Pane al pane

Attualità di Giordani, un cristiano che non mise mai all'asta la sua coscienza
Igino Giordani

«Onorevole Giordani, lasci stare la Lubich e le sue signorine. Torni alle sue normali attività, la smetta di occuparsi dei Focolari, e vedrà che potrà recuperare la stima che le è sempre stata tributata…». Non fu semplicemente un consiglio, questo che Igino Giordani ricevette, giacché a rivolgergli tale esortazione era stato un alto prelato della Congregazione del Sant’Uffizio. Erano parole in grado di scombussolare un’esistenza: fuori o dentro, con la Chiesa prudente e tradizionale, o con le nuove correnti spirituali di incerto avvenire? Per uno come Giordani, significava recidere una vita trascorsa al vertice della cultura cristiana, nella quale si era esposto da deputato, giornalista, scrittore, agiografo, esperto dei padri della Chiesa. Uno cioè che aveva vissuto al fianco di papi e cardinali, ed era considerato la punta di diamante di un cattolicesimo ortodosso e misurato.

E ora, in quel giorno qualunque del 1951, il Sant’Uffizio lo invitava a scegliere fra la prestigiosa carriera e i pericoli della novità del Movimento dei focolari di Chiara Lubich. Ma se a qualcuno dovesse venire in mente che al nostro Igino tremarono le ginocchia, si sbaglierebbe di grosso, giacché la replica non fu in difesa della scelta compiuta, ma il rilancio di chi profeticamente aveva la capacità di guardare lontano: «No, vi prego, assegnate loro una guida illuminata, sì da usarli come una potenza di santificazione».

D’altronde, quello non fu il primo “no” di Igino. Ne aveva detti parecchi, e non tanto perché spiccava nella contraddizione (in molti ricordano la sua mansuetudine) ma per via dei suoi “sì” forti e chiari ai valori cristiani, non negoziabili. Per tali ragioni, nel 1947 preferì dimettersi da direttore de Il Popolo (il quotidiano della Democrazia cristiana) quando scoprì che non avrebbe potuto svolgere con la necessaria libertà il suo mandato, in presenza di tentativi di condizionare il suo lavoro per logiche che oggi definiremo clientelari. Anche quella volta, mise al di sopra del tornaconto personale la propria coscienza, che gli intimava di perseguire la verità e la giustizia, senza indugi e soprattutto senza sottostare ai poteri forti.

Ma tutti i suoi “no” rendono Giordani una figura di estrema attualità. A tutti i costi lo volevano assessore all’Istruzione nel primo consiglio comunale romano (siamo nel 1946), dove era stato eletto con 215 mila voti. Ma come avrebbe potuto conciliare i suoi numerosi impegni politici (era alla Costituente), giornalistici, letterari, con un assessorato? Invano si ordirono pressioni per convincerlo ad accettare la nomina: in Igino l’impegno politico è impegno per il bene comune e richiede iniziativa, cura, ragione, tutte cose che non possono impegnarsi part-time.

Igino stesso scrive nelle sue Memorie che il dilemma “Dio o mammona” gli si presenterà spesso nelle vicende intense della sua vita. Come quando preferì dimettersi da docente della scuola pubblica per non volersi piegare alla liturgia che il regime fascista richiedeva ai dipendenti pubblici. Aveva già perso il lavoro al Partito popolare (i partiti politici furono sciolti dal regime nel 1926) e, mentre la famiglia si ingrandiva, fu costretto a rinunciare all’insegnamento al liceo Mamiani di Roma. I colleghi più vicini lo spronarono a fare qualche gesto conciliante col regime per non andare incontro all’emarginazione professionale: «Dai, Igino, che t’importa: fa’ il saluto fascista al preside, poi dentro pensala come ti pare». «No!», rispose Igino anche quella volta. E per non compromettere gli amici, giacché nei regimi totalitari anche gli amici dei dissidenti rischiano, preferì andarsene a insegnare nell’unica scuola libera che a quell’epoca esisteva: quella delle suore missionarie del Sacro Cuore.       

Igino Giordani non mise mai all’asta la sua coscienza. La mitezza di spirito e la pacatezza personale sgorgavano dalla ferrea adesione ai princìpi irrinunciabili del Vangelo: No alla guerra! fu il titolo del suo discorso parlamentare del 1949, in occasione della firma del Patto atlantico. No alla contrapposizione fra nemici mortali durante la Guerra fredda: si ricorda il suo dialogare con i comunisti, che creò incomprensione nelle file del suo partito. Si potrebbero fare tanti altri esempi, ma forse ciò che in modo più significativo ci porta a comprendere i “no” di Igino è il suo “sì” a Dio, espresso con una formula che Chiara Lubich gli diede il giorno della sua consacrazione: «Gesù, io voglio essere tuo: tuo come intendi tu; fa’ di me tutto quello che vuoi» (1949).

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons