Mediazione interculturale e integrazione reciproca

Intervista a Loubna Toumlilt, arrivata in Italia dal Marocco con una laurea in economia aziendale, mediatrice interculturale con esperienza maturata nel centro di primo intervento per i minori stranieri non accompagnati. «Quando ci si capisce c’è più tolleranza, convivenza pacifica e solidale»
Mediazione interculturale i artistlike Pixabay

«Quando ci si capisce c’è più tolleranza, convivenza pacifica e solidale perché l’integrazione è reciproca, sia da parte dell’immigrato sia da parte dello Stato e dei cittadini. Ognuno fa la sua parte: io cerco di integrarmi, di conoscerti, di conoscere le tue tradizioni, la cultura, poi l’altro da parte sua dovrebbe cercare di conoscermi per capirmi».

Sono le parole di Loubna Toumlilt, 39 anni, mediatrice interculturale. «Sono di origine marocchina – racconta -, arrivata in Italia per ricongiungimento familiare. Mi sono laureata in economia aziendale a Casablanca nel 2005, in Marocco ho lavorato come segretaria. Quando mi sono sposata ho dovuto lasciare il Paese per ricongiungermi con mio marito e venire a Roma, dove ho studiato per imparare la lingua».

Perché sei diventata mediatrice interculturale?
Prima di venire in Italia avevo l’idea che tutta l’Europa fosse uguale, che non ci fosse differenza tra Francia, Inghilterra, Italia, pensavo che fosse un sistema comune per tutti, invece no. Quando sono arrivata ho capito che i servizi dedicati agli immigrati dipendono da Paese a Paese, ma tanti nel Paese di origine non lo sanno, quindi nella mediazione culturale cerchiamo di spiegare anche questo. Appena arrivata mi sono sentita disorientata perché, a parte la lingua, non conoscevo niente della cultura. Per questo ho deciso di lavorare con mio marito, che fa l’ambulante. Ho lavorato a Roma per sei anni, ho venduto abbigliamento da donna. Poi ho deciso di cambiare, soprattutto ho sentito il bisogno che c’è della mediazione perché c’è confusione, ci sono informazioni trasmesse male. Mio marito è aperto, non è quel tipo di uomo che sottomette la donna, contrariamente a quello che in genere il mondo occidentale pensa sulla donna araba sottomessa. Quando lavoravamo avevo un ruolo importante, di comando, e quando la clientela lo notava, si meravigliava. Questo mi ha spinto a cercare di trasmettere un’idea giusta sulla nostra società. Quando sono arrivata, avevo bisogno di orientarmi, di sapere dove andare, di avere informazioni giuste, quindi mi sono impegnata per dare un’informazione più efficace alle persone appena arrivate in Italia. Vorrei che le persone avessero questa formazione anche prima di venire in Italia, così non avrebbero difficoltà ad adattarsi.

Hai lavorato anche con minori stranieri non accompagnati
Ho lavorato con il Centro di primo intervento per i minori stranieri non accompagnati. La maggior parte di loro arriva con i soldi della famiglia, che ha pagato il viaggio. Sentono la responsabilità di restituire i soldi per mantenere la famiglia che ha fatto questo sacrificio, quindi la prima cosa che hanno in mente è aiutare la famiglia. Invece quando vengono qui non hanno il diritto di lavorare, sotto i 18 anni non possono, e sono a disagio perché non hanno la pazienza di aspettare di avere 18 anni. In attesa dei 18 anni, in genere sono inseriti nelle case famiglia, frequentano la scuola di italiano o un corso di formazione professionale, sono aiutati a trovare un tirocinio. Per loro i servizi, nella maggior parte dei casi, funzionano bene.

Qual è il vostro ruolo di mediatori?
Come mediatori, cerchiamo di spiegare che hanno un’opportunità, se cercano di seguire il percorso della casa famiglia possono avere tanti benefici ma se lasciano la casa famiglia rischiano di restare senza documenti e regolarizzare o fare lavorare una persona senza documento è rischioso anche per il datore di lavoro. Cerchiamo di convincere i ragazzi a rimanere e studiare.

A quali altri progetti ha collaborato?
La maggior parte dei progetti dedicati all’integrazione è dedicata ai rifugiati. Con loro ho lavorato per la piattaforma online Jumamap, dedicata ai rifugiati richiedenti asilo, e con il numero verde. Jumamap è una piattaforma che fa assistenza amministrativa e legale, garantisce alle persone rifugiate di essere informate sui propri diritti e su come accedere ai servizi: corsi, orientamento al lavoro, assistenza sanitaria.

Con l’emergenza Covid19 quali problemi hanno avuto le persone rifugiate?
Forse per i permessi di soggiorno perché, quando la commissione non ha ancora dato l’ok per lo status, una persona non dorme in tranquillità, non mangia in tranquillità. In questo periodo il servizio è rallentato ed è diminuita la loro tranquillità. In questo periodo, come mediatori, facciamo anche assistenza tramite il telefono.

Cosa speri per il futuro?
Mi piacerebbe che ci fosse una politica di integrazione per aiutare anche i migranti economici, perché anche loro hanno bisogno della mediazione per inserirsi, capire la cultura, essere aiutati ad esprimersi. Loro possono avere informazioni solo nei Caf o nei Patronati, ma non hanno la figura del mediatore. Il mediatore, invece, aiuta ad ascoltare il punto di vista dell’altro, ad abbandonare il proprio e mettersi nei panni dell’altro, per capirlo.

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