Quale politica di pace? Intervista a Raniero La Valle

Nel dibattito sempre più lacerante sulla guerra in Ucraina, che continua tragicamente a mietere vittime, si inserisce la proposta da parte di Michele Santoro e Raniero La Valle di un’assemblea pubblica a Roma per il 30 settembre che potrebbe portare ad un nuovo movimento politico. Domande a La Valle sulle ragioni di un percorso difficile che deve fare i conti con molte perplessità e obiezioni
Pace e Guerra (AP Photo/Lee Jin-man) Associated Press/LaPresse

Michele Santoro e Raniero La Valle hanno lanciato per il 30 settembre l’invito ad un’assemblea aperta che potrebbe aprire alla formazione di una lista elettorale, già per le prossime europee, con un programma incentrato sulla politica di pace. Il testo dell’appello comincia così: «Noi sottoscritti, amanti della pace e più ancora della vita, sgomenti per gli sviluppi incontrollati della guerra d’Ucraina e per l’istigazione da parte dei governi a perpetuarla ed estenderla, sentiamo l’urgenza di un impegno personale e intendiamo riunirci in una pubblica Assemblea il 30 Settembre prossimo a Roma per promuovere un’azione responsabile volta ad invertire il corso delle cose presenti, istituire la pace e ristabilire le condizioni di un sereno futuro».

La prospettiva di una lista è vista con indifferenza dal centrodestra e come fumo negli occhi tra i partiti di centro sinistra che, tuttavia, contano sull’insuccesso di una tale formazione politica, così come già avvenuto in casi simili.

Santoro è un volto noto della televisione che suscita simpatie e antipatie ma conosce come funziona il meccanismo dell’informazione. Ha dato vita ad una piattaforma sul web (Servizio pubblico) che collega, ad un costo contenuto, una comunità di utenti che raggiunge centinaia di migliaia di persone.

L’appello per il 30 settembre è però qualcosa di più esigente della formazione di una lista, perché vuole esprimere una visione politica complessiva, come spiega Raniero La Valle che è l’estensore del manifesto di convocazione dell’assemblea.

La Valle non ha numeri di seguaci da esibire ma è portatore di una cultura che si può definire del cattolicesimo di sinistra. Direttore de Il Popolo ai tempi di Moro e poi, negli anni del Concilio, dell’Avvenire d’Italia, vivace testata della Bologna del cardinal Lercaro poi confluita nell’Avvenire della Cei, ha lavorato con la Rai ed è stato per più legislature parlamentare della Sinistra indipendente.

A 92 anni ottimamente portati è una mente lucidissima, che continua a produrre numerosi testi di riflessione e approfondimento, presentati e discussi in tutta Italia. Appartiene alla generazione di grandi pensatori come Franco Rodano e Claudio Napoleoni o il padre camaldolese Benedetto Calati, suoi grandi amici ormai scomparsi.

Il dialogo con Raniero La Valle non può che essere incentrato sulla guerra in Ucraina, motivo di frattura nella società e nella politica italiana.

Iniziamo parlando dell’attualità di Thomas Merton, il trappista del Kentucky scomparso nel 1968 che papa Francesco ha indicato tra gli esempi da seguire quando è andato in visita negli Usa.

Merton affermava che l’essenza del cristiano si riconosce dal suo impegno per la pace, che non può perciò essere considerato, perciò, un sovrappiù. Non le pare, invece, che, a prescindere dai sondaggi, sia ormai prevalente una cultura che considera la guerra come ineluttabile?
Si può dire che esiste questa propensione alla guerra in generale che si fa strada per sciatteria culturale e carenza di risposte adeguate, ma ho molte perplessità, in particolare, sulla reale adesione della gente a questa guerra in Ucraina.

