Risorgo dalle mie ceneri

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Sempre più bella risorgo dalle mie ceneri, è il motto di Catania. Nove volte distrutta da terremoti o dalla lava dell’Etna, sempre pazientemente ricostruita nell’identico posto: tra il vulcano, la pianura e il mare. Viene da chiedersi se non sia giunto il momento di riaprire il cantiere di questa bella e singolare città. Poco più di trecentomila abitanti, ultima per vivibilità tra le città italiane, alla ribalta delle cronache dopo i fatti del 2 febbraio: l’uccisione di Filippo Raciti, l’ispettore di polizia che cercava di tenere a bada un gruppo di tifosi ultrà alle soglie dello stadio durante il derby Catania-Palermo. Negli stessi giorni la patrona, sant’Agata, attendeva il consueto bagno di folla: e lo ha avuto. Stavolta con una folla in preghiera, senza fuochi d’artificio, bande musicali, luminarie, e altre sfilate di circostanza. Passano i giorni, ma il pensiero continua ad andare a quel poliziotto, alla sua famiglia, ai ragazzi violenti che hanno trasformato in tragedia la loro stessa vita. Da dove spuntano quei ragazzi? Una certa dose di trasgressione, di violenza giovanile, è fisiologica in ogni città. – chiarisce Angelo Busacca, sostituto procuratore presso il Tribunale per i minori di Catania -. Il tipo di reato dipende anche dalla realtà sociale di provenienza: lo spaccio di stupefacenti è tipico dei ragazzi dei quartieri disagiati, ma se parliamo di danneggiamento e di teppismo nelle scuole, allora si tratta di figli di professionisti. In ogni caso vale l’espressione di don Fortunato Di Noto: tanti ragazzi oggi sono figli orfani di genitori viventi. Provengono da nuclei disgregati, lasciati a sé stessi, senza rapporto significativo con la famiglia. Di notte stanno nei quartieri dormitorio, di giorno in centro, presso nonni o parenti, perché in periferia non c’è niente. La nostra città soffre del disagio tipico della sottocultura e della criminalità che conosciamo da tempo – spiega Maria Randazzo, dal 1992 direttrice dell’Ipm (Istituto penale per minori) di Catania -. Ma poi c’è l’arrivo dei ragazzi del 2 febbraio. Diversi, senza problemi abituali con la giustizia, frequentano la scuola, provengono da quartieri non a rischio e da famiglie normocostituite, come si dice. Gli insegnanti delle scuole cittadine però denunciano da tempo il disagio giovanile: i ragazzi non ascoltano, non comprendono il senso dell’autorità, sono convinti di potere fare tutto e subito. Angelo Busacca specifica: Sono abituati a non avere alcun esempio ed alcun tipo di remunerazione. Se ciascuno di noi può trovare una gratificazione di tipo psicologico nel proprio lavoro, nella famiglia, in un hobby, loro tutto questo non ce l’hanno. Se ci mettiamo a Librino con una telecamera e passa un ragazzo sul motorino, lui d’istinto fa l’impennata. Quello è il suo mo- mento di gloria, durerà due secondi, ma è gloria. Domenico Calabrò, libero professionista, appassionato del calcio Catania, ha uno sguardo efficace sugli ultrà in curva: Preparano coreografie bellissime che danno aria di festa e di spettacolo. Ma è evidente che la tifoseria ultrà ha fatto del calcio la sua unica ragione di vita: urlano, organizzano cori e … non si accorgono nemmeno di un gol. Cambieranno? No. La curva è il loro palcoscenico: è un modo per dire esisto anche io. È triste, perché evidentemente non hanno nient’altro di bello e di importante nella loro vita. Questo mi interpella profondamente, mi spinge a dire, anche in trasmissioni delle tv locali, che ci sono cose che contano di più. È il mio contributo per una nuova cultura dello sport, ma prima ancora della vita. E Maria Randazzo ammette: Il problema dei ragazzi ci è sfuggito di mano: sono gli adulti a doversi mettere in discussione: all’interno delle famiglie ci sono molti punti deboli e l’assenza dei genitori ha reso i figli pieni di impegni ma poveri di contenuti. Come adulti difficilmente riusciamo ad essere autorevoli. Chiediamoci il perché, guardiamo i modelli che diamo: una società in cui tutto si deve vedere ed essere pubblico. Perché ci scandalizziamo dunque del filmino su internet? Alcuni genitori ci dicono: Mio figlio non può avere fatto questo, è un bambino!. In realtà hanno conservato l’immagine del figlio a 8 anni. Ora