Perego: inutile e sbagliato l’accordo Italia-Albania sui migranti

Netta presa di posizione del vescovo di Ferrara e presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale italiana contro l'accordo siglato dal governo italiano con quello albanese sull'esternalizzazione delle frontiere. Le questioni in gioco
Il ministro degli Affari Esteri, Antonio Tanjani (d) e il ministro degli Esteri di Albania, Igli Hasani, per la firma dell' Accordo di sicurezza sociale Italia-Albania presso presso la Farnesina a Roma, 6 febbraio 2024. ANSA/CLAUDIO PERI

Il decreto legge di ratifica del protocollo Italia- Albania, approvato anche dal Senato, dopo il voto a maggioranza della Camera, ha ricevuto un duro commento da Gian Carlo Perego, vescovo di Ferrara.  Secondo il presidente della Commissione per le migrazioni della CEI e di Fondazione Migrantes si tratta di «soldi buttati in mare» e più precisamente di «673 milioni di euro in dieci anni in fumo per l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa del nostro paese, al 16° posto in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo rispetto al numero degli abitanti».

Ma in cosa consiste tale protocollo votato dal Parlamento italiano? L’accordo Italia-Albania prevede la costruzione di due Centri di contenimento e di “detenzione” per i migranti salvati nel Mediterraneo da navi militari italiane.

Nel primo centro di permanenza si dovrebbe procedere, una volta sbarcati, alla identificazione. Nel secondo – struttura tipo CPR – verrebbero espletate le procedure “accelerate” delle domande di asilo. Entro 30 giorni il richiedente, se diniegato, sarebbe rimpatriato (ma solo se in presenza di un accordo con il Paese di origine) altrimenti portato in Italia. Invece, sarebbe sempre trasferito in Italia se la domanda venisse accettata.

Migranti nel porto di Lampedusa,. ANSA/CIRO FUSCO

Già si rilevano notevoli complessità sul piano dei diritti della singola persona: privazione di libertà di movimento, di assistenza psicologica e giuridica nella formulazione della domanda, avrebbe a disposizione tempi brevi e mancanza di informazioni sulle possibilità di effettuare un ricorso. Inoltre, sul piano pratico saremmo di fronte a prolungamenti di viaggi delle navi militari, come le imposizioni stabilite alle navi ONG di andare in porti distanti. Questo rallenterebbe per le stesse, aumentando fra l’altro i costi, le possibilità di effettuare con urgenza altri salvataggi.

Ci sarebbe inoltre una complessità, non indifferente, nell’organizzare trasferimenti dall’Italia all’Albania, e viceversa, per i soggiorni di dipendenti dello Stato per la sorveglianza e la conduzione dei Centri, per medici ed infermieri,  per i commissari per le interviste dei richiedenti asilo. Il tutto con spese elevatissime (16,5 milioni di euro per il primo anno -accordo di 5 anni- con ulteriore fondo di garanzia di 100 milioni presso una banca albanese). Questa è la premessa per avere un’idea delle mostruosità giuridiche e di spesa che traspaiono dall’accordo.

Tale scelta è un pezzo della strategia di governo dell’immigrazione che ha anche precedenti nella storia recente (il patto con la Libia non va dimenticato) e tende sempre di più a “rimuovere il fenomeno”, ad esternalizzarlo, a fare scelte sulla pelle già martoriata di persone che fuggono da guerre, da fame, da cambiamenti climatici epocali, da persecuzioni.

Purtroppo anche in Europa la politica migratoria sta subendo condizionamenti dettati da una società, quella “chiamata” occidentale, sempre più chiusa in sé stessa, più egoista, più governata da un’economia impazzita che divide sempre maggiormente e mette in conflitto le classi sociali. Per esempio l’ultimo provvedimento  della LIBE (Commissione Libertà, Giustizia ed Affari Interni del Parlamento Europeo), approvato a maggioranza (da segnalare il voto contrario di Pietro Bartolo e Laura Ferrara) nella riforma del Regolamento prevede  procedure comuni per le domande di asilo che presentano gravi violazioni in quanto danno spazio a “procedure speciali” di frontiera con relative conseguenze di restrizioni di libertà e di violazione di diritti.

Siamo di fronte quindi ad una deriva della politica migratoria. Il tutto ricadrà sulla carne viva delle persone che cercano rifugio e che invece saranno private di loro possibili “primi diritti” che non hanno mai avuto nei loro Paesi di origine.

A chi giova tutto questo? Ecco la propaganda: creare ancora “nemici” e di conseguenza consenso per chi combatte i “nemici”. Nel frattempo le nostre società vedono una disumanizzazione sempre più estesa che pervade non solo chi ci governa, ma entra nella menti delle persone che rischiano di perdere il senso della comunità, della solidarietà, della consapevolezza che siamo sempre più correlati con ciò che succede nel mondo, che siamo nel mondo e dipendenti dal mondo.

Logo Fondazione Migrantes della Cei

Molte autorevoli voci si sono levate per contrastare questa deriva e per indicare scelte di civiltà e di giustizia. Fra queste la lucidissima analisi e le possibili strade da seguire indicate dal presidente della commissione per le Migrazioni della Cei e Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego.

Solo infatti risposte di alta politica possono rovesciare questa tendenza e decadenza, anche per affrontare le politiche migratorie. È necessario però attivarsi tutti per resistere, proporre idee e azioni di rafforzamento di processi virtuosi di accoglienza e di integrazione che siano estesi ed inseriti nei “servizi  alla persona” al pari di politiche sociali, già attente ai bisogni più diversi e complessi della società di oggi.

E nel centenario della nascita di don Milani mi piace ricordare che occorre lavorare molto sulla formazione e sulla corretta comunicazione per arrivare a comprendere che, come diceva appunto don Lorenzo: «Il problema degli altri è anche il mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia».

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