Sappiamo di non sapere

Il secolo appena trascorso si potrebbe tranquillamente definire come il secolo d’oro della scienza. Scoperte e conquiste in tutti i campi hanno cambiato, a volte in modo travolgente, la vita di tutti i giorni, e la nostra visione del mondo. Chiunque potrebbe farne degli esempi. Eppure, se in questo inizio di terzo millennio provassimo a fare un bilancio di quante sono le domande a cui abbiamo dato risposta e quanti interrogativi, antichi o nuovi, attendono invece una soluzione, la conclusione probabilmente sarebbe ancora una volta la stessa: più conosciamo, più ci rendiamo conto di non sapere. Questo naturalmente non scoraggia gli scienziati, che anzi trovano sempre maggior interesse ed entusiasmo davanti alle nuove sfide. Ma anche noi spettatori, che un pochino scienziati lo siamo lo stesso, restiamo affascinati da una natura che non cessa mai di sorprenderci, di buttare all’aria le nostre certezze, per chiamarci ad una continua apertura verso il nuovo, tenendo in allenamento, insieme, cervello e cuore. In effetti, ogni volta che la scienza (e la tecnica) fanno un progresso significativo, questo all’inizio ci disturba quasi, perché non riusciamo ad inquadrarlo nelle nostre categorie di pensiero, ci sembra magari astruso, lontano dai nostri interessi, difficile, inutile, pericoloso o provocatorio. Solo col passare del tempo, riusciamo ad impadronirci della novità, a dargli un senso, adattandola e inserendola nelle nostre categorie mentali e nelle nostre scale di valori, imparando a gestirla con i suoi inevitabili lati positivi e negativi, facendola diventare quindi senso comune, cultura, modo di pensare e di vivere. Il problema è che la scienza va avanti, non ci aspetta, per cui magari non abbiamo ancora ben digerito le novità precedenti che già ne urgono altre più nuove ancora. E a volte la società fa indigestione. Cosmologia L’universo intorno a noi, grazie a sonde e telescopi, ci svela con sempre maggior dettaglio i suoi segreti, i suoi colori, la sua dinamica fatta di stelle, galassie e buchi neri. Per uno studioso di cento anni fa che capitasse oggi nei nostri laboratori, i progressi sarebbero impressionanti, da fantascienza. Eppure, il lettore si meraviglierà forse di sapere che, nonostante gli sforzi degli astronomi, co nosciamo solo una minuscola frazione (meno del 5 per cento) della materia totale dell’universo, la parte visibile, quella che costituisce le galassie e le stelle. La maggior parte del cosmo invece è misteriosa, costituita da qualche strana forma di materia, detta oscura perché non solo non riusciamo a rivelarla con i nostri strumenti, ma non abbiamo neanche la più pallida idea di cosa sia fatta. Si sa solo che non sembra interagire con la materia ordinaria, né con la luce. Ipotizziamo che esista perché nelle galassie la velocità di rotazione delle stelle più esterne è maggiore del previsto, compatibile solo con una gran quantità di materia invisibile. Le ipotesi degli studiosi per giustificare i risultati delle osservazioni sono le più varie: stelle non luminose, nane brune, evanescenti sconosciute particelle a bassa interazione (Wimp), fino ad una esotica forma di materia chiamata quintessenza. Ipotesi ardite, tutte da dimostrare. Già questo è impressionante, ma c’è dell’altro. A scuola abbiamo imparato che i corpi si attraggono tanto più quanto è maggiore la loro massa (vedi la famosa storia della mela cascata in testa a Newton). Di conseguenza ci è stato insegnato che l’universo, dopo il big bang iniziale, si sta espandendo ad una velocità rallentata dall’attrazione gravitazionale dei corpi. Ultimamente, però, sta diventando evidente che qualcosa non va in questo modello; sembra che 5 miliardi di anni fa l’espansione dell’universo abbia smesso di rallentare, per cominciare un’accelerazione tuttora in corso. Questo ha costretto gli studiosi ad ipotizzare l’esistenza di una nuova forma di energia, anch’essa detta oscura (il termine evi dentemente va di moda), e dotata di strane proprietà tra cui la gravità repulsiva, già ipotizzata da Einstein. In pratica l’intensità dell’attrazione gravitazionale esercitata da un oggetto non dipende solo dalla sua massa, come diceva Newton, ma anche dalla sua pressione interna. Nel Sole per esempio la pressione (positiva) del gas verso l’esterno aumenta l’attrazione gravitazionale. Se però il valore della pressione scende oltre un certo limite, la forza gravitazionale diventa repulsiva, come nel caso dell’energia oscura. Ne consegue che il contenuto dell’universo dovrebbe essere per il 70 per cento energia oscura, per il 35 per cento materia oscura, e solo per il 5 per cento la normale materia di cui sono fatte le stelle … e noi. E il destino ultimo del cosmo è in balia dello scontro tra due forze opposte: l’attrazione gravitazionale della materia conosciuta, e la spinta repulsiva di questo nuovo tipo di energia. Sconosciuta. Fisica Nel campo dei mattoni fondamentali su cui è costruito il nostro mondo, le cose a prima vista sembrano un po’ più stabili. Il modello cosiddetto standard è all’apice del suo successo, soprattutto perché riesce a spiegare tutta la varietà e complessità del nostro mondo con solo 6 particelle fondamentali: prima di tutto i due tipi di quark (detti su e giù) che costituiscono i protoni e i neutroni all’interno dei nuclei degli atomi. Poi il gluone che è il messaggero della forza che tiene sempre legati i quark all’interno di protoni e neutroni, ma è anche una particella egli stesso. L’elettrone che gira intorno al nucleo atomico ed è alla base delle proprietà chimiche degli elementi. Il misterioso e non ancora scoperto Bosone di Higgs, mediatore del campo omonimo che permea tutto l’universo e fa si che le