Notizie: la guerra dei pregiudizi

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Prima istantanea. Un’anziana coppia corre fuori da una biblioteca inseguita da un gruppo di musulmani armati di spade e mitra. Lui dice a lei, che tiene in mano il libro I versetti satanici: “Ti avevo detto di limitarti a Barbara Cartland”. La vignetta, uscita sul britannico Daily Mail, poggia sull’assunto che tutti i musulmani sono tipicamente arabi e li mostra primitivi e brutali, minacciosi e terrificanti. Seconda istantanea. Dalla mangiatoia un preoccupato Gesù Bambino osserva un carro armato con il cannone puntato su di lui, ed esclama: “Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?”. Apparso su La Stampa in concomitanza con l’assedio alla basilica della Natività, l’illustrazione di Forattini fa propria e rilancia la fuorviante equazione: polizia israeliana = popolo israeliano = popolo ebraico = uccisori del Figlio di Dio. Chi fa più morti una bomba intelligente o una vignetta stupida? Non ci sono dubbi. Nell’era della globalizzazione, dove tutto dovrebbe essere vicino, più conosciuto e meglio comprensibile, si registra il dilagare dei pregiudizi nel circuito planetario dell’informazione. La vignetta ha una portentosa efficacia comunicativa, perché è di facile e immediata lettura, fa (spesso) sorridere, è straordinariamente memorizzabile, fa leva sugli stereotipi appiccicati addosso a religioni, popoli, etnie. Guardando la prima pagina di un quotidiano, l’occhio di tutti corre al disegno satirico, mentre quello di pochi invece leggerà l’articolo di fondo, che spiega – magari in modo obiettivo e documentato – lo stesso argomento della vignetta, arrivando spesso a valutazioni opposte a quelle contenute nel messaggio del disegno. “Si dice: gli israeliani sono così e così, quando, in effetti, gli israeliani hanno tra loro posizioni estremamente differenziate”, chiarisce Robert White, docente di comunicazione, della pontificia università Gregoriana. E prosegue: “Lo stesso vale per i musulmani. E si cade nella trappola degli stereotipi con grande facilità, compresi i giornalisti più obiettivi”. Per gli studiosi, lo stereotipo è il vero cancro dei mass media, perché con una sola immagine pretende di sintetizzare storie molto complesse e realtà assai differenziate. La carica menzognera degli stereotipi poggia sulle mezze verità che veicolano. E diventano un’ideologia quando sono utilizzati per assicurare il predominio culturale. Ricorderete che i bianchi del Sud Africa si premurarono di diffondere l’immagine dei loro connazionali neri come incapaci di apprendere e di migliorare sé stessi in modo da giustificare la loro esclusione dal sistema educativo nazionale. Le semplificazioni consolidate fanno più presa. Per questo la Fox tv, dopo l’11 settembre, ha battuto costantemente la Cnn nella lotta informativa statunitense perché trasmetteva luoghi comuni. Si deve scavare di più sui temi di grande importanza, esorta il prof. White, e domanda: “Perché non si chiariscono a sufficienza i motivi che spingono i palestinesi a lottare con gli strumenti del terrorismo? Per quale motivo sui media la posizione degli arabi e dei musulmani è così raramente spiegata? “. Aprendo i lavori del convegno internazionale su “Media e verità”, organizzato a Roma a metà febbraio dalla sezione europea di Religioni per la pace, il moderatore Jehangir Sarosh poneva un quesito solo apparentemente ingenuo: “Esistono i nemici o ce li creiamo noi?”. E ammetteva: “I mezzi di comunicazione rischiano di contribuire a creare i nemici con una semplificazione della realtà e un’informazione influenzata da stereotipi e pregiudizi”. Certo, per favorire la comprensione dei fenomeni e dei problemi, i media sono chiamati a parlarne riducendone la complessità. Tuttavia, spesso i resoconti giornalistici esprimono giudizi morali e politici su fatti che vengono descritti rapidamente senza trasmettere i contesti culturali e sociali in cui avvengono e pubblicati sotto titoli creati con enfasi e segnati da pregiudizi. “Soprattutto adesso, nelle situazioni di guerra – evidenzia Guglielmo Sasinini, inviato di Famiglia Cristiana, esperto sul Medio Oriente -, è sempre più difficile verificare le fonti”. E a proposito dell’intricata situazione mediorientale, rileva: “Nell’ultimo decennio, si tiene sempre meno conto, nella stesura delle corrispondenze, delle pur determinanti ragioni storiche e motivazioni geopolitiche. Eppure, l’uso delle parole si è fatto più pericoloso dei proiettili. Oggi, le guerre si vincono o si perdono attraverso i media”. Sul più diffuso quotidiano italiano, il Corriere della Sera, uno studio della ricercatrice turca Zeynep Cereci ha rilevato che nel periodo tra l’8 gennaio e il 7 febbraio scorsi è stata pubblicata una sola notizia positiva sui musulmani. Tuttavia, non è un’eccezione. I principali giornali inglesi non mostrano un diverso approccio: nel 99 per cento dei casi le notizie pubblicate mettono in cattiva luce l’intero Islam. E non è tutto. Nell’isola britannica si trovano 3.000 moschee. Ebbene, quotidiani e tivù, autorevoli o popolari che siano, quando si tratta di raccogliere un parere di un musulmano vanno tutti alla moschea di Finsbury Park, periferia di Londra, dove tuona invettive contro l’occidente un ingegnere