Per la democrazia e la vita

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Alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, legge 40/2004, si è arrivati, un anno fa, dopo un estenuante percorso parlamentare, accompagnato, lungo due legislature, da un costante interesse da parte di molti cittadini attivi, associazioni e movimenti. Raramente una legge è stata seguita con tanta attenzione e raramente ha provocato scontri così accesi. È uno scontro tra destra e sinistra? No. Pur dando atto che solo in questa legislatura e con l’attuale maggioranza di centro-destra la legge è arrivata in porto, il risultato non si sarebbe ottenuto senza il contributo determinante di voti parlamentari provenienti dal centro-sinistra. Gli schieramenti politici del governo e dell’opposizione non coincidono con le diverse posizioni su questa materia. È uno scontro tra cattolici e non cattolici? No. Anzitutto, in parlamento non c’è una maggioranza cattolica; la legge è passata proprio perché anche molti non cattolici condividono, in coscienza, i princìpi che hanno ispirato la legge. In secondo luogo, questa legge non corrisponde pienamente ai contenuti della dottrina cristiana; su alcuni punti rilevanti, anzi, la contraddice. Non si può dunque affatto sostenere che ci sia stata l’imposizione al Paese di una visione confessionale cattolica. Il giudizio etico sulle tecniche di procreazione assistita previste dalla legge non può essere positivo, perché non si limitano ad aiutare l’atto naturale dei coniugi, in modo che esso arrivi al fine della procreazione; al contrario, sono tecniche sostitutive dell’atto coniugale, il quale è, invece, atto personale, coinvolgente la totalità delle persone dei coniugi in maniera libera, responsabile ed esclusiva. Ciò significa che l’atto coniugale spetta solo ai due coniugi, e che l’inizio dell’esistenza di una nuova vita umana non dovrebbe essere separato dall’amore coniugale che la genera. La retta ragione imporrebbe dunque di non ricorrere alle tecniche di procreazione artificiale, e di rendersi disponibili, invece, all’adozione, cioè al dare dei genitori ai bambini che ne sono privi, piuttosto che cercare di dare, ad ogni costo, un bambino a degli aspiranti genitori: pur rispettando il profondo desiderio di un figlio, bisogna affermare che non esiste un diritto al figlio, mentre esiste il diritto del bambino ad avere una famiglia. Si comprendono, da questo punto di vista, le perplessità che molti nutrono nei confronti della legge in vigore. Ma la mentalità oggi prevalente non accetta questo ragionamento sano. L’alternativa, allora, si pone tra il lasciare campo libero a qualunque tipo di pratica, e il cercare invece di regolamentare la materia, operando nell’ottica della riduzione del danno: si cerca, cioè, di contenere nel minimo possibile le pratiche che, pur eticamente sbagliate, non si riesce a evitare, impedendo i fenomeni più gravi. Da questo punto di vista è positivo il riconoscimento, stabilito dalla legge 40/2004, dell’obiezione di coscienza per il personale sanitario, cioè la possibilità di non prendere parte alle tecniche di procreazione artificiale. Teniamo conto che c’è chi non vorrebbe affatto una legge. In particolare, i centri che praticano le tecniche di procreazione artificiale hanno più volte insistito perché tutta la materia venisse lasciata ad un loro codice di autoregolazione e alla libera decisione delle coppie. Ma l’uso delle tecniche di procreazione artificiale toglie il concepimento dall’ambito strettamente coniugale: chiama in causa la società, apre problemi di ordine tec- nologico, economico, politico. Di conseguenza, diviene necessario l’intervento dello Stato, allo scopo di garantire i diritti dei soggetti coinvolti – e in particolare quelli del concepito, che è il più debole – e di prevenire e reprimere eventuali abusi. La procreazione artificiale non può dunque essere lasciata alle sole scelte individuali – come vorrebbero gli ultra-individualisti e coloro che lucrano sul desiderio di figli -, ma dev’essere regolata dalla legge. È importante sottolineare che la fecondazione artificiale non è una terapia della sterilità e dell’infertilità, non cura nulla: