Sàpere

Un breve racconto: il dialogo scherzoso e profondo tra un professore e i suoi studenti 
Scuola

Il professore, un anziano colto ed esigente nella sua vasta competenza di latinista e umanista, aveva provato un giorno, spiegando Marziale, a fondare la distinzione tra conoscenza e sapienza citando il famoso detto del poeta «la mia pagina ha il sapore dell’umano».

«Sapienza e conoscenza sono cose molto diverse», disse il prof, che amava e conosceva anche la filosofia. E qui i ragazzi si misero a discutere, obiettare, contestare: «Dunque posso conoscere senza essere sapiente», disse il patito di computer. «Esattamente», confermò il prof che però non udì l’aggiunta di lui: «Chi se ne frega».

 

«Se si cerca lo scire senza il sàpere – cercò di spiegare il prof – non si cerca la verità ma solo il funzionamento delle cose». «Ma che vuol dire?», chiese ed esclamò stizzita una ragazza dall’aria sveglia, sempre seduta davanti a prendere appunti. «Vuol dire – replicò pazientemente il prof – che se ti chiedi o cerchi il funzionamento del Partenone, di una Pietà di Michelangelo o della Nona di Beethoven, non li capirai mai».

 

«Eh no, professore – interloquì uno dei due più bravi – proprio studiando a fondo quelle opere che lei ha citato posso capire il funzionamento delle società in cui sono state prodotte». Molti lo guardarono con ammirazione. «Ah, sì? – chiese ironicamente il prof – e come mai capolavori altissimi nascevano in mezzo al sangue di sicari, a furti, oppressioni, prostituzioni, massacri?». «Ma proprio perché – replicò il ragazzo – erano la sovrastruttura ideale della vera, reale società, il suo alibi».

«E ti basta il marxismo per spiegare la bellezza e l’orrore del mondo?», gli domandò a sua volta, pacatamente, l’insegnante. «A me sì», affermò orgogliosamente lo studente.

 

La classe si era sgranata, e c’era chi ammirava, chi pensava, chi si annoiava, chi si distraeva ridendo.
«E così – tornò alla carica il vecchio docente per nulla impressionato da tutte le interruzioni – abbiamo perso di vista il sàpere. Che significa, prima che “essere sapiente”, “avere sapore”. Capite?».

 

«Ho capito – si lanciò il più spiritoso della classe –; Ariosto, almeno oggi, fa più fortuna come preparato per arrosti che come poeta epico». Risata generale. «Non ti credere – lo rimbeccò quasi malinconicamente il professore –. Il cardinale Ippolito d’Este, suo mecenate e dedicatario dell’Orlando Furioso, gli chiese candidamente: “Messer Lodovico, dove le trovate tutte codeste coglionerie?”». Qui la risata fu epica e generale, con un surplus di stima anche per il prof.

 

«Dunque?», domandò infine la ragazza efficiente. «Dunque – le ribatté lui – siamo ancora a zero con sàpere». «Ma noi diciamo: sapere questo, quello, non diciamo mai scire». «E come no? – le spiattellò il docente –; scienza, scientifico, conoscenza, incoscienza, scibile…». E poiché tutti tacevano aggiunse: «Tu puoi sapere (scire) perfettamente come funziona il tuo televisore o il tuo iPad, e non trovarci un buon motivo per vivere». E poiché quello alzava la mano per protestare aggiunse: «Puoi usare e farti usare da tutto e tutti e non sapere perché lo fai».

 

Qui protestarono un po’ tutti sentendosi offesi nella loro libertà e dignità. «Prof, che cos’è la sapienza? – si decise a chiedere una ragazza che era rimasta assorta, aveva sorriso invece di ridere e ora si sentiva provocata –. Lei dice che serve per raggiungere la verità, ma per me la verità non esiste, ne esistono tante e nessuna».

 

«Se io per un tuo compito in cui meriti chiaramente otto ti do due, tu cosa dici?». «Figlio di…», le suggerì il marxista. «Ma questo riguarda la giustizia, il bene, se vogliamo, e non la verità», disse lei. «E chi te lo dice? Quello che hai scritto è vero, perché traduce giustamente il testo, dunque la tua azione è stata anche bella, ma il voto come potrebbe essere vero? Altrimenti la prossima volta ti metto due, e se tu protesti ti rispondo che ciascuno ha la sua verità, che la giustizia è ciò che faccio io». Tutti tacevano.

 

«Dunque – ricapitolò lo studente molto politico –, per lei scollegare il vero dal bene e dal bello significa perdere la memoria?». «Bravo, quella culturale. Perché studiamo Marziale e non Dylan Dog? Perché Marziale è universale nello spazio e nel tempo, Dylan Dog no». «Non mi deluda, professore, lo sto leggendo sotto il banco», intervenne l’atleta, gli altri risero. «Sapere – disse ancora il prof – può non salvarci dalla disperazione, avere una briciola di sapienza, sì».

 

«Ma la vita ha sapore?», chiese seria la ragazza seria. «Dipende da te e da me», le rispose il professore e lei non lo dimenticò. Dieci anni dopo – il professore era morto – proprio il bel ragazzo atletico, forse ricordando quella lezione, non uccise la moglie che lo tradiva con il suo migliore amico.

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