Quale politica in Italia dopo il 25 settembre?

La cosiddetta agenda Draghi e il nuovo governo, la questioni migrazioni, il rapporto con il postfascismo e il destino della sinistra sociale. Alcuni dei punti di analisi del voto delle elezioni politiche nell’intervista al professor Paolo Pombeni

Il risultato delle elezioni del 25 settembre esige una riflessione di lungo periodo in attesa che si definisca la composizione delle Camere che si riuniranno il 13 ottobre per decidere e varare il nuovo governo che sarà guidato da Fratelli D’Italia.

Abbiamo sentito il parere del professor Paolo Pombeni, politologo tra i più autorevoli, editorialista su diversi quotidiani e autore di importanti testi di storia politica

La vittoria del partito di Giorgia Meloni, passato dal 4,7% del 2018 al 26% del 2022, è una sconfitta della cosiddetta Agenda Draghi? O ritiene che, in fondo, ci potrà essere continuità nella linea di governo e non solo in politica estera?
Per quel che si può vedere oggi non direi che ci sia una sconfitta dell’agenda Draghi, che anzi Meloni sembra intenzionata a seguire avendo capito che nella condizione attuale dell’Italia altre soluzioni ci esporrebbero al rischio di fallimento come paese. Poi naturalmente ci sarà qualche aggiustamento, ma ci sarebbe stato anche se fosse rimasto Draghi perché con una contingenza molto instabile come quella in cui ci troviamo immersi restare dogmaticamente fermi sarebbe un errore.

Quanto ha inciso nella sconfitta annunciata del Pd l’enfasi data da Letta e dalla direzione del partito a istanze radical libertarie come il matrimonio egualitario e la legge sull’eutanasia?
Credo che l’enfasi di Letta sulle istanze radical libertarie sia stata un grande e grave errore. Già ai tempi di Berlinguer un politico acuto come Ermanno Gorrieri aveva avvertito sulla deriva del PCI che si andava configurando come “un partito radicale di massa”. Il fatto è che c’è una sorta di legge storica per cui quando i progressisti non sanno fermarsi nella ricerca del cambiamento la gente si rivolge ai conservatori, non perché questi cancellino l’adeguamento realizzato per condizioni sociali mutate, ma perché si eviti di sopravvalutarle senza necessità nell’illusione che bisogna “precorrere i tempi” (il che mette a rischio le culture che consentono la solidarietà sociale e la condivisione di una visione di fondo).

La questione epocale delle migrazioni non sembra che sia stata al centro della campagna elettorale ma crede che sarà il tema centrale dell’imminente scontro politico come avvenuto con i decreti Salvini del primo governo Conte?
Salvini sta provando in ogni modo a rilanciare l’incubo delle migrazioni, ma succede come col Covid: alla fine la gente ci fa l’abitudine e ci convive. Credo che anche le componenti responsabili della destra si rendano conto che i grandi movimenti migratori sono un fenomeno storico che non si può bloccare. Vanno governati e non come un problema di “carità” (c’è anche quello e va bene ma va lasciato alle sensibilità comunitarie), bensì come una questione per risolvere il problema dell’integrazione dei migranti in sistemi come i nostri che sono molto differenti da quelli di loro provenienza  e che non possono sopportare squilibri significativi in una fase come questa di instabilità del quadro economico, sociale e politico.

Dallo sdoganamento effettuato da Berlusconi non funziona più la cosiddetta pregiudiziale postfascista. A suo parere è un argomento che è stato fatto valere troppo o troppo poco in questa campagna elettorale?
È un tema che non esiste. Il fascismo è un fenomeno storico legato a circostanze molto particolari che oggi non ci sono e che a suo tempo ha portato a conseguenze fallimentari. Il fatto che esista una quota, neppur tanto grande, di popolazione che usa richiamarsi a quel periodo più che altro per ragioni di folklore pseudo identitario non giustifica un utilizzo polemico della questione del postfascismo. Piuttosto che dibattere di un fantasma (lasciate che i morti seppelliscano i loro morti, come sta scritto) è necessario aprire un confronto sulle sfide che la transizione storica che stiamo affrontando pone a tutti noi.

Le elezioni del 2022 segnano a suo parere il punto definitivo della fine di una sinistra sociale in Italia?
Il problema di una “sinistra sociale” sarà sempre una costante storica, a patto che si capisca che questa non è cianciare sui diritti degli ultimi, sulle disuguaglianze dentro cui mettiamo di tutto e roba simile. Il “socialismo” è la convinzione che una società può progredire e davvero dare a ciascuno il suo solo se è costruita e mantenuta sul principio di solidarietà e di riconoscimento dell’eguaglianza degli uomini per cui a ciascuno deve essere dato modo di realizzarsi al meglio (una volta si parlava di raggiungimento della felicità). Di questa sinistra sociale c’è grande bisogno nella contingenza attuale, anche se non la vedo molto presente nei vari partiti che si definiscono di sinistra e progressisti. Essa però è un fuoco che cova sotto la cenere ed ho fiducia che si alzerà il vento che ne ravviverà la fiamma.

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