al contrario, favorisce l’abbandono delle ricerche per curare la sterilità. Giustamente la legge richiede che una coppia acceda alla procreazione artificiale solo dopo avere accertato che non esistono possibilità di cura. Pur con tutti questi limiti, la legge 40/2004 difende importanti princìpi; anzitutto il diritto alla vita fin dal concepimento; ma anche il diritto di porre dei limiti certi al potere manipolatorio delle tecnologie; difende il ruolo dello Stato nel creare leggi che impediscano alla ricerca scientifica di diventare anti-umana, in modo che sia il criterio del bene comune a sostenere il lavoro degli scienziati, e non quello dei profitti delle multinazionali. Ma soprattutto è importante comprendere i veri contenuti del princìpio della difesa della vita e della sua dignità in tutti i suoi aspetti: è un princìpio caratterizzante il fondamento di ogni giusta società politica. Nelle società democratiche tale princìpio si lega, e viene difeso, insieme ad altri irrinunciabili princìpi fondativi, quali l’uguaglianza e la libertà di tutti gli esseri umani, la giustizia e la solidarietà sociale: princìpi che obbligano ad accogliere la vita e dare a ciascuno le migliori opportunità per sviluppare la propria personalità, assicurandogli l’istruzione, il lavoro, l’assistenza, la previdenza; la difesa della vita è, in realtà, il giusto inizio di un impegno politico e sociale che riguarda tutti gli aspetti dell’esistenza. E, ancora, il princìpio di sussidiarietà: esso impone il riconoscimento della natura originale, dei diritti e dei doveri di ogni corpo intermedio fra il cittadino e lo Stato, così che ogni soggetto – dalla famiglia all’azienda – venga tutelato nella sua libertà di scelta ma allo stesso tempo reso responsabile degli aspetti sociali delle sue azioni, siano esse la procreazione o la ricerca scientifica e tecnologica. Questi princìpi non sono né di destra né di sinistra: sono princìpi di democrazia, condivisibili da tutti coloro che possiedono una coscienza civile. L’insieme di tali princìpi costituisce il nucleo della cultura democratica, che unisce al rispetto per la persona, per la sua libertà e dignità, anche il senso della responsabilità sociale. La difesa e lo sviluppo di tale cultura è affidato ai singoli, ai gruppi, alle istituzioni, secondo i loro specifici ruoli e compiti. Difendere la legge 40/2004, pur nella sua imperfezione, in questo periodo che ci separa dai referendum, significa dunque aprire un grande dibattito culturale, nel quale affrontare i grandi temi ideali e politici che contraddistinguono la vita delle democrazie, per creare una comprensione più profonda e un consenso più ampio sui princìpi che sorreggono la comunità civile e politica, nel tentativo di trasmettere una visione dell’uomo – oggi a rischio – dove la vita e la sua dignità sia difesa in tutti i suoi aspetti, secondo giustizia. Poi, certo, c’è da affrontare i referendum. Ed è bene chiarire subito che il no a quanto propongono può legittimamente essere espresso in due modi: andando a votare no, oppure non andando a votare. Il sentimento spontaneo di tutti i cittadini attivi è quello di andare a votare, perché si avverte la partecipazione come un dovere civico. Ma su questa materia, la partecipazione c’è già stata; i cittadini che si sono mobilitati, in questa legislatura e nella precedente, per l’approvazione della legge, che hanno organizzato comitati e promosso assemblee e incontri pubblici, che si sono recati o hanno scritto ai loro parlamentari in favore della legge, hanno partecipato in maniera attiva e prolungata, ben più di coloro che limiteranno la loro partecipazione al solo giorno del referendum. Non solo: nei mesi che seguiranno si svilupperà una grande campagna a favore della legge, che darà a tutti i cittadini la possibilità di partecipare. Si è costituito un Comitato nazionale in difesa della democrazia e della legge 40/2004, che creerà comitati locali in ogni città e paese, ai quali tutti i cittadini potranno partecipare. A questa campagna Città nuova, come ha fatto nel corso delle due ultime legislature, darà il suo pieno appoggio. È dunque una astensione attiva – ben diversa dal disinteresse, dall’andare