Palestina, ci rifiutiamo di essere nemici

La non violenza è diventato un vero e proprio stile di vita per la famiglia Nassar, che da trent’anni lotta per difendere la terra che appartiene loro da tre generazioni. Oggi quella terra non è più solo la loro, ma è divenuta casa per molti
Paul Zinken/picture-alliance/ AP Images

Tra le colline a sud – ovest di Betlemme si trova la fattoria della famiglia Nassar. La terra in quel territorio è arida, ma dal 1916 la famiglia Nassar se ne prende cura e la sa ascoltare, ricevendo in cambio olive, uva, mandorle, grano e frutti come uva e fichi. Da trent’anni, però, la fattoria della famiglia Nassar, conosciuta anche come il Vigneto di Daher, non è solo una semplice azienda agricola a conduzione famigliare, ma una vera e propria isola di pace e di vita non violenta in un territorio in perenne conflitto da decenni.

Nel 1991, infatti, il governo israeliano ha dichiarato l’area circostante Betlemme, compresa l’intera collina dei Nassar, parte dello Stato di Israele. La famiglia Nassar, però, ha tutti i documenti originali di registrazione della terra e ha continuato a lavorare e vivere lì durante il governo ottomano, britannico, giordano e israeliano, dichiarandola sempre di sua proprietà e dimostrando in modo chiaro che il governo israeliano non ha il diritto di dichiararla propria.

La famiglia Nassar ha contestato la dichiarazione di Israele e il caso è stato portato in tribunale. «Molti nostri vicini di casa, ricevuto l’ordine di sgombero, hanno accettato dei soldi e se ne sono andati. Hanno preferito rifarsi una vita in un posto sicuro, in un Paese con più possibilità. Io li capisco perché anch’io sono un padre di famiglia, ma noi non ci arrenderemo. Questa è la nostra casa e rimarremo qui perché è un nostro diritto», ha detto una volta Daoud Nassar, uno dei membri della famiglia che ancora oggi vive nella fattoria, in un intervento.

Oltre alla strategia legale, gli israeliani cercano di obbligare la famiglia Nassar a lasciare la loro terra attraverso intimidazioni e pressioni fisiche. È capitato spesso che durante la notte arrivasse l’esercito e sradicasse alberi e colture; inoltre, la fattoria non ha disponibilità di corrente elettrica quindi l’unico modo per produrre energia sono i pannelli solari, che consentono almeno un’ora la sera di avere internet disponibile e luce.

L’acqua che viene utilizzata per lavarsi è quella che viene raccolta nelle cisterne dell’acqua piovana perché i collegamenti con l’acquedotto sono stati interrotti. Per gli abitanti dell’area C, quindi anche la collina dei Nassar, vige il divieto di costruzione per qualsiasi tipo di struttura e quindi la famiglia dorme in un container attrezzato con brandine e zanzariere.

In aggiunta a ciò, la strada principale che conduce alla fattoria è stata chiusa dall’esercito che ha posizionato enormi massi all’inizio di essa e questo costringe la famiglia Nassar a tragitti molto più lunghi e impervi per raggiungere la città di Betlemme che dista solo nove chilometri. Non è facile per Daoud e la sua famiglia gestire tutta questa situazione, ma la voglia di giustizia è tanta e proprio questa li fa andare avanti.

È da questa lotta non violenta che nasce il progetto Tent of Nations, in italiano “Tenda delle nazioni”. L’obiettivo della famiglia Nassar con questa iniziativa è quello di incarnare un approccio positivo al conflitto e all’occupazione. L’odio non porta a nulla se non ad altro odio e alla violenza e per questo Tent of Nations mira a incanalare tutte queste sensazioni negative in azioni positive, che permettano alle persone di conoscersi anziché di farsi la guerra. Quindi come combattere allora l’occupazione in maniera non violenta? Ripartendo dalla terra.

Da anni, infatti, la fattoria dei Nassar è diventata un crocevia di persone che sostengono la loro causa e vogliono contribuire in maniera attiva alla resistenza non violenta. Migliaia sono i volontari che da trent’anni hanno partecipato ai campi di lavoro e alle attività promosse da Daoud e dai suoi fratelli, non solo sposando idealmente la lotta della famiglia Nassar ma anche “sporcandosi le mani” in prima persona durante la raccolta delle olive o dei frutti, piantando nuovi alberi e dando da mangiare agli animali che vivono nella fattoria.

Grandi e piccini possono coltivare uno stile di vita non violento e per questo motivo il progetto di Tent of Nations è aperto anche ai bambini e ai ragazzi durante precisi momenti dell’anno con campi estivi a loro dedicati.  «Lavoriamo per ricollegare le persone alla terra. Mescolando le mani con la terra, impariamo a valorizzare e a comprendere il significato del nostro ambiente e di cosa vuol dire essere umani».

 

 

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