Silicon Valley Bank, Credit Suisse e le cause del contagio finanziario

Seconda parte dell'intervista all’economista Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica della rete di Banca Etica. È il sistema finanziario nel suo insieme che dovrebbe radicalmente cambiare strada, ma ogni tentativo di regolamentazione si è finora scontrato contro il muro delle lobby del settore e contro l’approccio ideologico secondo il quale il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi e andrebbe quindi lasciato libero di agire
Crisi Silicon Valley Bank e rischio contagio dei mercati (AP Photo/Mark Baker)
(AP Photo/Frank Augstein)

Continuiamo la nostra intervista di approfondimento con  Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica della rete di Banca Etica, autore di saggi e libri di alta specializzazione di più ampia divulgazione.

Leggi qui la prima parte dell’intervista.

Il commissario Ue all’economia, Paolo Gentiloni, ha affermato che non vede «al momento» il rischio di contagio in Europa. Una presa di posizione non del tutto tranquillante. Che rischi corrono le nostre banche?
Un rischio di contagio è sempre presente, per almeno due motivi. Il primo, operativo, è legato al fatto che come accennato il sistema bancario è estremamente interconnesso: un’enorme liquidità circola 24 ore su 24 nel sistema interbancario. Se salta la fiducia e tale sistema si blocca, le difficoltà possono diventare sistemiche. Il secondo motivo è meno legato a questioni meramente operative, ma è probabilmente molto più pesante.

Cioè? In che modo può circolare il contagio?
È presto detto. A dispetto di tutti i modelli matematici ed econometrici che vengono continuamente elaborati, i mercati sono estremamente umorali. Se gira voce che ci sarà una crisi, molte persone vendono. Per la legge della domanda e dell’offerta, se tutti vendono i prezzi scendono. Se i prezzi scendono, altri investitori, preoccupati, decideranno di vendere. Queste vendite spingeranno ancora più i prezzi al ribasso, e nuovamente la spirale si autoalimenta.

Anche per questo le autorità si sono affrettate a dire che non ci sono rischi di contagio, e ancora prima a intervenire subito in soccorso delle banche in difficoltà.

Quale è il problema che si può innescare?
Il problema non è salvare la singola banca, ma evitare che una crisi di liquidità di un istituto si trasformi in una crisi generalizzata. Detto ancora più esplicitamente, quello che davvero preoccupa non è una crisi finanziaria (ovvero una banca che perde dei soldi per investimenti sbagliati o altro) ma una crisi di fiducia (ovvero l’insieme dei clienti e del “mercato” che si muove sulla base delle notizie e delle sensazioni).

Quali autorità sono chiamate ad intervenire in questi casi?  Con quali strumenti finanziari?
Le autorità chiamate ad intervenire sono prima di tutto le banche centrali, che hanno a disposizione diversi strumenti. Il primo è agire sui tassi di interesse, il cosiddetto “costo del denaro”.

Come funziona?
Se il costo è basso, circolano più soldi e prestiti, e diventano più difficili le crisi di liquidità come quelle viste nelle scorse settimane. Bassi tassi delle banche centrali spingono però al rialzo dell’inflazione. Proprio per contrastare l’elevata inflazione tanto la FED negli USA quanto la Banca Centrale Europea avevano rialzato i tassi negli ultimi mesi. In questo momento le banche centrali sembrano essere in un vicolo cieco: se li tengono alti, si rischiano nuove crisi bancarie, se li abbassano sconfessano gli indirizzi di politica monetaria degli ultimi mesi e si rischia un’inflazione galoppante.

Cosa altro possono fare?
Possono cercare di intervenire con altri strumenti, anche non convenzionali, come prestiti di natura eccezionale alle banche o altro. Il vero problema è che tali misure “eccezionali” sono diventate invece la norma negli ultimi anni, almeno dalla crisi dei subprime del 2008 in poi. Un sistema finanziario ipertrofico e altamente instabile ha sempre più bisogno della stampella pubblica. Le autorità, che siano le banche centrali o i governi, possono mettere in campo tutte le misure finanziarie del mondo e moltiplicare gli appelli e le rassicurazioni sul fatto che non c’è un rischio contagio o che il sistema è stabile, ma rimane il fatto che parliamo di un sistema in cui i valori della fiducia e della reputazione sono probabilmente ancora più importanti dei fondamentali economico-finanziari. E per restituire fiducia a clienti e grande pubblico, le toppe messe dalle autorità dopo ogni crisi possono fare ben poco.

Quindi, come si può uscire fuori da questo tunnel?
È il sistema nel suo insieme che dovrebbe radicalmente cambiare strada, ma ogni tentativo di regolamentazione si è finora scontrato contro il muro delle lobby del settore e contro l’approccio ideologico secondo il quale il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi e andrebbe quindi lasciato libero di agire. Le vicende delle ultime settimane non hanno fatto che confermare per l’ennesima volta, e in maniera clamorosa, quanto tale assunto sia fallace e come debbano sempre esserci lo Stato e le autorità pubbliche a tenere in piedi un sistema in equilibrio a dire poco precario.

(AP Photo/Mark Schiefelbein, Archivio)

Alla fine si deve dire, quindi, che il sistema finanziario è irriformabile?
Non è irriformabile, anzi. Dalla speculazione ai paradisi fiscali, dalla mancanza di trasparenza agli obiettivi di brevissimo termine, sapremmo come intervenire per riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia e non un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi. Chiudere il gigantesco casinò finanziario non è una questione di difficoltà tecnica, ma di volontà politica. E questa volontà fino ad oggi è del tutto mancata. Persino dopo la peggiore crisi finanziaria della storia recente, quella dei subprime del 2008, tutte le promesse su un deciso cambio di rotta nella regolamentazione finanziaria si sono concluse con un nulla di fatto.

Per l’ennesima volta abbiamo assistito a un sistema che continua a privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Le banche e il sistema finanziario in generale continuano a lanciarsi in operazioni tanto rischiose quanto socialmente inutili.

Quanto può andare avanti un sistema del genere?
Diciamo che finché le cose vanno bene si spartiscono la torta, ma quando il giocattolo si rompe deve intervenire il pubblico per salvare tutto dal rischio di un collasso generalizzato. Il problema non è unicamente nella gigantesca ingiustizia sociale, ma è anche di natura prettamente economica. Pensiamoci un momento. Vado a giocare al casinò. Finché vinco, mi tengo il malloppo, se perdo, paga qualcun altro. Qual è allora il mio comportamento razionale? Ovviamente giocare il più possibile e rischiare il più possibile, nella convinzione che può solo andarmi bene. Ecco, è questo ciò che accade sul sistema bancario e finanziario. È il cosiddetto azzardo morale: i banchieri si assumono rischi spropositati, se gli va bene si moltiplicano bonus e gratifiche, ma se va male non ne pagano le conseguenze. Finché non affrontiamo anche questo problema, ci ritroveremo con preoccupante frequenza a riparlare dell’ennesima crisi, dell’ennesimo fallimento, e degli ennesimi interventi delle autorità e degli Stati per scongiurare il tracollo del casinò finanziario.

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