Non è vero proprio il contrario? Questo conflitto emerso con l’aggressione russa del 24 febbraio 2022 non è l’esempio più vicino alla guerra contro il nazismo che è la guerra giusta per definizione? Chi non usa il termine di guerra giusta usa quello di guerra comunque giustificata dalla necessaria opposizione all’autocrazia di Putin definito come novello Hitler.
Credo che questa rappresentazione, che fa leva sui nostri buoni sentimenti, sia un ricatto.  Sono emblematiche le dichiarazioni rilasciate alla CNN da Biden alla vigilia del suo viaggio al vertice della Nato di Vilnius dell’11 e 12 luglio 2023, con cui ha chiarito che per il momento l’Ucraina non può entrare nella NATO perché altrimenti, in forza dell’articolo 5 del trattato dell’Alleanza, saremmo tutti in guerra con la Russia. È, infatti, una costante della politica estera Usa è quella di evitare in ogni modo il conflitto diretto con i russi. Sempre Biden afferma che l’Ucraina entrerà nella Nato alla fine della guerra con Mosca, il che equivale a dire che la guerra non finirà mai perché l’obiettivo della Russia è proprio quello della neutralizzazione dell’Ucraina come primo punto di una soluzione negoziata. Tutto ciò è noto a Biden il quale assicura che non smetterà mai di fornire le armi a Kiev così come avviene, lo dice letteralmente nell’intervista, con Israele, in uno stato di conflitto permanente: per sempre. Non è quindi un modo di dire ma l’intenzione esplicita di fare dell’Ucraina una vittima sacrificale dello scontro tra Russia e Stati Uniti che non intendono in alcun modo scontrarsi direttamente.  Gli Usa puntano ad un lento sfiancamento di Mosca senza mettere in campo un loro soldato ma riempiendo di armi gli arsenali ucraini.

Cosa vuol dire che l’Ucraina è la vittima sacrificale della guerra?
Dire, come fa Biden, “noi non facciamo la guerra direttamente, ma vi diamo le armi per condurla ad oltranza” vuol dire mettere in atto un meccanismo sacrificale così come descritto da Renè Girard. Secondo il grande antropologo francese, nello stato di natura descritto da Hobbes del “tutti contro tutti” si arriva ad un momento di crisi che egli chiama mimetica, quando tutti vogliono accaparrarsi violentemente gli stessi beni, come avvenuto tragicamente nei secoli con le guerre civili e di religione.

Un modo per uscire fuori da questo meccanismo che conduce all’autodistruzione reciproca è quello di trasformare la lotta di tutti contro tutti nella lotta di tutti contro uno, che diventa così il capro espiatorio, la vittima sacrificale. Secondo l’ideologia sacrificale il sacrificio della vittima innocente diventa così il modo per ritrovare la pace. Una vittima salvifica che viene anche esaltata e celebrata. Ed è ciò che avviene con tutte le guerre con le masse di militari e civili mandati a morire. Hiroshima e Nagasaki rientrano in tale logica sacrificale.

Ed è questo il tranello da cui occorre liberarsi per dire che non è dal sacrificio della vittima che si ottiene la pace, che il sacrificio non è affatto “utile”, così come non è stato affatto il sacrificio delle due città giapponesi che ha fatto finire la guerra.

E tale riflessione cosa ci dice della situazione in Ucraina?
Che tutti i morti ucraini, il “martoriato popolo” di cui parla papa Francesco, non solo sono innocenti ma sono tragicamente “inutili” ma usati per giustificare ulteriori carneficine e violenze. Gli Usa non rischiano lo scontro diretto ma puntano a destabilizzare la Russia con la guerra combattuta dagli ucraini con le armi occidentali. Per questo motivo il nostro compito è quello di difendere l’Ucraina nel senso di riscattarla da questa condizione di vittima sacrificale anche contro i suoi dirigenti che non lo hanno capito. Gli Stati Uniti devono comprendere che non possono garantire la loro sicurezza con questo orrore.

Tra le armi fornite ci sono le bombe a grappolo e quelle all’uranio impoverito da usare non all’esterno ma all’interno dei contesi confini ucraini…
Una sorta di condanna a morte per un territorio destinato a scontare per anni gli effetti di questi ordigni micidiali. E per questo motivo che considero negativamente la politica di Zelenzki perché per difendere un popolo non lo si può buttare allo sbaraglio in tal modo. Lo stato di guerra permanete in cui si trova l’Ucraina nasce dall’illusione di poter puntare alla vittoria contro Mosca dimenticando il fatto che nel secondo conflitto mondiale la Russia ha avuto 27 milioni di morti pur di non capitolare davanti all’avanzata nazista.