al mare cui i cittadini furono invitati in passato, in occasione di altri referendum – attuata da coloro che approvano il lavoro del legislatore, difendono con le unghie e con i denti una legge che ha messo fine al far west procreatico, e rifiutano di sostenere dei referendum indetti quando la legge, approvata da appena un anno, non è ancora stata messa bene alla prova; referendum che risultano particolarmente inadeguati a intervenire su una materia così complessa; referendum, peraltro, ambigui nella loro formulazione, e che – tranne nel caso del referendum sulla fecondazione eterologa – nel loro titolo non dichiarano esattamente quello che, in realtà, contengono, allo scopo di ingannare il cittadino. Far mancare il numero legale è una scelta politica usuale nei parlamenti e che può essere adottata anche in occasione dei referendum; è una scelta esplicitamente prevista dal legislatore, che ritiene valido un referendum solo se vota almeno la metà dei cittadini, proprio per evitare che una minoranza imponga una modifica ad una legge approvata dalla maggioranza. Ma l’opposizione ai referendum è solo un aspetto, pur determinante, di un impegno culturale e civile che deve coinvolgere il maggior numero di cittadini in una campagna che, nella sua motivazione più profonda, è una difesa dei princìpi di democrazia. Buon lavoro a tutti. CHE COSA DICONO I REFERENDUM? Alla Corte costituzionale sono stati sottoposti cinque referendum. Quello dei radicali, che chiedeva la soppressione dell’intera legge, è stato respinto. La Corte ha ammesso, invece, gli altri quattro, promossi da vari comitati, che vogliono abrogare alcune parti della legge. Ognuno di essi è però tale da stravolgere in profondità la Per consentire nuove cure per malattie come l’Alzheimer, il Parkinson, le sclerosi, il diabete, le cardiopatie, i tumori. Di fronte a questa formulazione, il cittadino potrebbe essere indotto a dire di sì: chi non vuole che si curino i malati? Per ottenere queste cure, il referendum chiede che si consenta la clonazione embrionale, cioè la creazione di embrioni che siano dei cloni del paziente adulto, dunque che si producano esseri umani appositamente per usarli come materiale di laboratorio. Per facilitare questa pratica, il referendum elimina la finalità terapeutica della legge e il princìpio di ricorrere alle tecniche di procreazione artificiale solo dopo avere tentato altre strade per curare la sterilità o l’infertilità della coppia: più embrioni congelati ci saranno a disposizione, meglio sarà. In realtà, queste cure attualmente non esistono, né è prevedibile che si ottengano in breve tempo. Soprattutto, a queste cure si può arrivare senza usare le cellule staminali degli embrioni, ma quelle del cordone ombelicale o quelle degli adulti. Per la tutela della salute della donna Questo referendum vuole introdurre la possibilità che vengano creati molti più embrioni di quelli consentiti per un unico e immediato impianto; di conseguenza, vorrebbe re-introdurre la pratica della crioconservazione (congelamento) degli embrioni. È un referendum particolarmente subdolo perché, pur dichiarando che il proprio obiettivo è la tutela della salute della donna, propone esattamente il contrario: per ottenere molti ovuli dalla donna, è necessario infatti operare una stimolazione ormonale particolarmente forte e invasiva; infatti il referendum vuole anche eliminare il princìpio di gradualità della terapia, che la legge prevede proprio per tutelare la salute della donna. Anche questo referendum elimina la finalità terapeutica della legge e il ricorso alle tecniche di procreazione artificiale come ultima istanza; incredibilmente, vuole che sia consentito alla coppia di ritirare il proprio consenso anche dopo la fecondazione, abbandonando gli embrioni (figli) già prodotti: la procreazione artificiale diventerebbe, così, una tecnica come tante, che deresponsabilizza completamente chi vi accede. Per l’autodeterminazione e la tutela della salute della donna È uguale al referendum precedente; e, come il precedente, non vuole – come dichiara – aumentare le probabilità di successo della procreazione artificiale, ma vuole mettere a disposizione il