Il Ramadan al tempo del coronavirus

La più grande ricorrenza musulmana, il mese del digiuno e della preghiera, quest’anno si tinge dei colori inquietanti dell’epidemia da coronavirus. Un’ombra di tristezza plana sul Ramadan, senza però modificarne il significato.
Sanificazione di una moschea in Pakistan. A causa del coronavirus si prega in casa in molti Paesi, anche durante il Ramadan. Foto Ap

A causa della pandemia da coronavirus, dal Marocco all’Indonesia, passando per Algeria, Tunisia, Egitto, Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti (Eau), ma anche in Turchia, Iran e nei Paesi centroasiatici, le autorità hanno vietato l’accesso alle moschee e agli altri luoghi di culto, secondo modalità diverse da Paese a Paese, o posto limiti all’afflusso, come in Pakistan dove, nonostante quasi 10 mila contagiati, le moschee sono rimaste aperte. Le prescrizioni sono state rispettate dalla stragrande maggioranza dei fedeli, che hanno aderito alle norme sanitarie e alle indicazioni delle autorità religiose. Singoli casi di trasgressione ci sono stati, ma non sono certo la normalità, come ovunque nel mondo, diversamente da quanto insinuano alcuni media occidentali a caccia di sensazionalismi.

In Cisgiordania e nei territori palestinesi, che vivono un momento particolarmente difficile, l’Autorità palestinese ha accettato la collaborazione medica con le autorità israeliane per contrastare l’epidemia da Covid-19. «Questo è il momento di mettere da parte le nostre differenze e lavorare insieme contro la pandemia, che non distingue tra un ebreo e un arabo», ha dichiarato già a marzo scorso un funzionario della sanità palestinese per vincere le comprensibili resistenze a questa collaborazione emerse in una parte della popolazione islamica della Cisgiordania e di Gaza.

In Kuwait, i muezzin hanno modificato un versetto del tradizionale appello alla preghiera che risuona cinque volte al giorno dai minareti. Invece di recitare-cantare l’hayya alas-salah (affrettatevi alla preghiera), proclamano in questi giorni: «Fate la preghiera a casa».

Imam of Eyup Sultan Mosque, Hasan Tok holdd a prayer for coronavirus in Istanbul, Friday, April 3, 2020. After the fifth and final call to prayer of the day in Muslim Turkey, imams around the country have been asked to perform an additional prayer asking for God’s mercy and protection during the novel coronavirus pandemic.  Calls echoed across the city of Istanbul, Turkey’s largest, thousands of people have been infected with the virus and where hundreds have already died. (AP Photo/Emrah Gurel)
L’Imam della Moschea Eyup Sultan, Hasan Tok Holdd  (AP Photo/Emrah Gurel)

Quello che non era mai successo a memoria d’uomo nel mondo islamico, e che si sta invece verificando in questi giorni, è un mese di Ramadan che inizia nel pieno di un’epidemia planetaria. Il Ramadan è il mese che per tutti i musulmani, senza distinzioni, celebra l’origine della rivelazione coranica ed è il mese in cui i fedeli digiunano dal sorgere del sole fino al tramonto. Il digiuno del Ramadan risale direttamente al profeta Muhammad (570-632) ed è uno dei “cinque pilastri” dell’Islam che costituiscono l’identità dei circa 1,8 miliardi di musulmani che vivono nel mondo. Il mese sacro è naturalmente segnato da riti e tradizioni sociali e culturali amatissime dai musulmani di ogni latitudine, con differenze da luogo a luogo, ma comuni a tutti.

Particolarmente importante, per esempio, è la preghiera speciale (tarawih) del mese di Ramadan, recitata di solito subito dopo la preghiera della sera nelle moschee o in casa, alla quale segue l’iftar, la cena che spezza il digiuno. È una cena di festa con la famiglia, alla quale si invitano vicini e amici. Una cena attesa e partecipata, con piatti tipici e dolci speciali. Ma in questo mese di Ramadan 1441 (l’anno in corso secondo il calendario islamico), che inizia la sera di giovedì 23 aprile, non sarà possibile né la tarawih in moschea né l’iftar con parenti e vicini. Per fare un’analogia è come se in Italia si cancellasse il pranzo di Natale o il rito collettivo dell’attesa del nuovo anno nei luoghi pubblici. E questa analogia aiuta forse i non musulmani a capire la tristezza che viene a tanti pensando che non si potrà festeggiare degnamente neppure Id al-Fitr, la grande festa che segna la fine del digiuno, e che quest’anno inizierà la sera del 23 maggio.

Nel mese di Ramadan, inoltre, assume una rilevanza spiritualmente forte la Notte del Destino (Laylat al-Qadr), il 20 maggio, che, secondo la tradizione sunnita ricorda la notte in cui iniziò la rivelazione del Corano, e per gli sciiti la discesa della scienza sull’imam. È una notte benedetta in cui i credenti sono invitati a pregare, a recitare il Corano e a chiedere sinceramente perdono per i peccati commessi.

Da tutte le parti, le autorità islamiche sottolineano comunque l’obbligatorietà del digiuno di Ramadan, ma tenendo conto della pandemia molti hanno ragionevolmente ricordato che la shari’a islamica prevede comunque attenuazioni ed eccezioni. Tradizionalmente, chi non è tenuto a digiunare, come malati e anziani, deve pregare e compiere ogni giorno un atto di carità verso i poveri. Molti genitori fanno osservare ai figli più piccoli un digiuno di mezza giornata.

Il leader iraniano Ali Khamenei, rispondendo in questi giorni ad una domanda sul comportamento da tenere durante il mese di Ramadan in tempi di coronavirus, ha detto: «Non è lecito astenersi dal digiuno durante il mese sacro di Ramadan a meno che non si abbia il razionale sospetto che il digiuno possa causare malattie, aggravare una malattia o prolungare il periodo della malattia e posporre il recupero».

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