Pompei

C’era da scommettere che Raifiction, Lux Vide, Rai Trade avrebbero ripreso Gli ultimi giorni di Pompei, soggetto che dal 1935 al 1959 aveva già conosciuto tre versioni sullo schermo. L’ultima, italiana del ’59, curiosamente presenta una trama che forse soggettisti e sceneggiatori della miniserie in due puntate andata in onda su Raiuno hanno tenuto presnte. Fino ad un certo punto, naturalmente. La vicenda, destinata a suscitare emozioni prevedibili, è incentrata sulla storia d’amore fra il soldato Marco (Lorenzo Crespi) e la giovane Valeria (Andrea Osvart), ridotta in schiavitù insieme al fratello Ennio (Fabrizio Bucci) dopo la morte del padre e continuamente adocchiata dal cattivo Chelidone (Massimo Venturiello). Mentre il Vesuvio brontola, la storia d’amore e di amicizia di Marco coll’amico soldato Tiberio (Maurizio Aiello) si mescola al quotidiano di una città dove poveri e ricchi vivono le loro vite, sullo sfondo di una congiura per uccidere l’imperatore Tito (un ritrovato Giuliano Gemma) e sul nascere delle prime comunità cristiane. Ci penserà la tremenda eruzione del vulcano a salvare i buoni e a far perire i cattivi, insieme però ai generosi, come il medico che dà la vita per i feriti. La trama è quella usuale delle fiction, ambientata stavolta nell’antichità, con bei costumi, effetti speciali in digitale – mai così numerosi in una miniserie italiana – e sentimenti accennati con la consueta rapidità di un prodotto che sta tra amore e spettacolo. Giulio Base (che non ha rinunciato a ritagliarsi la particina dell’ammiraglio) dirige con correttezza, inventa soluzioni indovinate – il buffo duetto dei due fratelli Aniceto (Vincenzo Bocciarelli) e Publio (Antonio Serrano) – nel nuovo tipo di peplum della serie Imperium (chiamiamolo così, perché dopo Il gladiatore il genere sta tornando di moda), puntando ad un pubblico cui piacciono le storie di contrasti sentimentali, su uno sfondo storico, più o meno veridico, e tante emozioni a fior di pelle. Che andranno bene ai palati d’oltreoceano, dato che i l film è recitato in inglese… Certo, di carne al fuoco ce n’era molta e Base ha dovuto destreggiarsi fra la vita dispendiosa delle classi alte, le trame sordide dei politicanti, il cristianesimo nascente, l’eruzione vesuviana, e le vicende d’amore e di amicizia, rese da un cast dal valore discontinuo (meglio le giovani leve in confronto alle star nostrane). Insomma, il classico prodotto per (quasi) tutti i gusti. Con due modesti desideri. Che la musica di Marco Frisina punti a una minor ripetitività e che Rai uno la storia, quella vera, la volesse raccontare anche in un altro modo. Non si vive di sola fiction.

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