islamico proclamatosi imam. “Io che parlo invece di dialogo e cooperazione con l’Europa e con la cristianità non vengo interpellato. Motivo? La mia posizione non scatena timori, dunque non fa notizia”, racconta sconsolato l’imam Abduljalil Sajid, presidente del Consiglio musulmano del Regno Unito per l’armonia tra le religioni e le razze. Anche nella tivù italiana, l’approccio non è dissimile. Esponenti islamici lamentano due fatti: l’invito a Porta a Porta di quel sedicente esponente musulmano dai toni decisamente fondamentalistici e la partecipazione al Maurizio Costanzo Show di musulmani tutt’altro che esperti a parlare delle questioni del Medio Oriente. La confusione tra diversità religiose, identità etniche e questioni politiche genera troppo spesso mostri, creando nei destinatari dell’informazione un’overdose d’apprensione che radicalizza stati d’animo, valutazioni, comportamenti. Per Yossi Klein Valevi, giornalista israeliano di The Jerusalem Post, nell’ultimo periodo l’Europa si è decisamente schierata dalla parte dei palestinesi, senza fare con Israele gli opportuni distinguo. “Un fatto è la politica del governo Sharon, altra cosa è il paese nella sua complessità e diversità interna”. Tutto viene semplificato. Per questo i pur lodevoli sforzi di chi fa inchieste e servizi speciali seri su stampa o tivù raccolgono un pubblico minimo rispetto alle vignette e ai talk-show, i dibattiti televisivi. Quelle e questi sono assurti a veicoli planetari del pregiudizio e dello stereotipo. Le religioni, sempre più al centro del dibattito, hanno tutto da perdere se lasciate a presunti esperti da un tanto al chilo. Da qui la necessità di presenze qualificate per tenere alta la convinzione che le religioni operano per la pace e che il loro dialogo favorisce l’incontro tra civiltà. Ma come fare per abbattere i deleteri luoghi comuni? “Per capire una religione, occorre favorire un rapporto di amicizia con i fedeli di quella religione”, suggerisce Christian Rathner, della tivù austriaca Orf. Per lo scrittore algerino Amara Lakhous: “Bisogna trattare la religione come una scienza. Quando se ne parla in tivù, vanno chiamati gli specialisti””. Da qui, la proposta alle redazioni di annoverare un consulente esperto nei problemi del Medio Oriente e del mondo islamico, ma anche di preparare i giornalisti sulle religioni e sui temi dell’Africa e dell’Oriente. Ma è anche necessaria l’adozione di un codice etico per favorire il dialogo interculturale e interreligioso. LUOGHI COMUNI CHE GUAZZABUGLIO! Gli israeliani e gli ebrei sono la stesa cosa? Un arabo può essere israeliano? Nei mezzi d’informazione, dove sempre più le notizie vengono spettacolarizzate, regna spesso sovrana la confusione. Così si è portati ad identificare il mondo arabo con quello islamico, convinti che quei due aggettivi siano intercambiabili. Gli arabi invece sono un gruppo etnico dominante in Medio Oriente e nel Nord Africa, in maggioranza musulmano, ma non esclusivamente. Gli islamici sono i fedeli della religione musulmana, 1.100 milioni nel mondo, di cui appena 220 milioni sono arabi. Quindi non tutti i musulmani sono arabi, e non tutti gli arabi sono musulmani. La paura dell’islam o islamofobia non è un fenomeno nuovo. Spaventano il marcato integralismo in alcuni paesi, la persecuzione verso chi abiura la fede islamica, le pene corporali fino alle esecuzioni per chi viola le leggi, la chiusura alle altre religioni. Gli eventi tragici dell’11 settembre, la lotta al terrorismo internazionale, l’esacerbarsi del conflitto mediorientale, ma anche la dottrina della guerra preventiva hanno poi riattivato l’islamofobia. “Mi preme sottolineare – avverte Annamaria Rivera, docente di etnologia all’università di Bari – che simmetrica a questo fenomeno è la recrudescenza in Europa, e in particolare in Francia, dell’antisemitismo. Va posta attenzione ad entrambi i fenomeni: coloro che sono di religione ebraica dovrebbero preoccuparsi anche dell’islamofobia; allo stesso modo i musulmani dovrebbero preoccuparsi fortemente dell’antisemitismo, perché l’antisemitismo è il paradigma di tutti i razzismi. I due fenomeni sono il frutto di una polarizzazione sempre più accentuata”. Cosa va segnalato in particolare? “I media alimentano questa polarizzazione con pericolosi slittamenti semantici. Ovvero i media finiscono per delineare il conflitto mediorientale e l’attuale crisi internazionale come una lotta tra civiltà o tra razze, attribuendo, per esempio, a tutti gli ebrei indistintamente o a tutti i musulmani senza eccezione, responsabilità che sono da attribuire e a certe potenze politico-militari e a ben determinati governi”. Perché viene sempre più distorta l’identità religiosa? “C’è la tendenza a fare dell’appartenenza religiosa un’essenza quasi razziale. Si rappresenta l’Islam come un unico blocco monolitico calato nelle tenebre del mondo premoderno, aggressivo e pervasivo. E poi l’uso di quella catena di equazioni che fa degli immigrati i musulmani, dei musulmani gli integralisti, degli integralisti i terroristi. In ultimo, il lancio con grande clamore di notizie di arresti di presunti terroristi islamici che poi vengono rilasciati perché innocenti. Tutto questo alimenta i pregiudizi”.

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