particelle abbiano una massa. Infine il fotone, mediatore della forza elettromagnetica. In 30 anni di esperimenti il modello è stato sempre confermato, ma ora sembra proprio che debba essere rivisto anch’esso, se non altro per le domande che arrivano dalla cosmologia: nel modello attuale infatti non c’è posto per l’energia oscura, né per la materia oscura. Non solo: il modello non descrive la forza gravitazionale, non chiarisce a sufficienza le caratteristiche del Bosone di Higgs, non spiega perché certi parametri, come le masse delle parti celle, devono avere proprio quei valori e non altri. Tra l’altro, oltre alle 6 particelle fondamentali costituenti il mondo normale, sappiamo essercene altre che si rivelano solo in condizioni particolari, ma non si capisce a cosa servano. Insomma anche qui i fisici hanno molto da fare e grande è l’attesa per i prossimi più potenti acceleratori di particelle che permetteranno tra qualche anno di indagare ancora più a fondo la materia. Chissà se continuerà il gioco delle scatole cinesi, per cui dentro ogni particella elementare se ne scopre un’altra più piccola, o se con i quark siamo arrivati, come dice qualcuno, alla fine della ricerca dei costituenti ultimi. Intanto i due campi di indagine si sono alleati, dando vita ad una nuova disciplina, chiamata cosmologia delle particelle, per tentare di trovare una risposta comune alle tante domande in attesa. Biologia Sono da poco terminati i festeggiamenti per i 50 anni dalla scoperta della struttura del Dna, la macro molecola che contiene i nostri geni. In questi anni, i geni sono entrati di prepotenza nella nostra cultura, recepiti ormai saldamente nell’opinione della gente come gli arbitri inesorabili che decidono i caratteri ereditari e il piano di costruzione e sviluppo di ogni essere vivente. Nonostante tanti studiosi si siano da sempre sforzati di rimarcare l’importanza dell’ambiente nel determinare e differenziare le modalità di crescita e maturazione di ogni essere vivente, l’associazione un gene un carattere ha stravinto la battaglia culturale, e si sono scritte tonnellate di pagine su questo protagonista unico, che qualcuno ha anche chiamato gene egoista. In pratica il processo su cui si basa la genetica è molto semplice e comincia nel nucleo delle cellule: una parte dell’informazione (gene) contenuta nel filamento di Dna viene trascritta in un messaggero chiamato Rna. L’Rna trasporta questa informazione fuori dal nucleo, fino alle fabbriche cellulari dove viene usata per costruire gli amminoacidi. Appena generate, queste molecole complesse si ripiegano e si attorcigliano in complicate forme tridimensionali, dette proteine; queste ultime svolgono poi tutto il lavoro necessario per la vita del nostro corpo. Da qui l’associazione: un gene una proteina. Nel Dna dell’uomo sono state trovate circa 27 mila sequenze che danno origine a proteine, per cui si sono identificati 27 mila geni. Il resto del filamento è stato chiamato spazzatura perché sembrava inutile. Negli ultimi anni però è apparso evidente che andava rivoluzionata la base della genetica, cioè la famosa sequenza Dna, Rna, amminoacidi, proteine. Colpa proprio del Dna spazzatura che è pieno di sorprese: alcuni tratti infatti danno origine ad Rna che controlla il comportamento delle cellule interagendo direttamente, senza bisogno di generare proteine. Sempre nel Dna spazzatura ci sono poi cosiddetti pseudogeni, copie apparentemente difettose di geni buoni, che però sembrano capaci di regolare l’espressione di questi ultimi. Anche l’Rna, finora considerato un semplice esecutore dei comandi del Dna, e quindi dei geni, ha mostrato doti impensabili: microRna e riboswith sono piccoli Rna che sembrano incaricati di regolare una parte di informazione ereditaria che si trova all’esterno del filamento del Dna. E questa è una novità assoluta e impensabile fino a poco tempo fa! Quello che viene fuori con prepotenza è la complessità alla base della vita cellulare, con il vecchio gene che si trova ora spodestato e affiancato da una enorme serie di protagonisti, mediatori e messaggeri che si controllano e si influenzano a vicenda, in una danza complessa e affascinante. Meno rigidità e più flessibilità quindi all’interno della cellula, che significa anche maggiore interazione con le condizioni ambientali al contorno. Potremmo tradurlo forse con meno destino ineluttabile e più libertà. Tra l’altro questo offre anche maggiori possibilità per la cura della nostra salute, in quanto aumentano i possibili bersagli di intervento con i farmaci in caso di malattie. Prospettive Recentemente si è parlato di una crescente disaffezione dei giovani per la scienza. Dopo gli entusiasmi dell’Ottocento sulle possibilità della scienza di risolvere tutti i problemi, nel Novecento si sono moltiplicati i successi ma anche le crisi: è stata messa in discussione infatti la pretesa del metodo scientifico di essere l’unico valido e oggettivo approccio alla conoscenza, ed è aumentata la percezione dei rischi, reali o presunti, connessi con l’avventura scientificotecnologica. Probabilmente è solo un problema di maturazione e di crescita troppo veloce. Essere consapevoli di quanto poco sappiamo e di quanto rimane da scoprire, ci può rendere più prudenti negli sviluppi e più attenti ai reali benefici per l’uomo. Allo stesso tempo aiuta gli scienziati e noi tutti ad essere più umili, non per scoraggiarci ma per ripartire con rinnovato entusiasmo, coscienti di quanto la ricerca scientifica sia uno strumento prezioso che, insieme ad altri, può aiutare l’uomo a capire sempre meglio sé stesso e l’ambiente in cui vive. Ricostruzione del filamento a doppia elica del Dna.

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