ne ha 15, 16 e non sanno cosa pensa, cosa vive. La loro immagine del figlio è rimasta legata ad un passato che non c’è più. Ma perché i ragazzi si esprimono con tanta violenza? È semplice: è la presa d’atto che non ci sono forme di punizione – spiega ancora Angelo Busacca -. I ragazzi dormono sino a tardi, le madri non hanno il coraggio di svegliarli e non vengono neanche in udienza per il loro processo. Non sono nati violenti, ma magari in una famiglia senza dialogo: i ragazzi di 15 anni, qui in Procura, davanti a noi, dicono ai genitori di non parlare, di non intromettersi. A Catania puoi fare quello che vuoi, senza punizione: puoi girare senza casco, senza cinture di sicurezza e nessuno ti fermerà mai, allo stadio non ci sono controlli. Alcuni quartieri sono repubbliche a sé: i negozi chiudono anche a notte fonda, i semafori sono superflui, gli ambulanti si piazzano davanti ai monumenti per l’intera giornata e mi chiedo con chi stiano nel frattempo i loro figli. Questa realtà di impunibilità lentamente, gradualmente, si introita. E poi ci meravigliamo della violenza? Per molti ragazzi lo stato non esiste e tanti di loro non hanno alcun tipo di interessi, di ideali, di cose a cui dedicarsi, nulla. Le prime a scontrarsi con la violenza sono le forze dell’ordine, che tuttavia in questa circostanza non si sono fatte prendere da sentimenti di odio o di vendetta: la camera ardente allestita per Raciti nel suo reparto, ha voluto indicare la volontà della Polizia di rimanere aperta alla città, la disponibilità ad essere comunque al servizio dei cittadini. Busacca in questi anni ha conosciuto tantissimi ragazzi: Se guardo alla massa, al territorio, non ho speranza. Ma se guardo a questi ragazzi uno per uno, allora si, ho speranza. Possono farcela. Applichiamo con buoni risultati l’istituto della sospensione del processo e della messa in prova previsti dalla procedura penale per i minori: tre anni di impegno diretto, con una responsabilità, anche in piccole cose, cinque cuccioli da allevare o un cavallo da accudire. Il reato è estinto, i ragazzi crescono, cambiano vita, diventano altre persone. A volte qualcuno mi chiede: Non mi riconosce?. E intanto mi serve il caffè nel bar in cui ha finalmente trovato lavoro. Anni prima aveva accettato la messa in prova. Ho molta speranza nei giovani. I ragazzi sono meravigliosi – specifica a sua volta Maria Randazzo -, sono ricchi, ricchi di speranza, positivi, anche i nostri dell’Ipm, che pur con le loro difficoltà hanno il desiderio e la speranza di cambiare il mondo e la loro situazione. Magari pensano di farlo attraverso una rapina, che è il loro modo di tradurre il desiderio di cambiare una condizione di vita. E noi qui facciamo il grosso lavoro necessario per accompagnare il ragazzo a prendere coscienza della gravità dei gesti che compie, aiutandolo a non ridimensionare, a non legittimare, a non giustificare ciò che ha fatto, qualunque sia il reato commesso. Tanti ce la fanno. Riprendono a studiare, arrivano anche al diploma superiore e con risultati migliori di chi è fuori. Tra le proposte di valore emerse in questi giorni a Catania, vi sono dibattiti nelle scuole, inchieste giornalistiche, attività di sensibilizzazione. Sta per prendere il via un progetto di educazione alla pace attraverso il gioco e lo sport promosso da Sportmeet, rete internazionale di sport e solidarietà, che ha anche proposto, al Centro sportivo universitario e al preside del corso di laurea in scienze motorie, l’elaborazione di tesi su sport e solidarietà.Un gruppo di lavoro tra docenti di scuole diverse si incontra regolarmente: Ci siamo riproposti di trasformare la scuola in un laboratorio di fraternità, di avere un’attenzione e un amore preferenziali per gli alunni insopportabili, i più ignoranti, i più emarginati, nella certezza che è questa la leva che solleverà i nostri ambienti – riferisce Maria Santa Giacchi -. E di usare ogni strumento: dai percorsi pedagogici alle iniziative del progetto Fraternità e pace per l’unità dei popoli. Le esperienze positive lasciano un marchio nei nostri alunni. Ritorna alla mente, indimenticabile, l’appello di Giovanni Paolo II inciso nel marmo in Piazza Duomo: Alzati, Catania, rivestiti di luce e di giustizia.

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