Sessualità e avvento del Regno

(25) Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. (26) Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere cosi. (27) Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andarla a cercare. (28) Però se ti sposi non fai peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele. Quanto alle vergini: in greco è scritto perì tòn parthénon, e sembra proprio allacciarsi a una precisa richiesta dei corinti nella missiva scritta all’Apostolo, un chiarimento cioè sul comportamento verso le figlie nubili. Paolo darà un’ampia risposta che non si ferma alle donne. Infatti, nel v. 26 è detto: Penso dunque che sia bene per l’uomo…. Non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio. Effettivamente, dai vangeli non si ricavano comandi circa il celibato o la verginità: Mt 19, 20 (1) riporta un detto che non è un comando. Per questo subentra l’Apostolo e dà un consiglio. Non bisogna pensare però che sia un consiglio qualunque (cf. v. 40) (2), ma è un consiglio dato da chi ha l’autorità d’insegnare infallibilmente la verità. Egli richiede l’accettazione del vero contenuto teologico del suo parere, e cioè che la verginità è migliore dello sposarsi. Vi sono poi delle parole molto discusse: A causa della presente necessità, in greco dia tén enéstosan anàgken. La maggioranza degli interpreti protestanti pensa che si tratti della fine del mondo ritenuta prossima da Paolo, e cosi anche alcuni cattolici: questa anàgken (necessità) è presente, perché ha luogo nel secolo presente (o aion o eneston), ma per giustificare l’esortazione dell’Apostolo non si deve ritenere che il secolo presente duri molto a lungo (3). È un’interpretazione, dice G. Huby (4), che si può difendere, purché non si attribuisca a Paolo un insegnamento positivo su una prossimità di un avvenimento di cui nessuno conosce né il giorno né l’ora, ma lo si consideri solo un’opinione, un desiderio o una speranza che non implichino certezza. Altri, come Ph. Menoud (5), affermano: Del resto, se Paolo preferisce il celibato è per ragioni pratiche e non propriamente teologiche. Egli riconosce ai celibi dei vantaggi sull’uomo sposato. Prima di tutto il celibe è in una situazione più favorevole riguardo a quello che l’Apostolo chiama tén enéstosan anàgken, con la quale espressione bisogna intendere le difficoltà attuali dei fedeli – poco numerosi nel seno di una grande città corrotta, esposti senza dubbio, come aderenti ad una religione nuova e quindi non lecita, a inchieste giudiziarie – e non le sofferenze escatologiche. Per avere un ventaglio tra le tante interpretazioni, citiamo ancora B. Proietti (6): Ritengo pertanto che la necessità presente indichi la situazione di conflitto vissuta dal cristiano nella sua carne e proveniente dalla tensione dialettica del già della salvezza (cf. 2 Cor 1, 22; 5, 1-5; Rm 8, 15; Ef 1, 14; 2, 6) e del non ancora della sua definitiva realizzazione (cf. Rm 8, 22-25), tensione che Paolo nelle sue lettere sottolinea facendo seguire agli indicativi della realtà cristiana iniziatasi con il battesimo, gli imperativi della condotta morale, appunto per conservare e realizzare in questo mondo, tuttavia irredento, ciò che già si è. Queste tre interpretazioni esprimono esemplificazioni di un ventaglio di ipotesi, che vanno da un escatologismo assoluto e un escatologismo moderato, a un semiescatologismo, sino alla negazione di esso. A me sembra che nella Lettera ai corinti troviamo che Paolo ha presente il contesto escatologico: basta vedere il capitolo 10, 11 (7) e 15, 51- 53 (8). Ma, pur ammettendo la verità del già della venuta di Cristo e del non ancora del suo secondo ritorno, bisogna attenersi il più possibile, per una buona esegesi, al senso delle parole greche. Vediamo ora che enéstosan (presente) (cf. Gal 