speculazione, orizzonti di brevissimo termine, ricerca esasperata del massimo profitto nel minore tempo possibile, sempre maggiore complessità e nello stesso momento totale mancanza di trasparenza. Tutti fattori che da un lato rendono più probabili e frequenti le crisi, dall’altro aumentano la possibilità che le difficoltà di un singolo istituto possano contagiarne altri, se non l’intero sistema, come avvenuto nel 2008. Altri elementi di fragilità non sono invece legati a eccessi e storture, ma al normale funzionamento delle banche.

(AP Photo/Michael Probst)

Cosa non va bene in tale funzionamento normale delle banche?
Forse l’aspetto più importante riguarda la gestione di tempi e rischi. Semplificando, le banche raccolgono risparmio dai loro clienti e lo usano per finanziare imprese e famiglie. C’è però una differenza fondamentale tra la raccolta e l’impiego del denaro. Gran parte della raccolta proviene da chi ha un conto corrente, soldi che possono essere chiesti indietro in qualsiasi momento (i depositi sui conti sono detti “a vista” a indicare che devono essere restituiti immediatamente su richiesta). Gran parte dei prestiti sono invece bloccati per anni, se non per decenni, come avviene ad esempio con i mutui. Questa differenza tra entrate che possono essere reclamate “a vista” e uscite bloccate può causare seri problemi.

Che tipo di guai?
Facciamo un caso. Cosa avviene se si sparge la voce che una data banca è in difficoltà? Molti clienti, per paura di perdere i propri risparmi, andranno a ritirare. Solitamente le banche possono fare fronte a squilibri momentanei di liquidità sul mercato interbancario, ovvero quel sistema di continui prestiti tra banche che scorre sotto la superficie del sistema e ne assicura il funzionamento. Ma anche le altre banche non si fideranno più a prestare a quella in difficoltà, o lo faranno a tassi di interesse più alti. Ecco allora che i problemi di liquidità diventano più seri. Le maggiori difficoltà spingeranno altri correntisti a ritirare i propri soldi, e rischia di partire una valanga che trascina la banca in crisi.

Ma non esistono delle garanzie?
Proprio per rispondere a tali problemi in quasi tutti i Paesi i conti correnti sono garantiti dallo Stato (in Italia fino a poco più di 100.000€). È una garanzia per i clienti, ma è anche se non soprattutto un aiuto per le banche, ovvero il tentativo di limitare il rischio della “corsa agli sportelli” dei clienti stessi alla prima notizia di difficoltà della loro banca. Come hanno mostrato i recenti casi di SVB e di Credit Suisse, però, quando si scatena la valanga di notizie di crisi e ritiro dei capitali, questa garanzia pubblica non sembra certo bastare.

.(AP Photo/Frank Augstein)

Che legame esiste tra SVB e la crisi di Credit Suisse che alla fine in pochi giorni fa è stata acquisita da Ubs?
Le due crisi sono legate proprio da questo elemento di rottura della fiducia. Nel caso di SVB, alcuni tra i maggiori clienti erano start up e imprese ad alta tecnologia. Con il rialzo dei tassi di interesse della Banca Centrale USA, queste imprese si sono trovate a corto di liquidità, e hanno ritirato i propri risparmi dalla SVB. La banca, in difficoltà, ha dovuto vendere dei titoli per fare cassa, ma sempre il rialzo dei tassi aveva portato questi titoli a perdere valore. La banca ha allora provato a mettere sul mercato delle azioni proprie, ma questa decisione ha avuto l’effetto opposto, mostrando a tutti che la SVB era davvero in difficoltà e scatenando il panico tra i clienti, il che ha portato a un’ulteriore uscita di capitali, con la tipica spirale della crisi bancaria che si auto-alimenta.

(AP Photo/Amr Nabil)

E cosa è successo a Credit Suisse, fondata nel 1856? Non è il sistema bancario svizzero una garanzia di sicurezza che attira clienti da tutto il mondo?
Credit Suisse veniva da una situazione già precaria e segnata da una preoccupante serie di scandali e operazioni “sfortunate” negli ultimi anni. La scintilla che ha portato alla crisi è stata la dichiarazione del presidente della Saudi National Bank – primo azionista di Credit Suisse – sul fatto che non avrebbero sostenuto la banca con nuovo capitale nel caso fosse stata necessaria una ricapitalizzazione.

La reputazione di Credit Suisse era già probabilmente ai minimi storici, dopo una serie impressionante di scandali e operazioni dubbie, per usare un eufemismo. La fiducia con la clientela e con i mercati in generale era quindi già compromessa, e le vicende degli ultimi giorni sono stati la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso.

(Continua- fine prima parte)

 

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