Quella catena musulmana attorno alla sinagoga

A Oslo, in Norvegia, in segno di condivisione con quanto avvenuto alla sinagoga di Copenaghen(con due morti e cinque feriti), si è formato spontaneamente, grazie ad un invito partito sui social media, un cordone a difesa della sinagoga dove gli ebrei concludevano la celebrazione dello Shabbat
Oslo

E’ una di quelle notizie che non fa notizia, anche se molte agenzie di stampa l’hanno battuta, soprattutto nel Regno Unito., ma anche in Italia, sebbene non con la rilevanza che avrebbe meritato.

In effetti, non capita di sentire di questi tempi troppe notizie positive sui fedeli dell’Islam. Sembra che per i media Islam sia sinonimo di violenza, crudeltà ed aberrazioni. Eppure ho sentito personalmente storie di musulmani che hanno salvato cristiani in Iraq, durante l’attacco alla Valle di Ninive da parte delle forze dell’Isis, musulmani e cristiani ed ebrei che, nonostante le tensioni in Terra Santa, continuano a convivere. Ma la notizia che ha meravigliato molti è quella che è rimbalzata da Oslo, capitale della Norvegia, Paese scandinavo toccato dalla tragedia di Copenaghen, dove il 15 febbraio Omar El-Hussein, ventiduenne danese di origine palestinese, ha sparato ad un convegno organizzato in ricordo della strage al giornale satirico francese Charlie Hebdo e ancora nei pressi della sinagoga con un bilancio di due morti e 5 feriti.

Sabato scorso nella capitale norvegese si è formato spontaneamente, grazie ad un invito partito sui social media, un cordone a difesa della sinagoga dove gli ebrei concludevano la celebrazione dello Shabbat. In effetti, la catena umana  si è formata quasi spontaneamente con ebrei e musulmani che si tenevano per mano a dar vita ad un anello di pace intorno alla sinagoga. I giovani musulmani che hanno dato vita all’inedita iniziativa hanno voluto dimostrare di “essere al fianco del popolo ebraico” e di volerlo proteggere. Atif Jamil, ventiseienne tra gli organizzatori della catena, ha dichiarato ad un giornalista: “Non vogliamo estremisti in Norvegia che pensano di poter fare quello che vogliono contro la gente comune”. “L’idea è quella di dire ai terroristi ed estremisti che se vogliono ferire i nostri fratelli e sorelle devono prima passare attraverso di noi. Vogliamo proteggerli”. L’invito, ha sottolineato Atif Jamil, è aperto anche ad altre confessioni di fede.

La sinagoga della capitale Norvegese era, già, salita alla ribalta della cronaca nel 2006 quando era stata oggetto di un attacco armato, da parte dell’islamista Arfan Bhatti, condannato per l’aggressione.

Le due comunità, quella musulmana e quella ebraica, in Norvegia sono molto diverse sia per storia passata e recente, che per dimensioni. Quella ebraica è una delle più piccole in Europa. Conta, infatti, solo un migliaio di persone. A fronte di questo piccolo gruppo, sta crescendo la presenza musulmana, arrivata ormai a quasi duecentomila persone. Il processo migratorio è oggetto di dibattito anche nel Paese scandinavo e la questione si è riscaldata dopo la tragedia provocata dall’estremista Anders Behring Breivik, che nel 2011 ha ucciso 77 persone per fermare l’immigrazione musulmana. Il risultato di quell’atto sconsiderato e tragico è stato un incremento nel sostegno dell’immigrazione nel Paese. Oggi circa il 77% dei norvegesi ritiene che gli immigrati costituiscono un importante contributo alla società.

Ovviamente da parte della comunità ebraica c’è stato un sentito apprezzamento e riconoscenza per la solidarietà espressa dai giovani musulmani. Ervin Kohn, direttore della comunità ebraica, ha accolto l’iniziativa come un forte segno di solidarietà, ma anche come un segnale per la società attraverso il quale i giovani musulmani hanno voluto far sapere chi sono per non lasciare ad altri la possibilità di etichettarli.

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