Per amore

Articolo

Che ci sia un bel bisogno di rifondazione della fede cristiana lo dicono gli antefatti e i fatti: troppe teologie, troppe vecchie armature giuridico-dottrinarie, troppi linguaggi scorrenti dalla Babele filosofico- culturale e dalla dissoluzione delle ideologie, troppa indifferenza, oggi, nella lingua che si pensa e si parla. Ed è altrettanto chiaro che una rifondazione della fede non può avvenire che sulla via di un ritorno, profondo e radicale, al Vangelo. Ciò induce Vito Mancuso, teologo fuori schema ormai accreditato, a percorrere questa via in un libro – Per amore. Rifondazione della fede (Mondadori) – che si legge molto volentieri e distesamente, che muove muscoli e tendini come un corpo impegnato in un lavoro (il lavoro più alto è l’amore, dice Mancuso, e questa sarà l’unica fede del futuro); un corpo con il quale si può anche lottare, come ho fatto io, pur sentendone il calore e l’abbraccio, e proprio perché lo si sente e si può condividerne il cammino. Mancuso parte dall’evidenza che guardare onestamente alla natura e alla storia (continuando a credere in Dio) significa entrare nelle tenebre : la natura non è organismo perfetto, ospita anomalie e inestinguibili contraddizioni tra vita e morte, la storia è il mattatoio edificato dagli uomini, che l’antica nozione di provvidenza divina non spiega a non modifica in meglio; con Simone Weil bisogna ripensare daccapo la nozione di fede. Florenskij, la Weil, Bonhöffer sono gli eccellenti compagni di strada dell’autore, ma della strada su cui unicamente è scritto che l’unica motivazione della fede in Dio è l’adesione incondizionata dell’anima al bene, al bene che trascende la meccanica del mondo (la forza) e della storia (il potere) consentendo di affrontare e redimere quel mostro di bellezza e di terrore che è la vita. Qui Mancuso ha pagine molto giuste sulla realtà delle motivazioni umane naturali che spesso mascherano anche quelle spirituali, e sulla realtà fisica del mondo-natura come miscuglio entropico di necessità e imprevedibilità, gravità intrascendibile se non da quella dis-entropia che è l’adesione pura al bene, appunto. Anzi, dal punto di vista di questa non conveniente ma beatificante scelta del bene, natura e storia appaiono unificate dalla legge della volontàforza, e si rivelano solo un possibile trampolino da cui tuffarsi per superare quel mondo di cui parla, e che vince, Gesù nel Vangelo. In questa luce vengono ripensati il peccato originale, la provvidenza (e cioè la grazia), l’aldilà; con analisi ed affermazioni che volta a volta mi trovano calorosamente concorde o cautamente perplesso o francamente discorde. Ma non ho qui lo spazio per una replica che sarebbe necessariamente molto articolata, e non credo che sia comunque in quelle analisi e affermazioni il punto forte del libro, il suo merito durevole. Il quale è precisamente nel mostrare come la salvezza di Cristo sia disponibile a tutti, credenti e non credenti: a tutti coloro che scelgono, con ferma e felice determinazione, non l’egoismo di sé stessi ma l’altruismo del bene, di quel Bene Altruistico (ovvero Trinità) che Dio stesso è in sé e per noi; anche se non lo sanno, anche se non lo credono, anche se lo negano (il concetto di Dio, non il-bene-che-è-Dio). Questo merito innegabile del libro, che non casualmente si intitola Per amore, è guadagnato con un altro merito, il dis-intellettualismo: non nel senso che l’opera sia priva di intellettualità, anzi ne è pregna (con ricche e pertinenti referenze culturali), ma nel senso che l’autore sa partire dalla formulazione appropriata dei problemi per poi farli discendere al livello della più quotidiana e feriale esistenza, di tutti. Qui, precisamente, a questo nostro livello, le vittorie e i possessi si rivelano silenzio e tenebra , direbbe Manzoni, e l’antieconomica scelta della Croce la via all’unico acquisto per sempre.

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