1, 4; 1 Cor 3, 22; Rm 8, 38; ecc.), non ha significato di imminente se non forse in pochi luoghi come 2 Tess 2, 2; anàgken (necessità), ugualmente non fa pensare primariamente a una catastrofe universale (2 Cor 6, 4; 12, 10; 1 Ts 3, 7): per questo occorrerebbe un contesto immediato ben diverso, che non deve essere presupposto, ma dimostrato; le parole greche, cioè, non spingono ad affermare l’imminenza della parusia. I teologi che ve l’hanno voluta vedere, hanno trasposto in esse un loro giudizio generale su Paolo, applicandolo all’interpretazione delle suddette parole, ampliandone però il senso. Le necessità presenti sarebbero le tribolazioni derivate dalla vita cristiana in una società come quella di Corinto. (27) Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. (28a) Però se ti sposi non fai peccato. E se la giovane prende marito non fa peccato. Qui si ripetono i concetti dei vv. 1 e 7: non v’è obbligo di scegliere il celibato, anche se è consigliato. Chi non ha il carisma della verginità, otterrà il carisma del matrimonio. (28b) Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele. Per carne, in greco sárx, si indica la natura umana nella sua sensibilità. Le tribolazioni hanno il primario significato, nel Nuovo Testamento, di tribolazioni dei fedeli e degli apostoli (cf. Gv 16, 33; At 11, 19; 14, 22; 2 Cor 1, 4; Fil 4, 14; 1 Ts 3, 3-7). Nel nostro caso però si tratta certamente di tribolazioni provenienti dalla vita coniugale, giacché Paolo vorrebbe risparmiarle. Se si trattasse di altre tribolazioni, comprese quelle degli ultimi tempi, nessuno potrebbe essere salvato, neanche i celibi. (29) Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai s’è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero, (30) coloro che piangono come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero, quelli che comprano come se non possedessero; (31) quelli che usano del mondo, come se non lo usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo. Questi versetti sono tra i più difficili, soprattutto per la prima frase: Vi dico, fratelli: il tempo ormai s’è fatto breve. Nelle lettere di san Paolo, questo parlare in prima persona si trova ancora solo in questa lettera, al capitolo 10, 15-19 e al capitolo 15, 50; l’intero contesto sopraindicato viene considerato una digressione, se non addirittura un brano preso da una tradizione delle sue comunità a lui anteriore (9). Varie, perciò, sono le interpretazioni del testo, proprio per la difficoltà che comporta. C’è l’interpretazione escatologico-cattolica (10): Qui la frase può indicare solo l’imminenza della fine del mondo (11) (per frase si intende l’intero contesto dal v. 29 al 31). Ma allora, si domandano questi esegeti, come può ritenersi ancora valido lo scritto dell’Apostolo, se dopo 1900 anni la fine del mondo non è ancora avvenuta? Per essi la risposta è molto semplice: distin- guono, infatti, fra ciò che può aver pensato personalmente l’Apostolo, anzi, ritenuto certo, sulla questione del tempo della parusia, e quanto, al di là di tale certezza, doveva rimanere scritto per l’ammaestramento di tutta la Chiesa. Questi interpreti applicano a Gesù stesso questa concezione, e a tutta la Bibbia. Pur pronunciati in un contesto diverso e calati in una attuazione ben precisa, solo in questo modo gli insegnamenti apostolici conserverebbero il loro valore per altri tempi e altre circostanze. Mi sembra che non si possa essere d’accordo con questa opinione. Un’altra opinione ci viene da E.B. Allo (12). Egli afferma che il tempo lasciato a ciascun uomo e all’umanità intera per collaborare al regno di Dio è corto, si è contratto. Non si può più, come nell’Antico Testamento, lasciar ondeggiare il proprio sguardo in una prospettiva indefinita di benefici e di prove temporali, senza