Roma guarda a oriente

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Èun lungo racconto visivo il percorso che lega centro storico e periferie, musei, gallerie, librerie e altre sedi espositive nell’imponente rassegna del quarto Festival internazionale della fotografia (prodotto da Zone Attive e Comune, con la direzione artistica di Marco Delogu) che quest’anno punta lo sguardo ad Oriente. Col titolo Oriented, il festival va alla ricerca di un’interpretazione non solo di luoghi geografici ma della contemporaneità, per orientarsi nella storia e nel presente e tradurre, attraverso la fotografia, gli eventi in testimonianza, la documentazione in arte, la cronaca in memoria collettiva. Perché il lavoro del fotoreporter può avere un profondo impatto sulla nostra società, soprattutto per come dà forma al nostro modo di percepire la realtà. Molto di più che raccontare quanto accade, il fotoreporter con il suo senso estetico e la sua abilità crea immagini che vanno ben oltre l’istante dello scatto, toccando il cuore e la mente con foto che possono diventare vere icone senza tempo. Come lo diventerà la foto vincitrice del World Press Photo 2005 di Arko Datta che ritrae la disperazione di una donna indiana per terra con le braccia aperte che piange la morte di un parente causata dallo tsunami. Insieme a questo momento rivivremo gli altri eventi cruciali del nostro tempo con le foto premiate dal prestigioso premio. (Al Museo in Trastevere, dal 6 al 29/5). Dell’India ci dà un ritratto emozionante in bianco e nero il più grande interprete del continente asiatico, Raghu Rai, con In viaggio dal 1970 al 2005. Le foto che ho scattato in questi anni sono una sorta di risposta istintiva agli stimoli che ricevo dalla mia terra – dichiara l’artista -, una società complessa, multiculturale e multistratificata . (Ai Musei Capitolini fino al 15/5). Ad Anders Petersen è stato commissionato quest’anno – com’è tradizione del festival – un lavoro su Roma della quale egli indaga, prescindendo dai segni della storia, le molteplici identità metropolitane. Attraverso la presenza dell’elemento umano, delle sue relazioni, degli oggetti nei quali manifesta la propria personalità, il fotografo svedese svela un altro volto reale della capitale. Sono interni familiari nella Russia d’oggi quelli ripresi da Vladimir Mishukov che racconta affetti, tensioni, relazioni quotidiane di un paese affascinante e dalle grandi contraddizioni. (Il culto della famiglia. Russia 2003-2005. Al Museo in Trastevere, fino al 29/5). Un approccio alla realtà giapponese ci è dato dalle 150 foto di cinque autori che, con uno sguardo rivolto al passato, dicono il presente. Le architetture affondate nel bianco e nero di Sugimoto; le dighe e le protezioni create dall’uomo nel tentativo di controllare la natura di Shibata; i paesaggi naturali e quelli urbani senza inizio né fine di Matsue, i cieli sopra Tokio di Araki; i suoi fiori e i suoi elegantissimi ritratti, i notturni metropolitani di Imai. (The ancien Sound of the image, fino al 29/5 al Palazzo Fontana di Trevi). Nella congestione di una metropoli come Tokyo Jeremy Stigter, olandese trapiantato in Francia, ci mostra coi suoi ritratti un’insolita quiete. (Hitobito, gente comune, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, fino al 29/5). Lontano dall’idea di news e per un giornalismo di approfondimento, è il lavoro di Paolo Woods, tra i primi fotografi ad entrare nell’Afghanistan ancora dominato dai talebani nel 2000, e lì tornato più volte. Come pure in Iraq, negli ultimi due anni, per raccontare il dopoguerra. (Caos Americano, Museo in Trastevere, fino al 29/5). Il momento della scelta caratterizza la mostra di Gabriele Basilico che ha immaginato di ricostruire le pareti del suo laboratorio al momento della selezione delle foto scattate a Beirut, per un progetto insieme alla scrittrice libanese Dominique Edde, che aveva lo scopo di documentare l’area centrale della città straziata dalla lunga guerra. (Laboratorio Beirut. Atelier del Bosco di Villa Medici, fino al 22/5). La selezione di 40 fotografie di Franco Zecchin, frutto di un lavoro durato dieci anni, mette in luce la cultura di apertura, di movimento, di libertà in rapporto con la natura, espressa dai nomadi della Mongolia. (Cavalieri della Mongolia. Ala Mazzoniana – Stazione Termini, fino al 29/5). La complessità dell’universo creativo in Israele ci viene da un ampio sguardo sulla contemporaneità con opere di undici giovani autori, attivi sia nel paese che all’estero. (Fotografia contemporanea israeliana. Museo Andersen, fino al 19/6). Giovanissimi sono anche i fotografi non professionisti coinvolti nell’interessante progetto del Glocal Forum. Disponendo di macchine fotografiche usa e getta, hanno raccontato col loro differente sguardo la vita quotidiana di alcune luoghi dei Balcani, città simili ma rese distanti dalla guerra. (L’esperienza e l’innocenza. Giovani fotografi da Belgrado, Pristina, Sarajevo e Zagabria. Facoltà Architettura Valle Giulia, dal 12/5 al 5/6). Ci fermiamo qui. Anche se queste sono solo alcune delle mostre del Festival (l’intero programma lo si può trovare sul sito www.fotografiafestival. it) che conferma Roma città aperta al mondo, grande protagonista della contemporaneità.

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