Rosatellum, come funziona la legge elettorale?

Sciolte le Camere e convocati i comizi, l’argomento del giorno ruota attorno alle attività di partiti e partitini per comporre liste e definire accordi. Bombardati da notizie confuse e non di rado contraddittorie, per rimanere protagonisti della composizione del prossimo Parlamento, è necessario fermarsi per conoscere, almeno nelle grandi linee, la legge elettorale. E non basta limitarsi all’espressione del voto: occorre “capirla” la scheda elettorale, per utilizzare l’agognata X con cognizione di causa
Elezioni Foto Fabio Sasso/LaPresse

Come funziona il Rosatellum? L’informazione basilare da tenere sempre a mente è che il nostro sistema elettorale è un sistema misto: per un terzo maggioritario e per due terzi proporzionale; poiché, si ricorderà, il numero dei parlamentari è stato sensibilmente ridotto, eleggeremo 147 deputati e 74 senatori in collegi uninominali; 245 deputati e 122 senatori in liste proporzionali; inoltre, 8 deputati e 4 senatori saranno eletti nei collegi esteri (il totale fa 400 deputati e 200 senatori).

Per quanto riguarda il collegio uninominale, dobbiamo immaginare una porzione di territorio (in genere molto vasta, specie per il senato) in cui verranno eletti un solo deputato e un solo senatore, secondo la regola inglese del first-past-the-post, vince chi prende un voto in più.

Nei collegi plurinominali invece ci sono le liste, nelle quali ritroveremo i simboli dei partiti: quelli noti, magari un po’ rivisitati, e le new entry; ogni lista è accompagnata da un breve elenco di candidati, che verranno eletti nell’ordine in cui sono scritti: se la lista conquista un seggio entra il primo nominativo, se ne conquista due entrano i primi due e così via (e questo vuol dire che le liste sono bloccate, cioè l’elettore non può esprimere la preferenza). Ogni lista poi è collegata a un candidato nel collegio uninominale e il voto non può essere disgiunto: votando un simbolo, si vota automaticamente il candidato all’uninominale.

Tutti questi elementi messi assieme fanno sì che i partiti siano spinti a raggrupparsi per convogliare più voti possibile sullo stesso candidato del collegio uninominale e cercare di fargli avere il voto in più per vincere il seggio. Questa è la ragione per cui in questi giorni partiti, liste e leader vari sono impegnati in trattative per definire le coalizioni. Sinora Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia formano il nucleo forte del centrodestra, del quale pure fanno parte piccole formazioni centriste.

Anche intorno al Partito Democratico si sta componendo un raggruppamento, che dopo l’accordo con Azione e +Europa cerca un nuovo equilibrio che possa includere tanto le espressioni dei verdi e della sinistra quanto la nuova formazione di Luigi Di Maio.  Ma per capire quali liste saranno davvero presenti sulla scheda elettorale, sia nelle coalizioni che da sole, è necessario aspettare la formalizzazione, per due ragioni.

La prima: per presentare le liste è necessario un numero di firme molto elevato che può essere raccolto solo dopo aver definito candidati e coalizioni (non si può avviare prima), né al momento è possibile la firma digitale che agevolerebbe molto l’incombenza. Sono esonerati dalla raccolta delle firme le liste espressione di gruppi parlamentari formati all’inizio della legislatura: in sostanza possono evitare le firme quelle formazioni che già si sono sottoposte almeno una volta al voto. Questa è la ragione per cui anche stavolta Bruno Tabacci, titolare del simbolo Centro democratico, si è guadagnato l’onore della cronaca per dare l’opportunità di gareggiare a Impegno civico di Luigi Di Maio, così come nel 2018 l’aveva concesso a +Europa, appena costituitasi.

Tutte le altre formazioni nuove, inclusa Italia Viva, devono ottemperare alla raccolta e questa è la ragione per cui sentiamo appelli di varia natura o per ottenere dal Governo la firma digitale (questione complicata da una preclusione posta dal Garante della privacy) o per esigere dal presidente Mattarella (che nulla può, a riguardo) che faccia qualcosa.

La seconda ragione che rende complicata la presentazione alle formazioni minori è la soglia di sbarramento. La legge elettorale ne prevede più di una, ma principalmente interessa quella minima che deve essere superata per partecipare al riparto dei seggi, che è del 3 %, sia se si corre da soli che in coalizione, ma la soglia funziona diversamente nei due casi.

Se una lista piccola fa parte di una coalizione e prende, ad es., il 2,99 per cento, non otterrà seggi nel riparto proporzionale, ma i voti saranno distribuito proporzionalmente tra le liste della coalizione, quindi non andranno persi; inoltre qualche rappresentante di quella lista entrerà in parlamento attraverso i collegi uninominali: questo è quello che accadde a +Europa nel 2018. Se una lista piccola corre da sola, invece, se rimane al di sotto del 3 per cento i voti andranno persi e non avrà alcun rappresentante. Ovviamente la soglia deve essere raggiunta in ciascuna Camera, per avere la rappresentanza di deputati e/o senatori.

Una piccola formazione è pertanto incentivata a coalizzarsi con una grande, perché in tal modo può conquistare qualche seggio nei collegi uninominali. Da questo meccanismo deriva anche un altro concetto di cui si sente parlare in questi giorni: “diritto di tribuna”. Di per sé, il diritto di tribuna è quel meccanismo di sostanziale deroga alle soglie di sbarramento che una legge elettorale può prevedere a tutela della rappresentanza delle minoranze. Il “Rosatellum” però non prevede il diritto di tribuna. L’espressione quindi viene usata impropriamente per i casi di accordo tra liste dove la piccola raggranella qualche seggio e la grande raggranella qualche voto.

Guardiamo ora un fac-simile di scheda elettorale:

Schda elettorale

Ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 10 sono raffigurati i casi di liste che corrono da sole: vi è un solo simbolo; i nominativi a fianco del simbolo costituiscono i candidati al riparto proporzionale (lista bloccata); il rettangolo che sovrasta simbolo e lista contiene il nome del candidato al collegio uninominale.

I numeri 6, 7, 8, e 9 e 11, 12, 13 e 14 costituiscono due blocchi di liste coalizzate, ognuna composta da 4 simboli di lista affiancato dall’elenco dei candidati al proporzionale; il rettangolo in alto, del candidato al collegio uninominale, esprime un solo nominativo per tutte le liste. Tra tutti i candidati all’uninominale, uno solo prenderà il seggio, quindi si capisce che i raggruppamenti hanno più possibilità di conquistare il seggio, perché tutti i voti delle liste si trasferiscono automaticamente al candidato dell’uninominale.

Il voto infatti si può esprimere in due modi. 1) ci è decisi a votare una lista: si mette la X sul simbolo e con questo voto se ne danno due, alla lista e al candidato collegato (anche se è espressione di un’altra lista collegata e anche se non lo sceglieremmo); 2) ci piace il candidato all’uninominale: si può barrare il suo nominativo senza fare altro; in questo caso il voto va anche alla lista se è unica o, se sono più liste, viene ripartito pro-quota tra tutte.

Non si può scegliere una lista e insieme un candidato all’uninominale non collegato a quella lista: due X disgiunte non sono consentite e rendono nullo il voto.

Questa rigidezza del sistema, oltre a comprimere la scelta dell’elettore, impedisce accordi di desistenza tra liste: altra espressione che si è sentita circolare, perché se la desistenza fosse stata possibile, i collegi uninominali sarebbero stati più contendibili. Ma ci si deve rassegnare al “prendere-o-lasciare”, a tutti i livelli.

 

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