Ma non parliamo di un contesto storico completamente diverso? Ora il potere di Putin e degli autocrati che lo sostengono non è molto meno compatto dell’Urss di Stalin?
Mi sembrano considerazioni frutto di propaganda più che di realtà. La Russia non è in fase terminale. Ha sferrato il suo attacco bellico finora senza compiere bombardamenti a tappeto su Kiev. Si riportano il conteggio delle vittime di missili sulle città ucraine in termini di poche unità o decine di persone. Un crimine, certo. Ma io sono abbastanza anziano per ricordare il bombardamento dei B52 americani su San Lorenzo a Roma che distrusse il quartiere, facendo oltre 700 morti e migliaia di feriti.  Pensiamo a Napoli con oltre 20 mila morti…Evidentemente l’azione bellica russa non punta all’annientamento dell’Ucraina e all’invasione progressiva verso Occidente. Se così fosse, paradossalmente mi arruolerei anche io.

Cosa vuole la Russia quindi a suo parere?
Putin è l’autocrate che è, ma gli obiettivi che persegue sono comprensibili e ragionevoli. Chiedere che l’Ucraina non entri nella NATO è il minimo che può pretendere dopo che l’Occidente non ha rispettato tutti gli impegni presi verso Mosca di non allargarsi ad Est dopo aver ricevuto il via libera all’unificazione tedesca.

Ma si trattava di accordi verbali conclusi dagli Usa verso un impero che stava crollando e quindi non potevano considerarsi vincolanti…
Io so che i vecchi politici, nonostante tutto, si basavano sulla parola e quindi credevano alla lealtà dei patti conclusi. Se si leggono le testimonianze di quel periodo si vede che esisteva una sincerità di fondo nel non voler fare la guerra. Nella lunga intervista cinematografica fatta da Oliver Stone, Putin racconta di quanto con Clinton parlarono della possibilità dell’entrata della Russia nella Nato e della reazione negativa immediata della delegazione statunitense perché in tal modo, in assenza del nemico, la Nato non aveva motivo di restare in piedi.

E cosa doveva fare a suo parere il governo ucraino davanti all’aggressione del 24 febbraio?
Doveva cercare la trattativa e, infatti, russi e ucraini l’accordo lo avevano già raggiunto nel marzo 2022 nell’incontro di Antalia in Turchia, ma, poi, sono intervenute forti pressioni su Kiev che hanno fatto saltare tutto. Sono fatti documentati e conosciuti dalla diplomazia internazionale. Ma le condizioni per un accordo restano ancora in piedi. E non si tratterebbe di una resa ma della salvezza per l’Ucraina.

La guerra ha tanti modi per essere giustificata…
Mi ricordo che stavo in commissione Difesa all’epoca della prima guerra del Golfo e da parte degli Usa ci fu una forte promozione dell’intervento armato in Iraq giustificata dal fatto che il crollo del blocco sovietico aveva tolto di mezzo il timore della deterrenza nucleare. Il pretesto dell’invasione del Kuwait poteva essere gestito in maniera negoziale e invece prevalse l’interesse per il controllo delle fonti petrolifere.

Quanto conta l’Italia nello scenario internazionale?

Poco o niente.

Eppure non è stato decisivo il ruolo di Draghi nel ribadire il legame stretto tra atlantismo ed europeismo?
Certo sul fronte interno.  Di sicuro nel caso ucraino avremmo avuto una posizione diversa con i vecchi dc che sono sempre stati atlantisti per necessità e non per convinzione. Era una posizione obbligata da pagare da parte di una nazione sconfitta nella guerra condotta assieme a Hitler e riammessa nel contesto occidentale. Ora con la Meloni siamo giunti ad un atlantismo del cuore.

Ritiene che esista oggi una forza politica in grado di esprimere con convinzione una diversa posizione sulla guerra?
Ci sono voci isolate e divise ma non una forza politica ben definita. Di fatto esiste un popolo della pace che non ha rappresentanza politica.  A livello di opinione pubblica c’è Michele Santoro che è riuscito a lanciare una piattaforma informativa sul web (servizio pubblico) alternativa al mainstream e che riesce a raggiungere un gran numero di persone: un rapporto organico che potrebbe esprimersi a livello politico come ha dimostrato l’iniziativa della “staffetta per la pace” che a maggio ha collegato circa 20 mila persone in diverse città italiane.

