Rischio sismico e previsioni

In Turchia, dopo il terremoto migliaia di morti e centinaia le città colpite. Dichiarato lo stato d’emergenza per tre mesi. L’uomo imparerà mai qualcosa da tali catastrofi? Parola al geologo Fabio Tortorici
terremoto turchia e siria
Un cittadino siriano cerca tra le macerie di un edificio crollato, nella città di Azmarin, nella provincia di Idlib, nel nord della Siria, lunedì 6 febbraio 2023. (AP Photo/Ghaith Alsayed)

Aggressivissimo, con magnitudo 7.8 e 7.5, il terremoto che ha colpito il sud est della Turchia e la Siria, con oltre 7 mila morti. «Uno dei più grandi disastri della storia mondiale» ha pronunciato il presidente turco Erdogan.

E nel frattempo si spera di estrarre quante più persone dalle macerie da migliaia di abitazioni crollate (8 mila sono le persone già salvate) mentre si cerca di allestire  tende e letti per gli sfollati (lo stato d’emergenza resterà, almeno, per tre mesi): in tanti si chiedono come sia stato possibile non prevedere un terremoto di simile portata.

Ma, a ben rifletterci, non è tanto e solo la natura da prevedere o, peggio, condannare, quanto sempre l’uomo impreparato a gestire simili catastrofi, con le sue imprudenti costruzioni non adeguate. Ne abbiamo discusso col geologo Fabio Tortorici, del Consiglio Nazionale dei Geologici d’Italia.

Siamo in presenza del terremoto più nefasto nella Storia?
Il terremoto che ha flagellato il settore sud-orientale della Turchia ha sprigionato una energia assimilabile a quella del sisma della Val di Noto, che nel 1693 ha portato distruzione e vittime (oltre 60.000) in tutta la Sicilia, in modo particolare nelle province di Siracusa, Ragusa e Catania, con un conseguente maremoto che interessò tutto il mare Ionio meridionale.

Tale terremoto, nella sua portata così aggressiva, era stato previsto?
È opportuno ricordare che i terremoti non sono prevedibili, ma grazie allo studio della sismicità storica e delle indagini geologiche, si conoscono bene le sorgenti sismogenetiche, cioè le zone riconosciute come origine dei terremoti. In Europa, la Turchia insieme ad Italia e Grecia, rappresentava e rappresenta una delle nazioni a maggior rischio sismico. Pertanto, il recente evento non ha sorpreso la comunità geologico-scientifica.

L’Italia potrebbe avere delle ripercussioni?
L’appennino italiano per la sua prossimità tra due placche tettoniche, quella africana e quella eurasiatica, resta sì ad un alto rischio sismico. È una situazione nota da tempo. E proprio per questo occorrerebbe una realistica riclassificazione sismica del territorio nazionale, fondamentale per una corretta pianificazione urbanistica, per la difesa delle infrastrutture e per l’individuazione delle aree maggiormente suscettibili ai movimenti tellurici. Va da sé che, ad oggi, la prevalente presenza di fabbricati realizzati in assenza di norme antisismiche, o con criteri tecnici ormai superati, continua a rendere il nostro costruito vulnerabile e impreparato ad eventi nefasti come quelli accaduti in Turchia.

La storia, quindi, si ripete, e nulla cambia…
La storia, tristemente, si ripete. Oggi è toccato alla Turchia offrire agli studiosi importanti informazioni sulla interazione suolo-struttura, sulla risposta dei fabbricati alle sollecitazioni sismiche, funzione delle loro caratteristiche costruttive e soprattutto del tipo di materiale geologico su cui sono state realizzate.

Che auspicio nutrire?
L’auspicio rimane sempre lo stesso, far tesoro della distruzione e delle vittime di una dolorosa catastrofe, affinché ciò non ci riservi più rimorsi e rimpianti per il “non fatto” o per il “si sarebbe potuto fare”.

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