maggior numero possibile di embrioni per le sperimentazioni. In più, vuole eliminare l’art. 1, comma 1, della legge, dove è scritto che la legge assicura i diritti a tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. È un referendum che, puramente e semplicemente, toglie ogni tutela sia alla coppia sia al concepito. Per la fecondazione eterologa Elimina il divieto di fecondazione eterologa. Potrebbero, così, intervenire i donatori, con tutti i problemi che ne conseguono: creazione di più genitori con la difficoltà, a lungo termine, specialmente da parte del padre legale, ma non naturale, di accettare il figlio; poiché il donatore dona più volte, ci sarebbero numerosi figli dello stesso padre, che non sanno di esserlo, con possibilità di matrimoni fra consanguinei; poiché il donatore rimane anonimo, possono sorgere in futuro difficoltà nel curare il figlio, perché si ignora la storia clinica del padre. Tra i Paesi che ammettono da anni la fecondazione eterologa, sta crescendo la convinzione che è necessario fare marcia indietro. Perché dovremmo prendere, in Italia, una strada che altrove si è già rivelata sbagliata? I CONTENUTI DELLA LEGGE 40/2004: NORME IN MATERIA DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA La fecondazione artificiale consiste nel produrre embrioni facendo incontrare l’ovulo femminile e gli spermatozoi all’esterno del corpo della donna; gli embrioni così ottenuti vengono successivamente impiantati in utero. La legge 40/2004 consente soltanto la fecondazione omologa, attuata, cioè, con materiale proveniente dalla coppia che ne fa richiesta; vieta, invece, la fecondazione eterologa, nella quale si utilizza un donatore esterno alla coppia, che rimane anonimo.Alle tecniche di fecondazione artificiale sono ammesse solo le coppie di maggiorenni di sesso diverso, in età potenzialmente fertile (per evitare le mamme-nonne), in cui i richiedenti siano entrambi viventi (per evitare che il bambino nasca orfano). Sono ammesse anche le coppie conviventi; e questo è un punto debole della legge, perché il matrimonio dei genitori costituisce la migliore condizione di garanzia per il bambino. È vietata la maternità surrogata, cioè non è permesso che qualcuno usi questa tecnica per fare un figlio per conto di altri (il cosiddetto utero in affitto). Molto importanti sono i contenuti della legge riguardanti l’embrione. La scienza conferma che l’embrione è un essere umano. Prima della legge 40/2004, gli embrioni prodotti artificialmente venivano congelati, ed impiantati a più riprese nella donna finché non otteneva una gravidanza. Raggiunto questo obiettivo, gli embrioni rimanenti venivano conservati finché, ormai scaduti, venivano distrutti. I laboratori di ricerca chiedono che tali embrioni (decine di migliaia in Italia) vengano resi disponibili per la sperimentazione, come già avviene in altri paesi. L’articolo 1 della legge approvata dalla Camera riconosce i diritti di tutti i soggetti coinvolti, sottolineando quelli del concepito. Questo riconoscimento della dignità giuridica dell’embrione porta ad importanti conseguenze.Anzitutto, la legge stabilisce che non si possano produrre più di tre embrioni per volta, e che debbano essere immediatamente impiantati nella donna. Ne risulta vietata la crioconservazione (congelamento), ad eccezione dei casi in cui qualche emergenza imprevedibile (legata, in genere, alla salute della donna) renda impossibile l’impianto immediato. Attualmente, dunque, non si possono più produrre embrioni in soprannumero. Altre conseguenze importanti sono il divieto di clonazione, di selezione eugenetica, di manipolazione e sperimentazione sugli embrioni, di aborto selettivo (che consiste nel lasciare in vita solo un embrione, nel caso attecchiscano più embrioni); è consentito soltanto l’intervento terapeutico che abbia come scopo la salute dell’embrione sul quale si interviene. NORBERTO BOBBIO: ” C’è innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte (…) Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il non uccidere. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere.” Corriere della Sera, 8 maggio 1981

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