Quella sera al Casinò

Ho accettato con piacere l’invito a cena con Pietro, un collega con il quale ho lavorato per un anno. A giorni partirà per un altro ufficio ed abbiamo molte cose da dirci, dato che i momenti di pausa non permettono di andare molto in profondità. Ci dirigiamo verso Campione d’Italia, arroccata sulla montagna; lo scintillio del vicino Casinò che si rispecchia nel lago Ceresio conferisce decoro a questa bella cittadina, ma allo stesso tempo fa pensare ai tanti che lì cercano fortuna, e trovano invece disperazione… Finita la cena ci resta ancora un po’ di tempo; a questo punto il mio amico mi propone di fare una visita al Casinò. Sono titubante, non è che mi attiri con quel lusso ostentato, anzi suscita in me un senso di tristezza. Ma perché, almeno una volta, non curiosare un po’ in un ambiente del genere? Certo non tutti possono accedere alle sale da gioco, riservate a coloro che indossano giacca e cravatta; ripieghiamo quindi nel locale delle slot machine. Entro, mi guardo attorno, e già provo un senso di forte disagio. Non è facile muoversi in quel mare di persone quasi ipnotizzate ciascuna dalla propria macchina che divora una dopo l’altra monetine da due franchi. È un impatto con il consumismo puro. Mi riprendo, mentre Pietro mi guarda meravigliato: non si aspettava questa mia reazione. Adocchiamo una slot libera e giochiamo qualche spicciolo. Ovviamente perdiamo, ma ci ridiamo sopra… Vicino a noi un signore ci sente ed è stupito da tanta ilarità nonostante la perdita. Spieghiamo che per noi non cambia nulla e che di certo sarà l’ultima volta che entriamo in un luogo simile. L’uomo si presenta come Tony e comincia a parlare, dando sfogo ai suoi pensieri. Chiacchieriamo per una mezz’oretta, mentre lui continua ad alimentare la macchina mangia-moneta, senza guardarci. Mille le motivazioni che l’hanno spinto a giocare, ma nemmeno una giustifica la sua dipendenza. Sono circa cinque anni che frequenta il locale, non ha famiglia, sta per perdere il lavoro e quella sera metà stipendio è già stato inghiottito… Non è facile ascoltarlo mentre continua a giocare, ma io mi sento spinta ad andare oltre quell’ostacolo. Sta raccontando troppe cose personali e provo per lui una profonda pena. Uno sguardo d’intesa con il mio collega e…: “Senta, non vuole venire con noi a bere un caffè?”. Accetta. “Il gioco lo continuerò dopo”. Ci sediamo e ben presto… la sala da gioco si cancella dalla memoria di Tony: infatti come un libro aperto parla, parla, racconta tutto di sé: per due ore, senza interruzione. Emerge una situazione tragica, una vita passata a soffrire, situazioni che l’hanno reso dipendente al gioco. Non posso fare nulla per lui se non ascoltarlo e fargli capire che non è solo, che noi gli stiamo offrendo la nostra amicizia. Gli assicuro che lui è importante, è una persona con una sua dignità che va rispettata. Dio ci ama, aggiungo, ci perdona e ci dà la possibilità di ricominciare sempre. Queste parole lo colpiscono, piange senza freno, si vergogna; poi con una luce nuova negli occhi ci tende la mano: “Vi prometto che m’impegnerò con tutto me stesso a non giocare più”, afferma con forza. Lo vediamo partire sereno; anche noi saliamo in macchina per rincasare. Durante il tragitto, Pietro ed io ripensiamo in silenzio, col cuore leggero, all’uomo del Casinò: un fratello a noi sconosciuto che una pesante catena stava soffocando. Chi avrebbe mai pensato che anche in un posto simile qualcuno avrebbe captato l’annuncio di Dio amore? Poco dopo riceviamo una telefonata di Tony: “Se ho accettato di venire a prendere un caffé con voi è perché lì, in quella sala da gioco, qualcuno ha dimostrato di avere ancora un cuore. Grazie, amici, questa sera mi avete dato il “la” per ricominciare !”. Con Tony abbiamo mantenuto i contatti. Ora ha un nuovo lavoro, cura il suo aspetto, ma soprattutto ha ritrovato la gioia di vivere e la voglia di donarsi agli altri.

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