vedere niente al di là. Lo spazio di tempo che ci è accordato per assicurare la nostra felicità è come una vela ripiegata. La disposizione esteriore di questo mondo fatto di situazioni temporali, sta per scomparire. Ora, egli afferma, gli escatologisti hanno interpretato le parole del v. 31 nel senso che la scena, il ruolo di questo mondo starebbe per tramontare per la parusia prossima. Ma Allo non stima necessaria questa lettura, poiché le pene e le preoccupazioni di cui parla Paolo non sono quelle che caratterizzano la consumazione universale. Egli allora pensa che si tratti del corso normale sempre agitato e penoso della storia umana, e del corso di ciascun individuo. E si domanda: se si trattasse veramente della fine del cosmo, Paolo non avrebbe potuto scrivere più chiaramente, cercando di risvegliare tutta la preoccupazione dei fedeli? Certamente, molte delle interpretazioni di Allo, e di altri con lui, Jacono per esempio (13), contengono delle verità. Bisogna tener presente però, che san Paolo non poggia mai i suoi insegnamenti sulla brevità della vita, mentre si appella sempre al momento nel quale Gesù Cristo tornerà (14). Per questo motivo appare più valida una interpretazione ora assai diffusa: quella che considera la parola kairòs non tanto da un punto di vista quantitativo di vicinanza temporale della fine, quanto da un punto di vista qualitativo. Il tempo, cioè, è cambiato con la venuta di Cristo e, in questo senso, s’è accorciato perché la fine, qualitativamente, è diventata più prossima; infatti, dopo Gesù non c’è un’altra realtà temporale che deve sopraggiungere; quantitativamente, invece, anche adesso non sappiamo né il giorno né l’ora. Il fatto che il tempo sia cosi cambiato fa sì che tutto diventi relativo: quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero. Paolo non afferma che i coniugi devono separarsi, anzi, poco sopra aveva affermato il contrario anche riguardo all’uso del matrimonio; Paolo vuol dire che i coniugi devono avere il cuore fisso in Dio; è questo che relativizza la loro vita. Lo stesso vale per le altre circostanze: piangere, godere, comperare, usare di questo mondo. Mentre nei primi tre esempi: matrimonio, pianto, godimenti, Paolo afferma dei valori che hanno un significato umano universale, negli altri due casi: comperare e usare di questo mondo, sembra si rivolga particolarmente ai corinti, città dove il commercio fioriva e con esso tutte le strutture umane del tempo. Perché passa la scena di questo mondo. Abbiamo già visto che la frase non può essere intesa in un senso escatologico puro, ma come un linguaggio preso dall’uso teatrale: Paolo ci indica la relatività di tutto. Questa pericope, pur con la sua difficoltà, è fra le più belle pagine di Paolo. ontinua) 1) II giovane gli disse: Ho osservato sempre tutte queste cose; che mi manca ancora? ; 2) …credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio (1 Cor 1, 40); 3) F. Prat, in Un Maître de l’éxégèse contemporaine, le Pére Ferdinand Prat, di J. Cales, appendice 2ª, Paris 1942, p. 164, nota 1; 4) G. Huby, op. cit., p. 140; 5) Ph. Menoud, Mariage et Célibat selon Saint Paul, Rev. Th. Ph., Losanna, I (1951), p. 24; 6) B. Proietti, La scelta celibataria alla luce della Sacra Scrittura, in AA.VV., Il celibato per il Regno, Milano 1977, p. 59; 7) Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi (1 Cor 10, 11); 8) Ecco, io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. (1 Cor 15, 51, 51-53); 9) B. Proietti, op. cit., p. 61; 10) Cf. E.Walter, op. cit., p. 135; F. Prat, op. cit., p. 165; 11) E. Walter, op. cit., p. 135; 12) E.B. Allo, op. cit., p. 180; 13) Cf. Jacono, op. cit., p. 319; 14) Rm 13, 11-12; 1 Cor 1, 8; 2 Cor 5, 10; Col 3, 24; 2 Ts 2, 11; ecc.

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