Da qui a passare ad un vero e proprio partito è un salto difficile anche perché sono puri dati cabalistici le percentuali reali del cosiddetto popolo della pace nell’urna elettorale….
In effetti non ci si è mai riusciti. Occorre saper proporre una visione complessiva capace di produrre la pace senza limitarsi solo a coloro che condividono una scelta pacifista basata sulla nonviolenza. Perché, se non è vero quanto dice Kant, è cioè che la guerra ci sarà sempre perché è connaturata alla condizione umana mentre la pace è artificiale, bisogna fare i conti con la realtà dove esistono i nemici e i conflitti. Il vangelo ci invita ad amare i nemici, non a ignorarne l’esistenza. Guerra e pace sono scelte possibili del nostro essere liberi. Non basta invocare la pace ma lavorare per costruirla. Questa è l’arte della politica, l’opus politicum.

Questo cosa significa in concreto?
Che occorre fare una proposta trasversale agli elettori di tutti i partiti e a quelli che si astengono dal voto per puntare su alcuni punti condivisi di una politica capace di sostenere l’impegno concreto per la pace. Il minimo sindacale per evitare la catastrofe.

Quale sono questi punti da condividere?
La pace, la terra da salvare e la dignità della persona umana e di tutte le creature. Ad ognuno si propone di fare la propria corsa dove crede meglio ma gli si chiede l’impegno a portare questa piattaforma all’interno dei diversi partiti.

Questo già dalle Europee del 2024?
Certo ma può anche emergere una lista che abbia esplicitamente questo programma con l’effetto di sprone verso gli altri partiti. Una cosa del genere è accaduta negli anni ‘70 con gli indipendenti di sinistra che concorrevano all’interno delle liste del Pci a partire da alcuni punti programmatici e poi formavano un gruppo parlamentare distinto. È stata un’esperienza significativa perché ha permesso di introdurre norme innovative come, ad esempio, la regolamentazione del commercio delle armi, la riforma della psichiatria e delle carceri.

Dovendo indicare i fondamenti teorici di questa visione di una politica di pace quali testi propone?
La Pacem in terris, l’Evangelli gaudium, la Laudato sì, la Dignitatis humane del Concicilio assieme alla Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti umani. Questa triade della pace della terra e della dignità mette assieme tre grandi movimenti che sono presenti nella società, ma spesso non sono collegati tra loro

Una posizione come quella espressa è facilmente accusata di essere pervasa di antiamericanismo. Accetta di essere definito in tal modo?
Tutt’altro. Io credo, invece, che il vero problema politico sia quello di capitalizzare il rapporto con gli Usa per dirgli: a voi che rappresentate l’Occidente vi invochiamo di non trascinarlo verso il fallimento totale e l’autodistruzione. Bisogna prendere coscienza ormai che l’Occidente non rappresenta più la maggioranza del Pianeta. Non possiamo credere di essere la cultura politica prevalente e l’unico modello di democrazia esistente nel mondo. Si tratta di riprendere quella tensione presente nei documenti della Guerra Fredda quando la ricerca di arrivare ad un disarmo nucleare con l’Unione Sovietica era reale e sincera. La grandezza degli Stati Uniti può esprimersi proprio nel prendere la leadership nell’uscire dall’incubo nucleare e non di teorizzare la guerra infinita.  Nella storia recente abbiamo avuto dei segnali importanti che andavano colti e invece sono stati del tutto ignorati.

A cosa si riferisce?
Alla straordinaria dichiarazione di Nuova Delhi firmata nel 1986 da Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi, cioè dai rappresentanti di due enormi Paesi che, da soli, all’epoca rappresentavano un quinto dell’umanità. Questa presa di posizione politica inaudita a favore di “un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento” non fu mai fatta circolare o pubblicata in Occidente, tranne che nella rivista culturale Bozze che dirigevo. Il testo si trova ora nel sito Costituente Terra. Anche se ignorata, questa dichiarazione è il segnale che anche all’interno della politica internazionale esiste la consapevolezza esplicitata da Einstein e tanti dopo di lui che la bomba atomica rappresenta la soglia finale dell’umanità.

E cosa si può fare per sostenere chi in Russia è contro la guerra? Dobbiamo capire che, finché dura il conflitto, Putin resterà inamovibile e nessuna voce contraria potrà farsi strada. Di fronte alle dichiarazioni sempre più esplicite che puntano alla disgregazione della Russia, al suo smembramento, la società russa, come avvenuto in passato, si ricompatta e scatta un forte meccanismo di autodifesa. Dobbiamo permettere al popolo russo di non rimanere intrappolato nella logica della guerra.

 

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